Un cenacolo d’altri tempi con al centro

 

il primo romanzo di Rosa Maria Ponte

“ Nel cuore della notte “

(  Santo Grasso)

 

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In una atmosfera di cordialità e di curiosità si è svolta la presentazione del romanzo di Rosa Maria Ponte “Nel cuore della notte” . Una cornice non usuale ha caratterizzato l’incontro avvenuto nei locali del Telimar, lungo il litorale marino che porta a Mondello. Non la solita cattedra che in genere distanzia l’uditorio ma un accogliente salotto dove a più voci ha avuto luogo , quasi un cenacolo d’altri tempi, una interessante e vivace comunicazione sull’opera dell’autrice.

Nella sua introduzione Carmelo Fucarino si è soffermato soprattutto “sulle coordinate temporali “, richiamate da Antonio Martorana nella prefazione al romanzo, e sulle motivazioni e l’ispirazione dell’autrice con un breve accenno alla trama ed ai personaggi presenti nel libro evidenziando come questa prima opera si innesti in un continuum con l’attività pittorica dell’artista. E’ seguita una riflessione sul romanzo dell’amico Leone che ha espresso , da amante della lettura, apprezzamento per questo primo impegno di Rosa Maria Ponte auspicando che altre opere facciano seguito e che il successo possa gratificarla ulteriormente in questa nuova avventura letteraria. Ho avuto modo di leggere circa un mese addietro il libro di Rosa Maria Ponte e l’autrice mi ha chiesto di partecipare alla presentazione portando per l’occasione le mie impressioni, le mie suggestioni, le mie osservazioni e di darle in qualche modo forma scritta. Nel premettere che ho coltivato sin da giovane l’amore per la lettura e che tale passione mi accompagna anche oggi, è altrettanto vero che non ho mai scritto nulla su quanto ho letto né mi è capitato di partecipare attivamente a delle presentazioni di libri. Pertanto, quanto avrò modo di scrivere è solamente una valutazione strettamente personale e la stessa non ha alcuna presunzione di sostituirsi a quanto espresso sul testo dell’autrice da critici che svolgono tale professione. E tuttavia questa assenza di vincoli mi consentono certamente una libertà ed uno spazio interpretativo maggiori che, mi auguro , portino a delle considerazioni che non sottraggano nulla a quanto detto già sul romanzo ma al contrario ne amplino l’orizzonte e diventino momenti di confronto e di ulteriore conoscenza suscitando attorno al libro medesimo ed all’ autrice quella curiosità che generalmente è fattore fondamentale per favorire il successo o meno di un libro. Sin dalle prime pagine e dai primi capitoli la sensazione che mi ha preso è stata di spaesamento, come di un cercare e ricercare il filo conduttore di un percorso che più che delinearsi in una prospettiva lineare sembrava improvvisamente portarti su un terreno nuovo, come di un rimbalzare di eventi e di personaggi , con repentini cambi di scena sorprendenti e dirompenti quel fraseggio di immagini e di emozioni che la lettura cominciava a darmi e tutto ciò avveniva senza una apparente e logica motivazione. Lo spiega bene nella prefazione Antonio Martorana quando scrive “ la vicenda, infatti si snoda con piena libertà dalle coordinate temporali, intrecciando la temporalità della fiaba wildianaIl Principe Felicecon le intersecazioni tra tempo del raccontare e tempo delle cose che vengono raccontate “. I personaggi in gioco sono due ,” la Zia e la nipote Barbara “, il luogo dove ha inizio il racconto una panchina del Giardino Inglese a Palermo. Ma non intendo riassumere l’intera storia del romanzo, così come piace definire la sua opera l’Autrice e che sarà certamente più gradevole leggerlo. E proprio nelle prime pagine la nipote rivive il tempo dei Morti, quando ci si aspettava da loro i regali, allora ci credevamo davvero e che emozioni e fantasie! Si legge “ Dietro la poltrona del salotto, in lungo scatolo di cartone legato da un grande nastro rosa, c’era una meravigliosa bambola dai boccoli gialli e dal vestito di cotone azzurro tutto gale che pressando un bottone sulla pancia diceva “ mamma “ ed io la stringevo subito al petto, non sapevo ancora che solo lei mi avrebbe chiamato mamma “. Debbo ammettere che quando lessi questo breve passo ho provato una intensa e profonda emozione, come un pugno in pancia, ed avvertii una sensazione quasi impercettibile di un dramma dentro quelle poche parole e dentro quelle quattro righe. E quasi mi aspettavo che ci fosse un seguito, che si dicesse di più, ma non vi era niente di niente. Come di una evitazione e di una incombenza di un vuoto incolmabile che si avesse fretta di lasciarsi alle spalle. Si sa che il vuoto fa paura! Ritornai più volte su quel breve passaggio ed intatta è rimasta l’emozione provata fino alla fine della lettura del libro e soprattutto la percezione che quella affermazione così chiara ed enunciata e virgolettata potesse dire molto di più di quelle quattro righe che la contenevano. “ Non sapevo ancora che solo lei ( la bambola ) mi avrebbe chiamato mamma!” Una chiara sensazione di svelamento prese corpo nell’insieme della memoria che come lettore si arricchisce man mano che si procede nella lettura ed allora ebbi la consapevolezza che quella frase poteva essere “ la chiave di lettura “ del romanzo e probabilmente il terreno fertile della creatività su cui si radica l’origine di una storia che in seguito trova forma e spessore nella superficie visibile che è la scrittura. E’ vero, la Zia è protagonista ma la autentica protagonista della storia è Barbara e il vero senso di fondo della narrazione è la consapevolezza drammatica di questa impossibile maternità sullo sfondo di due vite parallele , nipote e zia negate all’amore, l’una a quello materno e l’altra a quello coniugale. Ed è proprio la nipote che nella sua vita è attraversata dalla stagione della fertilità ma dolorosamente è una stagione che non genererà alcun frutto. Anche Barbara incontra l’amore, quasi stupita che davvero un sentimento verso un uomo , Giulio, pur sposato, le apra le porte della passione e di una nuova vita. Le sarà concesso di trascorrere una vacanza in un’isola esotica e lontana, Cuba, ma anche per lei la storia dura un batter d’ali, come il volo della rondine che alla fine cade al suolo concludendo la sua esistenza quando uno sconosciuto nel pieno della notte bussa alla sua porta “ Quanto ti ho atteso ! “ – disse lei – “ Nessuno viene a quest’ora della notte per restare – disse l’ospite – “ sono venuto per portarti via con me. Sei pronta? “ Ed anche la rondine metaforicamente riecheggia questa visione infantile della intera storia in bilico tra il fiabesco ed il realismo della vicenda. L’autrice infatti si richiama non casualmente alla fiaba del “ Il Principe Felice di Oscar Wilde dove la rondine viene sempre chiamata “ the litte swallow “ o “ the little bird “. Ed anche per lei, “ la rondinella “ il destino non vorrà che diventi mai una rondine. Lei morirà ed il poeta conclude la fiaba “ Hai scelto bene – dice ad uno dei suoi angeli Dio – perché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno ”. E qui che la vicenda naturale e nel contempo innaturale della infertilità si innesta nella cultura del tempo, di un’epoca che individuava in termini quasi rigorosi sin dalla nascita i percorsi della vita della famiglia e dei suoi componenti. Ma tutto questo non accadrà. Anche quei cugini con i quali Barbara si accompagna nella infanzia nel giro di pochi anni scompariranno dalla sua vista. In rassegna una generazione di una Palermo riducibile soltanto a ricordi ed a fantasie di chissà quali vite mai vissute! Tutto ciò che ci circonda, uomini e cose , compresa la statua del Principe Felice a cui si spezza “ il cuore di piombo “, si scompone, si frantuma e neanche i cocci vale la pena raccogliere. Tutto si perde e si disperde. Ed nel romanzo questa dimensione nella quale la mancanza ha un sapore amaro permea senza mai perdere di consistenza il viaggio che conduce “ Nel cuore della notte “ laddove si svelano i sogni ed i fantasmi del passato. E, pur con tale latenza drammatica, Rosa Maria Ponte riesce in una prosa scorrevole e sobria a raccontarci con levità una storia intensa , quasi un volteggiare della sua rondinella nei cieli limpidi ed azzurri di una Palermo oramai lontana nel tempo e nella memoria emotiva, come richiamata da Carmelo Fucarino nella sua introduzione. Ma io credo che si possa immaginare una delle tante rondini che roteano nel cielo – allorquando in qualche pausa della nostra vita, volgiamo lo sguardo in alto – e che nel loro apparire ci comunicano che si è prossimi alla primavera come la sola stagione vissuta dalla protagonista del romanzo.

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