Ogni scuola che si chiude

(Carmelo Fucarino)

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«Un anonimo cronista inviò, datata il giorno di Ognissanti, un’infervorata accusa contro la trascuratezza, gli doleva dirlo, della scuola, “questo tempio di educazione, come la chiamò Bovio, questo laboratorio dell’uomo, tanto necessaria nelle epoche di progresso che attraversiamo”. Anche se parole come progresso tradiscono la parte politica, le ragioni dell’attacco ci appaiono oggi strabilianti. Ad oltre un mese dall’inizio dell’anno scolastico, si assisteva al “penosissimo inconveniente di vedere la 1a bis frequentata da 78 alunni, la 2a da 84 e la 3a da 80”. Sì, erano proprio tanti i piccoli frequentanti una classe. Difficile immaginare come potessero essere stipati in aule piccole e fredde e come un maestro potesse farsi sentire da tale selva di testoline vocianti. Se pure a ciò tende il progetto Gelmini (si dimentica che fu avviato dalla splendida Moratti), allora era illegale e, come precisava il cronista, contrario all’art. 323 della Legge 13 novembre 1889 e all’art. 11 del Regolamento generale 9 ottobre 1895, norme dettate e raccomandate ai prefetti con circolare ministeriale 26 novembre 1897, n. 75, che prescrivevano dei limiti invalicabili, pur se lo sconto era risibile: “quando per un determinato periodo di tempo in una scuola elementare si accolgano più di 70 fanciulli debba il Municipio provvedere dividendo la classe in sale separate e con sotto maestri”. Il limite posto non metteva in conto la capienza di locali di privata abitazione presi in affitto e le umane possibilità del maestro che doveva educare dei piccoli in un’età poco suscettibile ai richiami e allo stare fermi e in silenzio. Il nostro Municipio, sensibile al problema, “vagheggiava” un rimedio “non ammissibile”, sdoppiare la scuola “in modo che ad una parte degli alunni si facesse lezione nelle ore del mattino e all’altra parte nelle ore pomeridiane”.

Sembrava una soluzione ragionevole e nella mia esperienza scolastica, fatta proprio nei locali degli odierni uffici amministrativi del Municipio, allora diversamente disposti – una ripida scala immetteva in fredde e piccole aule – anche io alternai periodi mattutini ad altri pomeridiani. C’era però una grossa differenza, allora il maestro doveva essere unico nei due turni. Il cronista amante della cultura, forse un maestro, più verosimilmente il direttore, data l’estrema competenza dei problemi, aveva ben da ridire con argomentazioni in linea di massima giuste, anche se dimentiche della vera finalità della scuola, che non era certo semplice “deposito” o “custode” della sicurezza dei bambini, come purtroppo ancor oggi si ritiene da genitori e politici: “ma tal rimedio a prescindere dal fatto che stanca l’educatore e non affida alcun utile risultato, perde il valore rispetto al danno morale che incontestabilmente deriva ai fanciulli dalla abbreviata convivenza coi propri educatori e dal troppo lungo abbandono nel quale vengono lasciati fuori dalla scuola, esposti ai pericoli di ogni specie. Insomma la scuola non servirebbe più a sottrarre per quanto è possibile i fanciulli alla deleteria influenza della strada”. Era senz’altro vero che “le aule delle nostre scuole antigieniche per se stesse, frequentate da un così rilevante numero di alunni, sono focolari di infezioni e depongono contrariamente a qualsiasi norma educativa”. Secondo il cronista, la scelta non si poteva giustificare con “una qualsiasi ragione di economia, perché, quando l’economia è intesa ad ostacolare la scuola popolare è grettezza, taccagneria biasimevole”. Il Ministero, come aveva fatto per altri comuni, sarebbe potuto certamente venire in aiuto del nostro, “occorrendo l’apertura di nuove aule scolastiche con l’assunzione in servizio di altrettanti sottomaestri”. Perciò faceva appello “all’energia del provveditore perché al più presto sia provveduto secondo legge in modo di togliere le giuste ansie ai numerosissimi padri di famiglia, i quali, continuando le cose in questo modo si contenteranno meglio di aver dei cavallini vivi che dei dottori morti”. A parte questa colorita immagine, il cronista, “interprete dell’opinione pubblica” che muoveva tali lagnanze, concluse con una profonda intuizione sociologica da trasmettere ancor oggi al posto delle interessate e strumentali Pubblicità Progresso, “ripetendo una massima ormai celebre, ogni scuola che si chiude favorisce l’incremento di dieci case penali”».

(Estratto da Stratigrafia del comune di Prizzi come metafora della storia dell’Isola, vol. III, Il Novecento, pp.85-86, ed. Comune di Prizzi, in fase di stampa).

Un pensiero riguardo “Ogni scuola che si chiude

  • 22 agosto 2011 in 18:40
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    Aspettiamo con ansia l’uscita del terzo volume “Stratigrafia del Comune di Prizzi come metafora della storia dell’isola”. Si conpleta, in questo modo, “una monumentale opera culturale” degna del grande studioso qual’è il professore Carmelo Fucarino. L’illustre prizzese lascerà indelebile la sua impronta nella storia culturale della nostra cittadina di Prizzi e non solo.Un grazie di cuore per il patrimonio culturale che lascerà ai posteri!Le auguro ancora una lunga e produttiva vita tra di noi e per noi.
    Prof.ssa Rosa Faragi.

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