Tolkien tra mito e invenzione

(Lavinia Scolari)

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Questo articolo credo sia una doverosa e umile risposta – sebbene la sua autrice non sia sicuramente all’altezza di rispondere men che meno di ribattere – al colto, puntuale e profondo articolo di Carmelo Fucarino, pubblicato su questo sito in data 24 febbraio 2011 dal titolo “I salotti letterari di Gabriella Maggio”. Devo dunque presentarmi, sono Lavinia Scolari, l’autrice de L’uomo dal campanello d’oro, di cui nell’articolo in qualche modo si parlava. E ringrazio Carmelo Fucarino per l’attenzione e il tempo concessimi e per la possibilità che mi offre di riflettere sui molti punti sollevati, di cui, lo dico con massima sincerità, farò tesoro, mettendomi in discussione. Non parlerò della critica, sacrosanta e convincente al mio libro, che è sicuramente uno sfacciato gioco, un divertissement, come diceva lo stesso autore dell’articolo. Tuttavia, proprio perché l’opera di Tolkien come operazione mitopoietica e sub-creazione mitologica è stata al centro dei miei studi e della mia tesi di laurea specialistica – sicuramente mediocre – mi sento in dovere, se non altro in memoria del grande autore che ammiro, di precisare che cosa intendevo con l’accostare il mito (parola troppo vaga, forse) a Tolkien, non solo in merito a Il Signore degli Anelli (con attenzione maggiore al libro più che al film, ahimè molto più famoso), ma anche a Il Silmarillion. Dal momento che io non posso fregiarmi di alcun titolo e di alcuna autorevolezza, introdurrò nel discorso degli studiosi e autori di saggi più celebri e colti, che hanno studiato a fondo l’opera di Tolkien, valorizzandone gli aspetti. Partirò, se mi è consentito, da Andrea Monda e Saverio Simonelli, che hanno pubblicato per l’editore Frassinelli il celebre saggio MONDA A., SIMONELLI S., Tolkien. Il signore della fantasia, Milano, Frassinelli, 2002. Ed infatti, come sottolinea Carmelo Fucarino, l’operazione di Tolkien è sicuramente un’invenzione, ma in che termini?

Mutatis mutandis Tolkien, nel recuperare l’epica, un genere antico quasi quanto scomparso nelle pagine della letteratura, ricorre al proprio vasto bagaglio scientifico sulle fonti delle antiche tradizioni e mitologie.” (cit., p. 10).

Tolkien – ci dicono i due autori – affonda la sua fantasia nelle fonti delle antiche tradizioni e mitologie. Un concetto non dissimile è espresso dal biografo di Tolkien, Humphrey Carpenter:

“Tolkien forgiò la sua mitologia in questa forma perché voleva che fosse diversa e originale, ma che allo stesso tempo non fosse una menzogna. Voleva che le storie mitologiche e leggendarie esprimessero la sua visione morale dell’universo” (Carpenter H., J. R. R. Tolkien. La biografia, ed. it. Roma, Fanucci, 2002, p. 132);

Tolkien è dunque noto per aver dato vita a un’opera che, pur nella sua riscrittura fantastica e immaginifica, si basa su una humus (persevererò nell’errore, ma solo perché humus in latino è femminile e generalmente la tratto come se fosse davvero un termine latino) ricca di storia e di mito, non solo, azzarderò anche di sostrato popolare. Non ho le competenze adatte per tentare di raccontare come gli Elfi di Tolkien siano la riscrittura in chiave sicuramente fantastica di uno dei popoli che più di ogni altro ha arricchito le leggende popolari, il folclore e i miti nordici, per cui a tal proposito rimando a Chiesa Isnardi G., I Miti Nordici, Milano 1991 (2008 IVa ed.).

D’altronde con il termine mito non si può escludere una fetta preponderante dello stesso; detto altrimenti, e lo dice una pseudo-classicista che non crede a queste etichette: non esiste solo il mito classico, e Tolkien attinge al repertorio che sente più vicino, come si osserva in Aa. Vv., “Albero” di Tolkien. Come Il Signore degli Anelli ha segnato la cultura del nostro tempo, De Turris G. (a c. di), Milano 2007, p. 22:

“Tolkien ha infatti creato un complesso narrativo unico e originale, il cui parente più prossimo sono le mitologie, le epiche e le saghe dell’Europa Settentrionale fra tarda antichità e Medioevo, rispetto al quale, se è relativamente semplice imitare determinati aspetti morfologici, è peraltro impossibile “dare un seguito”.

E ancora esistono molti contributi che del legame tra Tolkien, il mito e la mitopoiesi sottolineano l’importanza. Mi limiterò, oltre a quelli già annoverati, a citare i più celebri: CICERI F., La musica degli Ainur: un mito cosmogonico, “Terra di Mezzo” 1, 1995, pp. 24-27; MATHLOUTHI P., L’idea di regalità sacra, “Minas Tirith” 9, 2000, pp. 31-35; PASSARO E., Tolkien pagano, “Minas Tirith” 9, 2000, pp. 37-45; CHANCE J., Tolkien’s Art: A Mythology for England, University Press of Kentucky, 2001; e infine mi soffermerò su Noel R. S., La mitologia di Tolkien. I miti antichi nel mondo fantastico della Terra-di-Mezzo, ed. it. Milano, Rusconi, 1984, lasciando che sia proprio l’autrice di questo saggio a parlare:

“C’è qualcosa nelle opere del professor John Ronald Ruel Tolkien che è più profondo della fantasia o della fuga. Questa qualità è la stessa di quella che si trova nei miti autentici e nei racconti popolari, un senso generato dalle credenze quasi dimenticate, ma potenti, e dalle tradizioni che formano lo scheletro della tradizione antica. (…) Il senso di profondità nelle opere di Tolkien ha la sua fonte nella comprensione dell’autore e nell’uso selettivo dei temi della mitologia antica. Questo libro riallaccia le opere di Tolkien ai temi mitici su cui esse si basano. (cit., p. 3)

Il brano citato è proprio l’incipit del saggio, che affronta il rapporto fra temi mitici, sostrato leggendario e popolare che li connotano, e l’opera di Tolkien, giungendo ad affermare: “to thoroughly appreciate Tolkien’s works, it is necessary to have an understanding of mythology.” ovvero: “per apprezzare a fondo le opere di Tolkien, è necessario avere una comprensione della mitologia.” Questo a voler segnalare l’importanza del mito e della sua memoria letteraria nell’opera del Professore di Oxford. (Ciò non toglie che grandissimi filologi e studiosi del mito possano anche disprezzarla!)

Forse però questo articolo è “fazioso”, troppo preoccupato a dimostrare la sua misera verità. Vogliamo forse dire che Il Signore degli Anelli riecheggia il mito? Suona quasi come un sacrilegio… E che dire di questa “Terra di Mezzo”?

Ricordate il già citato Carpenter e la sua “Biografia”? Ebbene, un’intera sezione dell’opera, la terza, reca il titolo di 1917-1925 La creazione di una mitologia, nella quale è possibile leggere tutti i riferimenti principali sottesi alla formazione delle storie tolkieniane, esplicativi della sua ispirazione. L’operazione di Tolkien è dunque riconosciuta a buon diritto come una sub-creazione mitologica che trae origine dall’impulso irrefrenabile di inventare nuovi linguaggi con regole linguistiche ferree e verosimili, impulso sostenuto dalla competenza filologica del professore (cf. cit., p. 129). Il primo nucleo di tale mitologia, come detto, fu quello cosmogonico che poi trovò collocazione ne Il Silmarillion.

“La prima delle ‘leggende’ che costituiscono Il Silmarillion racconta la creazione dell’universo e le origini del mondo conosciuto, che Tolkien, facendo riferimento al norvegese Midgard e alle parole equivalenti nell’antico inglese, chiama Middle-earth, «Terra-di-mezzo». (p. 131)

La Terra di Mezzo, ci tiene a precisare Tolkien, non è un mondo parallelo né un altro pianeta, ma il nostro mondo immaginato in un’epoca diversa, quando i continenti avevano una forma geologica differente (cf. cit., p. 131). “Immaginato” è la parola chiave. Dubito infatti che Tolkien credesse davvero che la Terra di Mezzo, così come la descrive, fosse stata una realtà: essa è il frutto del suo tentativo letterario di mitopoiesi. Di sub-creazione (perché la Creazione è solo di Dio) di un mito.

Tuttavia, con la convinzione che la verità stia sempre nel mezzo, vorrei concludere cedendo la parola proprio a Tolkien, il quale, moderno Salomone, rispondendo a una lettrice, descrive così gli eventi narrati ne Il Silmarillion (che poco prima aveva chiamato “mito cosmogonico” ) e che avrebbero avuto pieno sviluppo ne Il Signore degli Anelli:

Devo dire che tutto questo è un mito, e non una nuova specie di religione o di visione. Ma per quanto ne so è solamente un’invenzione, per esprimere, nell’unico modo che conosco, alcune delle mie (cupe) apprensioni nei riguardi del mondo. (lettera 211 a Rhona Beare in J. R. R. TOLKIEN, La realtà in trasparenza. Lettere, Bompiani, Milano, 2001, p. 319)

Ed è così, tra mito e invenzione, che troviamo, lo spero vivamente, un punto di accordo.

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