DIARIO

(racconto di Valeria Milazzo)

IV Parte

29 gennaio, ore 23.19.

Amore, famiglia, vita. Più mi addentro nella lettura del diario, e più mi rendo conto di non aver mai vissuto. Ormai sono completamente entrato dentro la sua storia, come se lo conoscessi. Leggendo, mi ritrovo a sorridere, o addirittura, in alcuni momenti, sento come il bisogno di piangere. Probabilmente sono riuscito nel mio scopo, immergermi interamente in qualcosa che non mi faccia pensare alla mia orrenda situazione, alle domande che assillano il mio cervello. Ma forse invece l’effetto ottenuto e l’opposto di quello desiderato: in realtà mentre i miei occhi scorrono quelle pagine, penso, rifletto, mi rendo conto di non aver nulla di quello di cui lui mi parla, nemmeno il ricordo di ciò che ero prima di entrare in questo posto. E’ per questo che sorrido, perché quando una di quelle immagini, come un flashback, precisa e dettagliata descrizione delle sue parole, mi balena in mente, sembra tutto così reale, come se fossi in lui, come se potessi vivere la sua storia, essere felice come lui. Ma subito dopo capisco che è solo la mia immaginazione, il mio bisogno di fuggire dalla mia vita ed immedesimarmi in quella di qualcun altro, e per questo vorrei piangere, lasciarmi andare al mio dolore, alla rabbia che sento dentro, e che mi sta consumando. Ma il mio disperato bisogno di sentirmi ancora partecipe di qualcosa, di vincere l’apatia che mi attanaglia, mi spinge a fare di un ragazzo sconosciuto, del suo diario, probabilmente un semplice sfogo, il mio unico amico, quasi una casa, una famiglia, come se potesse colmare il vuoto che ho dentro. Non mi resta che andare fino in fondo ormai.

“23 luglio 2009.

Nei momenti di sconforto, quando quella voragine si apriva e trascinava con sé tutto ciò che avevo attorno, non riuscivo più a sentire quella comunione con la natura che da sempre mi era appartenuta. Quasi la detestavo, come tutto il resto del mondo. Non potevo credere fosse quello l’amore, che per un solo istante di gioia, mi faceva soffrire in quel modo per il resto della mia vita. Pensai di non crederci più, di aver perso quell’ingenua venerazione per un sentimento che fino a quel momento non avevo mai provato. Quindi decisi di farmela passare, e di ritrovare l’armonia e la serenità che avevo perso. Per prima cosa, sarei ritornato al lago, dopo molto tempo. Nemmeno una lunga passeggiata riuscì a non farmi pensare a lei. I suoi tratti angelici, i contorni delle sue labbra, il blu dei suoi occhi, restavano impressi nella mia mente, mi perseguitavano. Ma non avevo dubbi, il mio lago, la mia natura, avrebbe saputo guarirmi. Arrivato lì, vidi da lontano una ragazza, accucciata all’ombra di un pino, che sembrava piangere. Mi avvicinai, e rimasi letteralmente a bocca aperta. Mi stropicciai gli occhi, per assicurarmi che non fosse una visione o un’allucinazione: no, era proprio lei, era Lara, e singhiozzava. Ancora stordito, feci qualche cauto passo in avanti, per non spaventarla, sino a trovarmi di fronte a lei. Accortasi della mia presenza, alzò gli occhi, gonfi di lacrime, posandoli sui miei, per poi riporre, quasi vergognata, il viso tra le sue mani. Lentamente e delicatamente, senza pensarci un attimo, mi sedetti accanto a lei, senza proferire alcuna parola. Solo dopo qualche minuto, presi coraggio e cominciai a parlare. Le prime cose che mi uscirono di bocca furono frasi senza senso, sulla bellezza di quel paesaggio, sulla pace che riusciva ad infondermi. Ma naturalmente non era lo stesso per lei, immersa nelle sue lacrime! Poi le dissi che andavo lì sin da quando ero bambino, che quello era il mio rifugio, il mio posto magico, dove potevo perdermi per ore ed ore, senza pensare ad altro. Dissi che amavo il profumo emanato da quel boschetto, e che sognavo da sempre di poter accarezzare l’acqua del lago, sentirla sotto il palmo delle mie mani, lasciare che quel gelo mi pervadesse le membra, ed arrivasse sino al mio cervello, per annullare qualsiasi mio altro pensiero. Man mano che parlavo, la mia voce, prima tremante, assumeva un tono via via più sicuro, e i singhiozzi di lei si facevano più rari e sommessi. Non so come sia potuto accadere, ma mi persi così completamente nei miei pensieri, che dal nulla, parlando del lago e di quello spettacolo, le dissi che amavo più di ogni altra cosa il suo sorriso ed i suoi occhi, e che vederla piangere era una tortura per me. Lei sollevò la testa, stupita dalle mie parole, ma  non più di quanto lo fossi io, che nel frattempo maledicevo tra me e me la mia stupida linguaccia lunga. Mi guardò, per un interminabile istante, con uno sguardo che mi avrebbe potuto uccidere, se solo avesse voluto, e si sollevò in piedi. Allungò la mano verso di me e, sfoggiando uno dei suoi splendidi sorrisi, mi propose di realizzare il mio sogno, e tuffarmi in acqua con lei. L’emozione fu così grande che la mia mente ha rimosso quei momenti. Non so come, né dopo quanto tempo, mi ritrovai nell’acqua gelida, a fianco a lei, entrambi in biancheria intima. Fu una sensazione meravigliosa. Non staccai un istante gli occhi dai suoi, come incantato, attratto dal suo sguardo magnetico. Presa la mia mano, la pose sulla superficie dell’acqua, e fece lo stesso con la sua, chiudendo gli occhi e chiedendomi di ascoltare insieme a lei la voce della natura. Poi si tuffò poco più avanti, perché la seguissi. Io lo feci, e mi ritrovai a pochi centimetri da lei. Degli istanti successivi, ricordo una lenta danza, noi e l’acqua in assoluta armonia, le nostre mani che si intrecciano, i nostri sguardi che si penetrano, i nasi che si sfiorano, e le nostre labbra che si uniscono, in un’interminabile vortice di luci e colori.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy