Europa. Quale?

(Natale Caronia)

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Nel corso degli avvenimenti umani accade talora che circostanze, avvenimenti e fatti si concatenino in maniera tale da condizionare la storia. Così nell’Europa del secondo dopoguerra, dilaniata da recenti lotte fratricide, statisti del calibro di Adenauer, DeGasperi e Schumann, rappresentarono la luce di speranza per il futuro del vecchio continente, superando le lacerazioni dell’ultimo conflitto. La CECA (Comunità Economica per il Carbone e per l’Acciaio, 1951) metteva in comune la produzione di carbone ed acciaio tra Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo, e l’EURATOM (Organizzazione europea per l’energia nucleare, sino al 1960), furono gli organismi comunitari nati dai primi sforzi di aggregazione, anche su sollecitazione statunitense in regime di piena guerra fredda: la Germania era divisa in due, Vienna occupata da truppe sovietiche sino al 1955, le Repubbliche baltiche sotto il tallone sovietico.CECA ed EURATOM furono precursori del Trattato di Roma del 1957, fondatore della C.E.E. Era la prima volta nella storia che il collante comune continentale non veniva dalle armi, come al tempo dei romani o di Napoleone, ma dalla cognizione comune europea di rappresentare la più alta concentrazione di cultura occidentale con potenzialità aggregative.

 

Differente tuttavia l’interpretazione che veniva data a tale embrionaria aggregazione: dall’Europa delle Patrie di Charles De Gaulle, allo scettico distacco di tipo insulare dell’Inghilterra, alla Germania divisa in due, col prioritario problema della sua riunificazione. E’ prevalso il lato economico, che ha condizionato la realizzazione dell’Unione Europea, i cui Soci si sono impegnati a soggiacere a rigide regole di bilancio e valutarie, sotto la spinta principale della Germania, che non ha mai dimenticato la lezione della Repubblica di Weimar, quando erano necessari miliardi di marchi per comprare un chilo di pane. Indubbiamente è stato un bene limitare il facile ricorso alla svalutazione, su cui l’Italia si adagiava per favorire le esportazioni, facendo pagare un pesante contributo a pensionati ed al reddito fisso. Le rigide regole valide per tutti gli stati aderenti hanno avuto la funzione di predisporre piani di sviluppo pluriennali armonizzati, cosa in cui l’Italia non ha certamente brillato e che le ha permesso di utilizzare, per la sua lentezza burocratica, mediamente soltanto il 15% dei fondi europei messi a sua disposizione. L’Unione Europea non è una federazione di stati né un organizzazione cooperativa, ma un insieme di stati che unisce la propria individualità e sovranità per una migliore forza nel contesto mondiale, delegando alle Istituzioni comuni il proprio potere individuale. In atto la U.E. si regge sulla cooperazione economica di 27 paesi, con mercato unico, moneta unica (in atto non per tutti e 27) e libera circolazione di persone e merci. La sua opera si estende dagli aiuti allo sviluppo alle politiche ambientali, promuove i diritti umani, la democrazia. Politicamente, il Parlamento europeo ha poteri normativi, di controllo delle istituzioni comunitarie, discute ed adotta il bilancio, ma non ha poteri vincolanti sui singoli stati, bensì realizza direttive comunitarie, cui seguono sanzioni economiche (riduzione dei contributi europei) in caso di mancata applicazione.Lo stesso vale per la carente armonizzazione della politica estera, per le diverse prese di posizione a seconda delle convenienze degli stati. Si diceva della Germania di Erhard (1963/1965) che era gigante economico ma nano politico.L’impostazione prevalentemente economica dei rapporti tra gli stati dell’U.E. e la contemporanea apertura dei mercati senza dazi doganali, ha sollecitato la libera concorrenza. La recente globalizzazione dei mercati ha allargato a livello planetario la concorrenza produttivo-commerciale, favorendo quei paesi che non hanno sistemi di sicurezza sociale e bassi costi, sì da produrre con prezzi bassissimi, spiazzando le fabbriche similari degli altri paesi. Generalmente, se ciò aumenta per la gente l’ accesso a beni di consumo per i prezzi più bassi, specie in periodo di assenza di miglioramenti salariali della popolazione, dall’altro si riducono i posti di lavoro per le fabbriche di prodotti a tecnologia medio-bassa, costrette a diversificare o a dislocare in paesi che producono a costi più bassi (delocalizzazione delle aziende). Il liberismo selvaggio, che ha creato le recenti bolle speculative e la conseguente recessione che ancora il mondo sta pagando, rivela come la politica economica non possa prescindere dall’etica, ed ha evidenziato la necessità del rispetto di regole che devono temperare gli eccessi della finanza finalizzata a se stessa, avulsa dalla produzione e dalla morale. Ritornando alla domanda iniziale, quale Europa?, cosa conviene ai cittadini europei? Vivere in un continente delle Patrie, ovvero pensare ad una Unione Europea Federata di tipo statunitense, che limiti, omogeneizzandoli, i poteri degli stati singoli, ma che ne aumenti forza e prestigio internazionale? Il nostro Paese riceverebbe benefici da un sistema a conduzione sopranazionale? I politici europei, cui spettano le decisioni in proposito, sono disponibili a delegare parte del loro potere?Questi sono i quesiti a cui prima o dopo si dovrà dare risposta ed in tempi non eccessivamente lunghi, perchè il mondo corre ed è in ebollizione. Ma pare che quanti sono delegati a provvedere siano in altre faccende affaccendati.

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