Da “LA DONNA CHE PARLAVA AI LIBRI”

(Dante Maffìa)

DON ESCULAPIO SILVESTRINI, In Sicilia con due poeti e un narratore, Pavia, Caronte Editore, 1984

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E che poeti e che narratore. Josif Brodskij, Alessandro Parronchi e Mario Vargas Llosa. Siamo partiti da Roma di mattino presto. C’è un bel sole lungo la strada, l’aria è mite. Ci siamo fermati più volte, per il caffè, per la pipì, per il pranzo, ancora per il caffè. Mi sento ricco come un imperatore. Penso le cose più strane mentre guido: se succedesse un incidente morirebbero tre giganti. Anzi, quattro giganti, perché io non mi sento da meno, anche se a voi parrà presunzione. Del resto sapersi guadagnare l’amicizia di uomini come questi è già un raggiungimento alto. Mi trattengo dal fare troppe domande, mi rivolgo ora a questo e ora a quello ma chiedendo cose che non riguardano la letteratura. Stuzzico Parronchi sulla pittura, Vargas Llosa sulla politica, Brodskij su Venezia. Insomma, parliamo del più e del meno, come si dice, eppure nelle loro parole sento lampi improvvisi, mondi che si aprono, sottigliezze che mi fanno crescere immediatamente di una spanna.

Nella valigia ho alcuni testi di tutti e tre, quando arriveremo a destinazione me li faro dedicare. Ci sono lunghe pause di silenzio. La macchina corre tranquilla, non forzo la mano. L’importante è arrivare per l’ora di cena. A Villa San Giovanni troviamo traffico. Si tratta di un’attesa sopportabile. Sul traghetto scendiamo dalla macchina per un altro caffè. Lo scenario dello Stretto di Messina è magico; Scilla e Cariddi sembrano sonnecchiare; gli occhi dei tre sono pieni di luce.

Finalmente arriviamo a Castiglione di Sicilia, un paesino delizioso. Il sindaco, Enzo Grasso, ci accoglie con un abbraccio. È un ottimo scrittore anche lui, conosce il valore dei personaggi. Stanchi morti la sera assistiamo a una rappresentazione della Baronessa di Carini con Tony Cucchiara. Opera deliziosa. Il sentimento popolare vi è condensato appieno. Mi lascio commuovere. Fa bene al cuore ogni tanto a lasciarsi andare. Se il patetico viene digerito a dovere può dare frutti succosi.

Il giorno dopo, a pranzo, mi presento coi libri per le dediche. Brodskij vuole adoperare la penna stilografica, ma mentre la apre cade l’inchiostro sul tavolo, sporca la tovaglia e un piatto. Il mio libro, Fermata nel deserto, riceve appena qualche goccia. Brodskij è mortificato, mi promette che mi manderà un altro volume con la dedica non appena farà ritorno a Venezia. Ma gli dico di lasciare correre, le macchie della sua penna stilografica arricchiscono la preziosità del volume. Ride di cuore, apprezza la mia battuta.

Avrei dovuto trascrivere le conversazioni avute in quei giorni con i tre personaggi, ma la Sicilia mi aveva preso nella morsa di due occhi che non mi abbandonavano. Mi sembrava di navigare sotto acqua, in apnea, e sentivo che un turbine andava dalla testa ai piedi e viceversa. Gabriella mi distrasse dall’interesse dei due poeti e del narratore; il suo seno e la sua bocca avevano un’attrazione violenta e non mi lasciavano tempo per le divagazioni letterarie. In lei prendevo la pienezza della vita, lei era lontano dalle chiacchiere, dalle metafore, dai riferimenti culturali. Era carne che violentemente mi rigenerava ora dopo ora. Una sera, dopo cena, mi provai a parlarle del grande poeta russo insignito del Nobel. A lei non interessava nulla, insisteva nel dirmi di lasciare stare quelle astrazioni. Sì, le chiamò astrazioni, con disprezzo.

Sulla via del ritorno guidai lungamente senza proferire una sola parola; ero dispiaciuto di lasciare quella terra ospitale, quel sole che era un complice fedele dell’amore, della bellezza della vita. Le cene fatte a Isola Bella di Taormina le ricordavo come viaggi fatti in Paradiso; il ventre di Gabriella mi dava stilettate di nostalgia che mi bucavano lo stomaco. Se non dovevo accompagnare questi tre a Roma sarei rimasto a Castiglione, a guardare il cielo, a sognare, ma avevo preso l’impegno e dovevo mantenerlo. I poeti, a volte, sono un ingombro e un ostacolo al godimento, all’amore.

A Fiumicino lasciai i due poeti e il narratore con una fretta che non vi dico. Li salutai rapidamente, e fuggii. All’alba ero di nuovo sul traghetto per la Sicilia. Gabriella mi aspettava. Mi aprì la porta in vestaglia.

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