Questa è la storia di Sofonisba

(Carmelo Fucarino)

Questa è la storia della vita intensa ed esemplare di Sofonisba Anguissola, nata a Cremona nel 1532 e morta in Palermo il 16 novembre 1625. Donna dolce, ma risoluta, visse in tempi assai duri i suoi grandi slanci, ma anche le sue ambasce interiori. Giacque nella chiesa di S. Giorgio in Palermo, della Nazione Genovese, ove non c’è più traccia dei suoi resti, ma solo l’armoniosa e nobile epigrafe sulla splendida lapide di marmo mischio, che sette anni dopo pose il marito inconsolabile:

SOPHONISBAE UXORI AB ANGUISSOLAE
COMITIBUS DUCENTI ORIGINEM PARENTUM
NOBILITATE FORMA EXTRAORDINARIISQUE
NATURAE DOTIBUS IN ILLUSTRES MUNDI MULIE
RES RELATAE AC IN EXPRIMENDIS HOMINUM
IMAGINIBUS ADEO INSIGNI, UT PAREM AETATIS SUAE
NEMINEM HABUISSE SIT AESTIMATA HORATIUS
LOMELLINUS INGENTI AFFECTUS MAERORE DECUS
HOC EXTREMUS ET SI TANTAE MULIERI EXIGUUM
MORTALIBUS VERO MAXIMUM DICAVIT 1632

Il 1624, in quella fosca estate di peste che il 15 luglio, si narra, fermò Rosalia, la santa della grotta di Monte Pellegrino, il giovane e ancora inesperto Van Dych, chiamato per fargli il ritratto dal viceré Emanuele Filiberto di Savoia, figlio dell’infanta Caterina Micaela, morto di peste, le fece visita: “Ancora contò parte della vita di essa, per la quale se conobbe essera pittora de natura et miraculosa et la pena magiore che hebbe era per mancamento de vista de non poter più depingere” e “pigliò gran piacere faciende il ritratto de essa, me diede diversi advertimenti, non dovendo pigliorare il lume troppo alto, acciò che l’ombre nello ruge della veccaia non diventassero troppo grande“. (Anton van Dyck). Aveva 93 anni, quasi cieca per la cataratta, ma lucida e consapevole della sua arte, tanto da sottolineare al giovane fiammingo alle prime armi la centralità della luce nel modellare e rilevare i particolari del disegno. E il giovane le fece molti ritratti.
Dato l’innato talento per la pittura, il padre Amilcare, nobile spiantato ed umanista, la mandò da bambina assieme alle sei sorelle (Le Sofonisbe di Gadda) alla scuola del pittore di chiese Bernardino Campi, fatto scandaloso per i tempi. Egli le insegnò il ritratto (esemplari i propri autoritratti autoreferenziali), tanto profondi nella psicologia da proiettarla a ritrattista di corte. Infatti il padre nutriva per lei ambiziosi progetti e così scrisse nel 1557 a Michelangelo: “Per la più cara cosa ch’io habbia, gli dedico essa Sophonisba per sua serva e figliuola”. E Sofonisba gli regalò un piccolo disegno raffigurante Il fanciullo morso da un granchio, che suscitò in lui grande impressione. E forse anche in Caravaggio con il suo Ragazzo morso da un ramarro (1595). Nella sua frenetica opera di promoter il padre così scrisse al duca Ercole II d’Este: “havendo di poi ditta mia figliuola fatto un retrato della efigie sua mediante specchio […] scorgean ben forse pochi erori in detta pittura ragionevolmente cagionati dalla ettate et qualittatte dell’operatrice”. Ed ebbe alla fine fortunoso esito nel 1558. Scrisse il misogino Vasari (Vite, p. 174): “Ma Soffonisba Cremonese figliuola di Messer Amilcaro Angusciuola, ha con più studio e con miglior grazia che altra donna de’ tempi nostri faticato dietro alle cose del disegno, perciò che ha saputo non pure disegnare, colorire e ritrarre di naturale e copiare eccellentemente cose d’altri, ma da sé sola ha fatto cose rarissime e bellissime di pittura. Onde ha meritato che Filippo re di Spagna, avendo inteso dal signor Duca d’Alba le virtù e meriti suoi, abbia mandato per lei e fattala condurre onoratissimamente in Ispagna, dove la tiene appresso la reina con grossa provisione e con stupor di tutta quella corte che ammira, come cosa maravigliosa, l’eccellenza di Soffonisba”. Così nel 1559 a ventisette anni si avventurò in un viaggio di quaranta giorni alla volta di Madrid come dama di corte e poi maestra di pittura della quattordicenne regina-bambina Isabella di Valois, terza moglie di Filippo II, vedovo trentaduenne della seconda moglie Maria Tudor (la Sanguinaria o se preferite la Cattolica), in dono per la celebre pace di Cateau-Cambrésis. Poi la morte dell’infelice regina nel 1568 e la follia del re che non risparmiò neppure l’infelice figlio don Carlos.
Dopo il matrimonio del re con Anna d’Austria, anche lei nel 1573 sposò infine, a 38 anni, per procura Fabrizio Moncada, cadetto della nobile casata di Paternò, e visse i suoi giorni nel palazzo dei Moncada in via Roma a Palermo, fra l’astio della cognata, principessa donna Aloysia, vedova del primogenito che voleva escludere il marito dall’amministrazione del patrimonio. Poi improvvisa la tragica e misteriosa morte del marito del quale non si trovò neppure il corpo, nel 1578, in seguito ad un assalto di pirati, mentre si recava in Spagna. Tra l’ostilità dei Moncada che si rifiutavano di restituirle la dote, nel 1579 a 47 anni durante il viaggio verso Livorno il colpo di fulmine per il capitano della nave, il giovane Orazio Lomellini, di nobile casata genovese, ma figlio naturale. E visse ossequiata e infaticabile a Genova fino al 1615. Ma era destino che terminasse i suoi giorni a Palermo, ove il marito la riportò, ad 83 anni, per i suoi numerosi interessi finanziari. E qui, nel quartiere arabo di Seralcadi, oggi Monte di Pietà, meglio noto come il Capo, continuò a dipingere nonostante il forte calo della vista.

3 pensieri riguardo “Questa è la storia di Sofonisba

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy