Stranger

(Valeria Milazzo)

parte II

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<<E’ la mia tortura>>, pensava, restando isolata dal resto del mondo, distante da qualsiasi essere umano. Nessuno avrebbe mai potuto capirla o aiutarla, e chiunque avesse saputo la verità su di lei l’avrebbe allontanata. Per risparmiarsi questo dolore era lei ad isolarsi, a rifugiarsi in quel caos di voci che la assillava, ma che restava, in fondo, l’unica certezza della sua vita, la sola cosa su cui potesse basare la sua intera esistenza.

Quando osservava i suoi compagni ridere, giocare freneticamente, divertirsi, non li invidiava per le loro vacue ostentazioni di gioia, ma per quegli istanti che lei poteva cogliere meglio di chiunque altro. Erano le emozioni silenziose, quelle che si insinuano nel cuore in un attimo, sconvolgendolo più di qualsiasi altra cosa, a colpirla, quegli sguardi fugaci, sorrisi appena accennati, gesti quasi impercettibili, quelle scintille negli occhi di una persona che lei sentiva nascere e crescere dentro di sé, come se le appartenessero. Avrebbe urlato, in ognuno di questi momenti, pur di non tenersele dentro. Le viveva e soffriva come fossero sue, ma senza la possibilità di esprimerle, coltivando un senso di estraneità da tutto e tutti, da quelle stesse sensazioni che sapeva non le appartenevano. Ogni sera, prima di andare a letto, si sedeva davanti ad uno specchio, osservando le lacrime solcarle il viso. Le sembrava di svuotarsi di tutto, del peso che portava costantemente sulle sue spalle, di liberarsi. Era l’unico istante della giornata in cui poteva essere libera, fredda e vuota come sempre, ma libera, l’unica sensazione familiare che potesse provare, e cominciò ad amarla, a diventarne dipendente. Con quegli occhi di ghiaccio ne seguiva ogni singola goccia, che lentamente le attraversava le gote, lasciandole una calda scia sul volto, per poi dissolversi nel gelido marmo.

I giorni si susseguivano senza che nulla cambiasse, ripetendo meccanicamente gli stessi gesti di sempre, come fosse destinata a spegnersi lentamente, consumarsi nella tortura da cui era impossibile liberarsi. Mentre il mondo attorno a lei cambiava, si muoveva freneticamente, lei rimaneva immobile, al centro di esso, osservando i suoi coetanei crescere, vivere le esperienze che sapeva non avrebbe mai vissuto sulla sua pelle. Non potendo nemmeno più sognare, lontana dalle inutili fantasie che riempivano le menti di tutte le altre ragazzine, non le restava che abbandonarsi al freddo e monotono ticchettio di quell’orologio che portava sempre con sé, quasi per ricordarsi della sua condanna. La sua mente, come il suo cuore, che considerava solo un muscolo a forza conficcatole nel petto, era ormai rassegnata, fissa sulla cruda e gelida realtà che viveva, o più correttamente le scorreva davanti agli occhi. Sentiva spesso dire che la vita di un uomo può cambiare completamente in un solo istante, che esso può rinascere nell’istante esatto in cui pensa di essere giunto alla fine, di aver toccato il fondo. Ma come poteva credere davvero che qualcosa potesse cambiare nella sua esistenza inutile e dannata? Si svegliava ogni mattina con queste parole stampate sulla fronte, segnate a fuoco sul suo petto, più vuoto di istante in istante, e nel momento in cui chiudeva gli occhi, la sera, sperando di riuscire ad addormentarsi, le sentiva accendersi e pulsarle nelle tempie, ma imparò ad ignorare anche quel dolore, cui presto si abituò. Con lo stesso stato d’animo viveva l’ennesima vacua giornata, identica in tutto e per tutto alle altre, attraversando la mensa con lo sguardo basso ed il passo lento, quasi trascinato, di chi non ha più per cosa lottare, e si dirigeva verso quello che ormai era diventato il suo tavolo, dove ogni giorno consumava il suo povero pranzo, senza rivolgere la parola a nessuno. Fu una frazione di secondo, come un sottile fascio di luce che attraversò la sala e si riflesse sulle sue iridi spente, spingendola a sollevare gli occhi e ad incrociare quello sguardo, fisso su di lei. Conosceva bene il funzionamento del cuore e del sistema circolatorio, d’altronde lo studio occupava gran parte delle sue giornate, sapeva come esso pompasse il sangue che fluiva nelle vene e le scorreva per tutto il corpo, ma mai ne aveva riconosciuto i movimenti, mai prima di allora. Improvvisamente sentì qualcosa pulsarle nel bel mezzo del petto, battere all’impazzata, quasi volendo balzare fuori e mostrarsi a tutti, finalmente vivo. Per la prima volta poteva percepire quel calore, ed era suo, le proveniva dal petto e la invadeva, la avvolgeva, fin quasi a stordirla, ed aprirle gli occhi. Nitida, davanti ai suoi occhi, comparve quella figura, dai tratti così familiari, che le sorrise, complice, come se la stesse aspettando da sempre. Era come se già sapesse cosa fare, come se avesse già vissuto quel momento, e si mosse con una sicurezza ed una spontaneità tale da stupirsi di se stessa. Posò lo sguardo sul suo volto, sui suoi occhi gonfi di lacrime, sollevò il braccio e carezzò il suo volto, asciugandovi le gote e schiudendo le labbra in un sorriso. Era quel momento, finalmente, il suo momento. La sua vita stava per cominciare, e ne ebbe la conferma posandosi una mano sul petto. Qualcosa lo animava, palpitando, ritmicamente, senza mai fermarsi. Il suo cuore era proprio lì, pochi centimetri sotto le sue dita.

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