COME ERAVAMO: Il corredo di un bandito

(Renata De Simone)

Dall’inventario dei beni sequestrati ad Andrea d’Antonuzzo, brigante, della terra di Campobello, il 28 febbraio 1658:

In primis una littéra con soi trispiti e tavoli,

Item un matarazzo

Item una cascia vecchia

Item una sbriga

Item una maylla

Item un paro di linsola

Item una strazata

Item un paro di chiomazzi

Item una caudarella

Item tri stipi vacanti

Item una stagnata

Item una sarsanea

Il documento si trova in un registro di “Inventari di effetti di banditi”, relativo al ventennio 1650 – 1670 e testimonia l’avvenuta esecuzione di un ordine della locale Corte Capitaniale, in un processo penale a carico del brigante di cui vengono sequestrati i beni.

L’elenco descrive beni personali di pochissimo valore e molto comuni in ambiente rurale siciliano: la lettiera con supporti in ferro (trispiti) e tavole, materassi, lenzuoli e guanciali (chiomazzi) e oggetti da cucina: mailla e sbriga identificano madie per conservare il pane e la pasta lievitata, caudarella e stagnata sono l’una un piolo di rame per scaldare e l’altra un vaso di stagno per raccogliere l’olio. Il vestiario si limita alla strazzata, una sorta di cappa di stracci; forse un mantello è pure la sarsanea , se si vuol far derivare il termine, non attestato, dal latino sarcio, cioè rammendo, riparo. Gli arredi di casa consistono in tre armadietti vuoti (stipi vacanti) e in una vecchia cassapanca (cascia).

Oltre ai poveri beni in elenco, al bandito di Campobello vengono confiscate le rendite ricavate da una vigna di sua proprietà esistente nel feudo della Campana, nello stesso territorio di Campobello, oggi Campobello di Mazara, in provincia di Trapani . Una nota di epoca successiva precisa che si sarebbero dovuti riscuotere i frutti dal giorno del sequestro fino all’anno1671, probabile data di estinzione della pena.

La liquidazione della somma dovuta per motivo di dote alla moglie del brigante, Francesca Accardo, non viene autorizzata, in quanto, avverte una nota, mancavano le lettere viceregie, necessarie all’esborso del denaro, la cui movimentazione era rigidamente controllata dal Tribunale del Real Patrimonio.

Nel riordino, da poco iniziato, della serie “Azienda” della Conservatoria del Real Patrimonio, sono per così dire, venuti alla luce della storia due registri settecenteschi di siffatti inventari, uno dei quali però in cattivo stato. La documentazione in fase di riordinamento riguarda i Capitani d’Arme, ufficiali regi che operavano a difesa del territorio e a tutela del patrimonio compreso nel regio demanio.Tra i loro incarichi c’è anche il sequestro dei beni dei briganti, presenti in varie località della Sicilia. Dei soggetti vittime di sequestro sono riportati: nome, cognome e talvolta soprannome, seguiti dal termine brigante, oltre alla residenza. Troviamo un certo Giuseppe Tempora, alias Frittulidda, di Adernò, un Antonio Borsi di Aci, proprietario di una casa terrana in due corpi nella stessa città di Aci, Pietra e Gabriela La Faranna e Schillaci madre e figlia, di Sutera. Per queste ultime l’inventario registra la presenza tra i beni mobili di un pugnale vecchio. Brigantesse si, ma con un’arma, seppur non nuova, a propria difesa.

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