COME ERAVAMO

Sulla tavola del principe

(Renata De Simone)

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La data completa nel documento manca, la carta ingiallita porta scritto a mano il giorno e il mese,15 marzo, il proprietario del foglietto conservato gelosamente tra le carte d’archivio, è il principe di Villafranca. A tener conto degli altri documenti conservati nel grosso faldone si tratta di un manoscritto, su modello prestampato, che risale alla prima metà dell’Ottocento. E’ pure incerta la città da cui proviene, poiché si sa i nobili siciliani amavano viaggiare per motivi d’affari o semplicemente per impegni personali più o meno mondani o, specie se appartenenti al gentil sesso, per rinnovare periodicamente il proprio guardaroba o l’arredo domestico. Così conosciamo gli indirizzi di fornitori e commercianti di Napoli, Parigi, Londra attraverso i cataloghi e gli avvisi pubblicitari che spesso si trovano tra le carte di un archivio di famiglia, quando i proprietari si chiamano Moncada, Belmonte, Lanza o Spatafora.

Un Avviso di passaggio della ditta Ventura di Milano, fornitrice di Casa Reale, indirizzata nel 1905 alla Principessa di Villafranca, presso il Grand Hotel Des Palmes di Palermo, la invita ad visionare la splendida collezione degli ultimissimi modelli in toilettes, costumi da passaggio, confezioni, sorties da teatro; una Cartolina postale dello stesso anno informa con l’invio del campionario di stoffe della collezione autunno-inverno della ditta Wollen Tuch di Milano su richiesta di Amalia Alliata. L’indirizzo è il Palazzo Villafranca di piazza Bologni, a Palermo.  La ditta Successori Marchesini gioiellieri di Roma invia alla principessa Alliata, abituale cliente, i disegni dei gioielli in vendita con l’indicazione delle pietre usate e i relativi prezzi. In questo dettagliato ottocentesco elenco indirizzato al principe, si tratta però di un genere diverso di forniture: si tratta infatti di pietanze, presentate con incredibile scelta e accompagnate dai relativi prezzi,da un ristoratore, di cui si conosce solo il nome, Giuseppe Vigna, ricette fatte apposta per stuzzicare gli appetiti di un ricco cliente. Qualche esempio: cappone lesso, tortina di fegatini, costolette al sugo, castrato con fagioli, piccione con carote, fricassea di vitello di latte, animelle all’acetosa, lingua alla tartara, lingua dolce e forte, pollo con riso, bove alla moda, bistecca all’inglese, orecchi farsiti. Come pesce c’è il nasello all’inglese, il baccalà, l’anguilla con salsa, il palamito arrosto, la frittura di mare. Restano un mistero piatti come la lingua in salsa brusca o l’aringha buona. Tra gli umidi troviamo pure la pasta frolla, la crema al rum e la pasticceria alla crema. Sono indicati come erbe i fagioli, i cavolfiori e gli spinaci, come arrosti l’agnello, il pollo e il rosbiff. Sono fritti i granelli, il cervello, il cavolfiore ma anche i bignè di mela. Per frutta il ristoratore offre uva, mele, nocciole e include il formaggio, il pane fresco è servito nella specialità italiana o francese, il vino può essere ordinario o, con un maggior costo, aleatico, frontignano, di Nizza, di Gordo, di Sciapagne. Fuori lista la pasta nella sola qualità di maccheroni grossi magri, a compensare per semplicità gli eccessi dell’elaborata produzione gastronomica in vendita. Il prezzo più alto? Come sempre il vino.

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