Sabato mattina

(di Mimmo Caruso)


“A quanto vengono ‘ste Nike?”
“Perché sei tu, a 20 euri !”
“Miii 20 euri e che fa niente ci possiamo togliere?”
“Figliò, se vuoi, ci togliamo i lacci, così ti fai un bello paio di mocassini”


Adoro passeggiare per Via Montalbo. I mercati storici stanno morendo e la Vuccirìa è ormai solamente un quadro di Guttuso, ma la via Montalbo, no. Quella resiste. Le urla dei fruttivendoli non hanno nulla da invidiare alle grida di un muezzin nel minareto.
Di mattina, in via Montalbo, puoi ancora vedere il pesce, che annaspa le ultime boccate sotto lo sguardo orgoglioso del pescivendolo, che con un “signora ce lo devo dire io che è fresco? Ma perché non si vede?”, ammalia la cliente, trasformando  in coppo un foglio di giornale.
Alle otto e mezza vedi il macellaio, che bacia la prima banconota da 10 euro della giornata e si segna per ringraziare ù Signuruzzu… “chè se ‘un ci pensa Iddu…”
Fai una passeggiata in via Montalbo e ti ritrovi immerso in una processione di colori e riti, dove tra un broccolo nostrano e mezzo chilo di sgombri, vita e lavoro si fondono in un dinamismo tremendamente lento.

“Signor lei, come si chiamano questi calamari?
“A 8 euro, si chiamano”
“Amunì me ne faccia un chilo”
“Un chilo e cento … a buon peso”

0 pensieri riguardo “Sabato mattina

  • 29 novembre 2009 in 14:25
    Permalink

    Ci fu un periodo, intorno alla seconda metà degli anni ’70, in cui anch’io frequentavo giornalmente la via Montalbo. Sono stato sempre del principio che, quando è possibile, si devono comprare prodotti freschi e di stagione. Risento ancora gli odori di quella lunga strada di mercato, a cominciare dalla frigitoria all’angolo, – vi ricordate le “quaglie”, le melanzane tagliate a carciofo e fritte intere? – e poi i fruttivendoli, le macellerie, il pescivendolo, su lungo la strada fino a via Montepellegrino. Erano odori che mi pare di risentire, mutavano secondo le stagioni e l’aria, carezzevole in primavera, frizzante in inverno, il profumo pungente dei mandarini, quello di mare delle pescherie. E il vociare e l’abbanniari, oggi come allora. C’era un fruttivendolo con una “lapa”, prezzi stracciati, tanto non pagava il negozio, forse neppure l’area municipale. Ogni giorno aveva ad assisterlo, si fa per dire, un figlio diiverso. “Questo è il nono, questo è il terzo”, diceva. Fino a giungere al più piccolo, forse tre anni. Rispondeva alla domanda, se gli si chiedevano nome o anni. Diceva il padre: – Ma guarda quanto è cretino, mi chiama nonno. E in effetti, nonostante fosse ancora giovane, mostrava più anni di quanti ne avesse. Riguardo al figlio-nipote, anche a lui chiedeva il nome, lo confondeva con tutti gli altri, distanziati di un anno. Diceva che la sera al momento di andare a letto, li contava soltanto, come il pastore fa con le pecore. Sì, questa ancora era la zona del mercato e del quartiere, questa la ricchezza o la tragedia della classe popolare di tanta parte di Palermo. Prima che i pannolini lines, le scatolette varie per cani e gatti, la programmazione delle nascite, la mercificazione della famiglia… la paura di impegnarsi troppo…

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