GARDEL E IL TANGO: UN MITO NEL MITO

(Gianfranco Romagnoli)

L’ampia diffusione che hanno avuto le musiche di Astor Piazzolla, oggi presenti fin negli austeri templi della musica classica, hanno riportato d’attualità il tango, sia pure in una originale versione ricca di contaminazioni, classiche, appunto, e jazzistiche. Questa musica, nata in Argentina, ha dunque varcato, e non da oggi, l’oceano: In Italia, ovunque sono attive scuole di tango in cui operano maestri argentini.
Che dire, in un breve spazio delle sue origini? Il suo ritmo è quello della habanera, così chiamata per avere avuto la sua culla a Cuba (La Habana), ma è in Argentina che il tango ha assunto la sua forma definitiva, musicale e poetica, nelle campagne e nei sobborghi come ballo in cui il gaucho, in una sequenza di passi, tra cui rientrava il lustrarsi la punta degli stivali sui pantaloni, si allacciava alla china (cinese), così detta per gli occhi a mandorla rivelanti la sua origine india. Una danza dalle movenze sensuali, che inizialmente scandalizzò prima di conquistare anche la upper class locale e poi il mondo.
Il discorso si sviluppa ulteriormente nei locali equivoci del porto di Buenos Aires, con il suo calderone di etnie che è un po’ la caratteristica di tutta l’Argentina. Dal lato musicale vi concorrono musicisti di origine italiana come il direttore d’orchestra Francisco Canaro, autori di alcuni tra i più bei tanghi.
Sotto l’aspetto dei testi, da un punto di vista innanzitutto linguistico si nota un’innesto, sulla lingua spagnola, del lunfardo, il gergo del porto; mentre dal punto di vista dei contenuti essi narrano storie lacrimevoli, ma talora non poeticamente irrilevanti, improntate ad una profonda malinconia: nostalgia, rimpianto di amori perduti spesso per una tragica morte dell’amata, disperazione per la povertà, per avere smarrito la retta via, per avere abbandonato la vecchia madre, il sentimento del tempo che tutto distrugge e divora. Tra i poeti, spicca Enrique Discepolo, di origine napoletana.
Come si diffuse questa musica fino a divenire un mito? Il suo araldo fu una figura divenuta a sua volta mitica: Carlos Gardel.
Anche questo personaggio non è argentino, ma francese: di umili origini, nasce infatti a Tolosa nel 1890 (secondo altra versione in Uruguay nel 1887), figlio illegittimo di una lavandaia che si trasferisce in Sudamerica. Il suo mito muove appunto da queste misteriose e mai chiarite origini. Trascorre, comunque, l’infanzia e la prima gioventù a Buenos Aires, dove, dotato di un gradevole aspetto e di una bella voce di timbro baritonale, si dedica ben presto alla musica, riscuotendo un successo sempre crescente che lo porterà in numerose tournées all’estero, in Uruguay in Brasile, in Spagna, in Francia, in Italia, in Inghilterra, in Austria, in Germania, negli Stati Uniti, a Portorico, in Venezuela e in Colombia. Compone egli stesso alcuni tra i tanghi più belli del repertorio, che canta con stile e passione.
La sua notorietà è tale, che viene “scoperto” dal cinema, come personaggio principale di alcuni film: a questo punto è all’apice della fama, un vero mito sulla scena internazionale, con un folto seguito di fanatici ammiratori.
Ma la morte è in agguato: nel 1935 in Colombia, all’aeroporto di Medellin, il suo aereo che sta decollando si scontra in pista con un altro velivolo e Gardel muore carbonizzato.
Questa tragica e prematura fine alimenta definitivamente il suo mito: numerosi sono i suoi fans che si tolgono la vita. La nazione argentina è in lutto: la salma, riportata a Buenos Aires, viene tumulata in un mausoleo nel cimitero della Chacarita, invaso di ex voto e di una quotidiana folla di visitatori, mentre gli altoparlanti diffondono la sua voce, dichiarata Patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco nel 2003. Un rito paganeggiante vuole che la sigaretta della sua statua sia sempre accesa.
Nella stazione della metropolitana di Buenos Aires a lui intitolata, sotto il suo ritratto si legge: Eterno en el alma y en el tiempo. Una sua statua è presente nel quartiere di Abasto.

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