NICANDRO DI PRAIA A MARE, Nematoceri, Napoli, Tipografia del Rettifilo, 1583

di Dante Maffia , da “ La donna che parlava ai libri”

Sul dizionario è riportato direttamente il plurale e subito mi sono domandato se esiste anche il singolare. Esiste, ma quasi non si usa, perché nei libri di scienze si parla sempre di nematoceri, cioè di un sottordine di insetti ditteri con antenne e zampe lunghe e filiformi, cui appartiene la zanzara. “Oh cavolo! Dittero o diptero significa a due ali, ma lo sanno anche i ragazzi delle scuole medie. Sei proprio digiuno di cognizioni zoologiche”.Ogni giorno il mio dirimpettaio ha qualcosa di ridire con il nipote. Si arrabbia se non conosce il significato di una parola, va su tutte le furie se sbaglia un calcolo, se traduce male una frase dal latino. L’aiuta a fare i compiti; secondo me invece così lo ammazza, povero ragazzo, perché non ha libertà di muoversi per cercare, pensare o progettare. Deve ubbidire al nonno, seguire ciò che lui detta. La ricchezza dei nonni è infinita, dicono, ma se devo giudicare da questa esperienza, mi vengono i dubbi.Non riesco a lasciare il dizionario. Una parola tira l’altra, mi ha preso l’ansia di voler conoscere il significato di tutte le parole, ritengo che sia necessario per orientarsi, per sapere esattamente ciò che nel mondo esiste. Altrimenti si vive come chi cammina in una foresta intricata e non conosce neppure il nome degli alberi giganti.
Un bel pasticcio, perché ogni due parole ne trovo quattro che per me non hanno senso. Che volete, lo sconforto mi prende, se non avessi dovuto cercare nematoceri non sarebbe accaduto nulla. Invece eccomi qua a meditare sulla mia ignoranza e sull’ignoranza degli altri che fanno finta di essere dotti e quando vai a grattare ti accorgi che sono privi del minimo di cultura.
Sembrano venirmi incontro eserciti di parole sconosciute, fare la parata, aggredirmi, addirittura. Oppure processioni di parole che mi rimproverano la dimenticanza, che mi ricordano di esserci conosciuti, ma poi la nostra amicizia è finita per mia incuria, per mia distrazione. Mi prometto una maggiore attenzione in seguito, ma intanto l’angoscia mi attanaglia, ed è un’angoscia amara e starei per dire purulenta, una di quelle che svuotano le vene, che cancellano lo sguardo. Orientarsi? E come si fa in questo oceano  di significati che si divertono a prendermi in giro. Il professore che era convinto di sapere. Ecco gli effetti della superficialità e della spocchia. Il sapere è un atto di contrizione che deve essere continuamente acceso. Sì, però adesso mie care parole non cominciate a rompermi la testa, in fondo voi siete una convenzione e se io decido che le ciliegie non debbano chiamarsi più così lo posso fare a mio piacimento, basta che mi metto d’accordo col mio interlocutore.
“E allora in effetti non esistiamo?”.
“È proprio così, voi siete una semplice convenzione che si può cambiare quando si vuole”.
“Allora?”.
“Allora statevene buone, ammassate in questo librone perfino scomodo da sfogliare e non protestate. Altrimenti vi cancello, vi abolisco”.
C’è un tono di perversione nel mio accento, una sorta di cattiveria che sembra voglia punire le parole per misfatti compiuti. Una di loro me lo fa notare. Io rido. Rido perché queste assurde nullità pretenderebbero di intervenire nella mia vita e di darmi consigli o di dettare leggi. Magari fare anche le moraliste. Siamo al ribaltamento del mondo. Va tutto sottosopra.
Chiudo il dizionario. Ripeto nematoceri più volte. Ma che può importare a me come si chiamano gli insetti. Sempre insetti restano, cioè sempre creature fastidiose, pericolose e inutili. Così come …basta, perché devo perdere il mio tempo in simili astruserie? Se penso alla gente semplice del mio paese che  appena conosceva l’essenziale, non so, pane, capra, latte, vino, cielo, pioggia, dolore, eppure è andata avanti per secoli vivendo magari serenamente e con gioia?
Il caminetto è acceso, ci sono due bei ciocchi che sprizzano scintille perché non si sono stagionati a dovere. La tentazione è grande, perché dovrei tirarmi indietro? Così comincio a strappare le pagine e a buttarle nella fiamma. Ci prendo gusto. Che bello vedere le parole che si cancellano, che il fuoco rende inerti. Gridano? E chi se ne importa, lasciatele gridare. Ne hanno fatto pochi di danni, loro! Adesso gli è toccato l’inferno, che se lo tengano. Non ne  voglio salvare neanche una, sarebbe un delitto mettermi a fare distinzioni, a dare privilegi. Oggi voglio far scialare la fiamma, darle tutto ciò che desidera per il suo orgasmo.
Le pagine non sembrano finire mai. Quante immagini fluttuano tra le scintille, quanti echi s’affacciano e pretendono soccorso. No, no, commetterei un delitto davvero se facessi qualche concessione. Dunque, addio, ombre che mi avete perseguitato, addio per sempre, io sto bene anche senza di voi, non servono le parole per vivere, per amare, per mangiare, per camminare, per pensare. Neanche per pensare? No, non servono, uno pensa per immagini, per colori. Basta, il crepitio della copertina mi dà uno scossone. È fatta. Stanotte forse dormirò tranquillo, erano troppi giorni che le parole mi perseguitavano come un esercito di vermi impazziti e pretenziosi. Adesso è tutto sgombro.
Buonanotte.

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