Stranger

(Valeria Milazzo)

Parte I

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<<Il tuo è un dono>>, le ripeteva sua madre da quando era piccola. L’aveva sempre sospettato, già durante quella gravidanza talmente anomala, contemplando quell’esserino così innocuo e silenzioso, che nemmeno scalciava, cercando di percepirne i movimenti posando il palmo sul ventre nudo, che restava piatto, immobile, come se all’interno non vi stesse crescendo il suo bambino, o come se quel bambino si rifiutasse di vivere, di farsi sentire. Eppure le ecografie e le decine di test che aveva voluto effettuare, preoccupata tanto quanto il marito, avevano denotato che tutto procedeva nella norma. Ma lei sapeva, sentiva che c’era qualcosa di diverso, di speciale, nella creatura che portava in grembo. Il giorno del parto aveva confermato ogni suo dubbio, facendo di ognuno di essi un’assoluta certezza: non un lamento, non un gemito, né un grido, era sgorgato dalla gola della bambina. Non pianse, né si dimenò, limitandosi a contemplare la stanza ed i presenti, immobile, con quegli occhi vispi ed attenti che chi vive da pochi secondi non può avere. Sembrava osservare, ascoltare tutti, coi pugni stretti ed un’espressione rassegnata, già spenta, come di chi porta sulle spalle il peso dell’intera umanità. Non era stato difficile per la madre comprendere, sin dai primi istanti della sua vita, che sua figlia non avrebbe avuto un’infanzia ed un’esistenza normale, come quella di qualsiasi altro bambino. Mentre i suoi coetanei giocavano spensierati, lei se ne restava in un angolino, schiva e silenziosa, come se quegli stupidi giochi non facessero per lei, i cui pensieri erano indecifrabili, i cui sguardi impaurivano ed allontanavano tutti.

Ci mise qualche anno a parlarne con la madre, che aspettava quel momento da tempo ormai. Dal primo istante in cui aveva visto le sue manine, i suoi occhietti, il suo sguardo tanto impaurito, aveva capito che il suo amore non le sarebbe bastato per condurre una vita felice, che il suo destino sarebbe stato tanto unico quanto triste, che le avrebbe portato via tutto ciò che di più bello ha l’infanzia. Una madre certe cose le sente e basta. Lei lo sentiva, ed aspettava soltanto che la figlia si aprisse con lei. Più che una dolorosa confessione, fu una liberazione. Le parole sgorgarono dalla sua gola senza alcun freno, travolsero la donna che annuiva in silenzio davanti a lei e riempirono la stanza. In quei momenti tutto sembrava così semplice: lei sentiva le persone. La sua testa era costantemente invasa da voci, urla, sibili, gemiti, mormorii che le rimbombavano tra le tempie ogni ora della sua esistenza, dal giorno in cui era nata. Solo col tempo aveva imparato a dar loro dei nomi, come paura, dolore, gioia, rabbia, rancore. Non aveva pace, non poteva abbassare il volume né spegnere questa radio di pensieri ed emozioni che ormai faceva parte di lei. La madre si limitò a carezzarle il viso, sorridendole, e dicendole che il suo era un dono. Ma non era così per lei.

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