Cosa vuole Garibaldi?

(seconda parte)

Dal romanzo Il cugino di Brooklyn di Rosa Maria Ponte

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La battaglia è iniziata al suono della diana e quando i due eserciti si sono scontrati, molti soldati borbonici sono caduti sul campo di battaglia centrati dai colpi dei fucili di quelli con la camicie rosse. Il loro generale Garibaldi, come dicono che si chiama, su un cavallo baio gridava ordini, mentre, con la sciabola sguainata, dava colpi a destra e a manca. La marmaglia, inferocita, tirava pietre e menava randellate. È stato un vero macello. Parecchi soldati del re sono caduti, ma anche molti di quelli con le camice rosse. Gli altri, la teppaglia, per la maggior parte l’ha fatta franca e alcuni ieri sera si sono visti girare per le campagne. Speriamo che non siano malintenzionati e che se ne vadano presto prima di fare danno.

— Sì, pure io ho sentito dire, domenica scorsa dal barbiere, che in paese si stava preparando qualcosa di grosso. E poi dicono che qui, a Calatafimi, non succede mai niente! Però non pensavo che dopo pochi giorni sarebbe successo questo macello, come voi dite. Ma poi perché, don Marco? Cosa vuole questo Garibaldi?

— Ammazzare il nostro re, vuole, e fare l’Italia unita. Così si dice.

— E diventare lui re?

— No, vuole regalare l’Italia a un re del nord che si chiama Vittorio Emanuele.

— Cambiare il nostro re con un re del nord? Mi pare una cosa stramba. Sicuro, don Marco che avete capito bene? Scusatemi se mi permetto – disse il padrone — e gli versò un’altra tazzina di caffè.

— Ho capito bene, ho capito benissimo, in piazza non si parlava d’altro. E poi dicevano pure che lì, sul campo di battaglia devono esserci delle vere ricchezze addosso a tutti quei soldati borbonici morti, ma anche nelle tasche dei morti garibaldini, alcuni erano nobili in cerca di avventura, si diceva, ma questo io non lo credo. Vi immaginate, compare, il principino Don Matteo, con addosso una camicia rossa come un contadino vestito a festa, sparare ai soldati del re? Cose da pazzi! Però chissà quanto ben di dio c’è abbandonato in mano ad estranei, quante monete d’oro, orologi, catene, tabacchiere d’argento! Tutte queste cose dovrebbero toccare a noi paesani perché la battaglia è stata qui, nelle nostre campagne. Che ne dite compare?

— E che volete fare, don Marco, andarvele a prendere? È peccato rubare ai morti.

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