Nati non foste

(Carmelo Fucarino)

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29 agosto 2011, un secolo e un anno, dire 101 anni di vita. Era l’anno 1910, quando mons. Carmelo Amato vedeva la luce, uno dei tanti figli di una famiglia numerosa dell’epoca. Anna Kuliscioff tuonava contro il gruppo socialista che aveva votato la fiducia a Luzzati, entrando «nel gran calderone dei ciarlatani del mondo politico borghese», e si formavano i primi nuclei di Azione Cattolica. Eppure le lunghe esperienze di vita non hanno affievolito quello spirito guerriero, quella freschezza di ricordi e di intelligenza, la straordinaria capacità di cogliere i mutamenti della società contemporanea e riviverla nella sua traiettoria esistenziale. Ha accolto con amore ed entusiasmo l’invito ad essere presente alla presentazione della mia raccolta di poesie, Percorsi di labirinto, nella sala consiliare di Prizzi, avvenuta il 26 agosto con la magistrale introduzione e sintesi tematica e stilistica di Tommaso Romano. Quello che però era il clou della serata era per me il recital, la parola che attraverso la voce diventa vita. Di questo devo dare un grazie di cuore a tutti coloro che si sono cimentati in questo arduo compito, trasformare in attimi di vita un bebiomenon risolto in lampi lirici e segni assemblati di alfabeto.

Da parte mia devo dire che la magia della serata ha segnato il mio cuore nel ricordo dei miei anni scolastici, rivissuti dalla voce tremolante del mio professore di religione. A ben pensarci in quel mio ingresso alla scuola media egli non era un ragazzino, se già aveva compiuto i suoi trentotto anni, quel fatidico e gravido di eventi 1948. Non sentii il risveglio di quel 1° gennaio con la Costituzione repubblicana, né seppi dell’assassinio di Gandhi. Eppure oggi riflettendo, «I tuoi anni / pesano sulle mie spalle, / ma mi conforta la speranza / che altri trenta possono spettarmi / e forse più», mi sembra come se fosse ieri la mia presenza in quella classe, il mio posto al primo banco della fila vicina all’entrata e quella voce robusta e che non ammetteva repliche o distrazioni. Ora me lo trovo a rievocare la mia esistenza, bontà sua, la mia sete di conoscere e sapere, il mio spirito attento alla profondità della lettura. È la freschezza della sua mente che si distende serena e consapevole, senza bisogno di appunti e di pezzi d carta, il richiamo civile al poeta Zanella, ve lo ricordate, era in tutti i libri scolastici di quegli anni, la sapienza popolare che plasmava gli spiriti: «sapere, sapere, conoscere sempre, / avanzan avanzan, spirito straniero, conosci la stanza che il padre ti diede», rievoca sicuro i versi che ora non riesco a ben ricordare. E poi lo spirito del divino poeta nei celebri versi di «vertude e conoscenza», che scandisce a cominciare dal solenne attacco «Uomini siate…» e infine S. Tommaso che esalta la conoscenza come benedizione divina. L’altro giorno mi recitava con fervore e grande slancio e miracolosa sicurezza un sonetto di Petrarca sull’incedere del tempo e la maledizione dei giorni perduti. E poi l’accorato appello alla conoscenza, «I giovani non amano il sapere. Impegniamoci a risvegliare questa sete di sapere. Conoscere il passato è importante. Come diceva Cicerone, chi non conosce il passato non può progredire mai». Perciò alto e imperioso proclama il suo messaggio, l’appello a conoscere, ma soprattutto a sapere conoscere. E emotivamente forte, quel suo «grazie» a me per l’occasione che gli ho dato vale più di qualsiasi elogio e premio letterario.

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