Quando la Posta in Sicilia si chiamava Correria

(Renata De Simone)

Fra i meriti che fruttarono agli Alliata, principi di Villafranca, un posto d’onore nella memoria e nella toponomastica della città di Palermo, c’è anche quello di avere diretto per più di mezzo secolo ( dal 1738 al 1786) l’ufficio di “Corriero Maggiore” di Sicilia.
Appannaggio, sin dal sec.XVI della famiglia de Tassis , che gestiva il servizio postale in mezza Europa legando per sempre il nome Taxi  al trasporto pubblico, il lucroso incarico di “Supremo Prefetto delle Poste”, fu concesso in feudo nel 1728 a Vincenzo Di Giovanni, duca di Saponara e ai suoi successori, passò poi a Vittoria Di Giovanni e, maritali nomine, a Domenico Alliata, nel 1738. Alla morte di donna Vittoria, ereditò il titolo  Fabrizio Alliata Colonna, principe di Villafranca, che lo conservò fino al 1786, anno in cui  la Regia Corte di Napoli  decise di incamerare l’ufficio. A tal fine venne prima nominato un Ispettore Generale delle Poste del Regno, successivamente un Soprintendente Generale delle Poste (dal 1804 Poste e Procacci) del Regno, dipendente dal Ministero degli Affari Esteri e di Alta Polizia.
La Corte di Napoli  fu  però costretta, a seguito di causa intentata dal principe di Villafranca contro il regio Fisco e discussa presso la Consulta di Sicilia (relatore il ministro Scrofani) a rimborsare al precedente proprietario dell’ufficio la somma di ducati 110.824,  come compenso del prezzo  pagato alla Corte, in diverse soluzioni, per ottenere la concessione dell’ufficio.
Tutto questo potrebbe far pensare ad un uso personale e vessatorio del pubblico servizio, da parte del titolare di turno dell’ambita carica,  a discapito dell’utenza. Ma basta leggere le carte della Correria conservate presso l’Archivio di Stato di Palermo a seguito del deposito dell’intero archivio Alliata, per farsi un’idea diversa del servizio e delle norme che lo regolavano.
Un’equa attribuzione di tariffe, in base alla distanza e al peso della missiva, una regolare distribuzione dell’ ”ordinario” e un  celere servizio “straordinario” garantivano sia gli organi del Regno, utenti privilegiati dell’ufficio di Correria, sia i “particolari ”, in primo luogo i commercianti, che ne usufruivano.
Ma quello che più stupisce il lettore di oggi è la modernità contenuta nelle normative che regolavano il servizio, a partire dalla “Costitutione Prammaticale sopra l’Ufficio di Corriero Maggiore di Sicilia ” del vicerè Marc’Antonio Colonna , del 1584 fino alle meno note “Istruzioni dell’officio dell’illustre Corriero Maggiore di Sua Maestà in questo Regno novamente disposte  per il buon governo e retta amministrazione del medesimo”, emanate da Filippo IV di Borbone nell’anno 1711 ed indirizzate alla marchesa donna Vittoria Zapata de Tassis, a quel tempo concessionaria dell’incarico.[1] Tali norme si distinguono per l’attenzione speciale , in linea con .le più recenti tendenze in materia di pubblica amministrazione, rivolta ad obiettivi di segretezza e pubblica efficienza.
Il settecentesco regolamento postale così comincia:

“Per l’accerto del real servizio e conservazione dello stato e buon governo, l’esperienza dimostra essere una delle più importanti la cura e diligenza che si deve havere nell’officio di Corriero Maggiore, acciocchè li dispacci e lettere che a diverse parti occorre mandare e le risposte che dalle medesime devono venire, vadano e vengano con diligenza et a buon ricapito e se  negligenza succede si conosca l’origine e la colpa per correggerla e castigarla et essendo cosa giusta e ragionevole per l’effetto suddetto che  coloro che amministrano l’officio di Corriero Magiore habbiano regole ordinate per sodisfare alle loro obligationi.
Perciò havendosi viste et intese alcune cose bisognevoli di rimedio, si statuisce e comanda che l’officio dell’illustre Corriero Magiore di questo Regno sia nell’avvenire governato nel modo che siegue.”

Si danno quindi le istruzioni ai Luogotenenti del Corriere Maggiore delle città e terre del Regno.
Dopo aver precisato che il servizio deve innanzitutto favorire il Sovrano e, secondariamente il pubblico commercio, si ordina ad  ogni Luogotenente di tenere, nella propria  casa, una cassetta con una “firmatura e sua chiave, con un buco nella strada pubblica, acciocchè ognuno in qualunque ora possa buttare le lettere” La chiave non potrà essere data ad alcuno e  le lettere, una volta imbucate, non potranno tornare ai loro padroni, salvo richiesta scritta con firma autografa da parte degli stessi, presentata personalmente presso la sede dell’ufficio di Correria e dopo il confronto tra la firma contenuta nella richiesta e quella riportata nella lettera.


[1] Le notizie riportate in questo testo sono state tratte dalla documentazione contenuta nell’archivio Alliata, serie Correria, conservata presso l’Archivio di Stato di Palermo. Per uno studio sistematico del sistema postale in Sicilia, si  rimanda inoltre a:V.Fardella  De Quernfort, Storia postale del Regno di Sicilia dalle origini all’introduzione del francobollo 1130-1858, Palermo 1999

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