Un S. Luigi Gonzaga “nostrano”: Cesare Gaetani – 2a parte

(Antonino Lo Nardo)


Decide, quindi, di seguire la sua vocazione e lascia Sortino per recarsi a Palermo, dove si presenta al Noviziato dei Gesuiti, con grande dispiacere dei sudditi e della madre che teme che il figlio intenda seguire l’esempio di altri suoi parenti.
Presa dalla disperazione, Isabella si rivolge al Viceré di Spagna, il quale scrive al giovane principe per proibirgli di lasciare la Sicilia (per sfuggire alle pressioni materne, Cesare è sul punto di recarsi tra i gesuiti a Roma), al Papa Innocenzo X e al P. Generale Piccolomini.
Il ragazzo segue lo svolgimento degli avvenimenti dal Noviziato palermitano, allora al Papireto, e – nel frattempo – prega la Vergine Maria, la Quale non è sorda alle sue preghiere. Il Viceré, leggendo una supplica del giovane, si commuove e lo autorizza a lasciare la Sicilia. Da Roma, suo zio il cardinale Luigi Moncada, gli scrive incoraggiandolo nella scelta ed infine il Papa, nel corso di un lungo colloquio, lo benedice dicendo: «Noi pregheremo il Signore che le dia la santa perseveranza, e la rivedremo volentieri altre volte».
E così il 30 aprile 1651, Cesare entra nel Noviziato di Roma; lo stesso noviziato dove, prima di lui, un altro principe ha chiuso con il mondo per diventare santo: Stanislao Kostka.
Parlando con i suoi confratelli novizi, non cita mai la sua nobiltà e al solo accenno da parte di qualcuno, ne arrossisce proteso com’è alle umiliazioni piuttosto che alle grandezze.
Leggiamo la breve relazione che fece sulle sue virtù il Maestro dei Novizi: «S’avea egli pigliato per idea di imitare S. Luigi Gonzaga. Sapeva per appunto gli esempi della vita di lui, e per quanto poteva, e gli era concesso, l’imitava, e lo proponeva da imitare agli altri connovizi. Insomma il Fratello Cesare era uno specchio in questo Noviziato: sempre gioviale, ma serio, e maturo in tutti gli andamenti suoi. Invariabile anche al suo interno, tutto staccato dal mondo e da ciò che nel mondo si stima e si apprezza, senza mai proferir parole che apportassero minima specie del suo stato nel secolo. Tutto rivolto al desiderio del cielo, si faceva presente tra gli Angeli e i Santi in paradiso con una certa sicurezza, quasi che avesse la gloria celeste, come si dice, in pugno, con una coscienza sì tenera e delicate, che non trovava di che accusarsi. Tanto si mostrava osservante, che non trovavano gli altri Novizi di che appuntarlo. Era a tutti singolarmente caro, ed egli senza singolarità veruna, verso di tutti affabile, e caritativo, come se avesse avuto ciascuno per Fratello carnale. Ubbidientissimo sino all’ultimo e nel più perfetto grado, che si stende fino al giudizio fino al giudizio, con desideri sempre di maggiore perfezione anche tra le continue sue indisposizioni corporali più ardenti. In una parola maturo per il cielo».
Tre grazie chiede con insistenza il Gaetani al Signore: 1) morire novizio, 2) consumarsi con una febbre lenta e 3) spirare in un giorno dedicato alla Vergine Maria.
Ha appena cominciato il suo ottavo mese di noviziato quando una grave malattia comincia ad indebolirlo tanto che si decide, da parte dei Superiori, di mandarlo a Frascati e – successivamente – in una villa ad Albano per consentirgli di recuperare la salute.

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