Sostengo io che Antonio Tabucchi… a Maria José de Lancastre

 

(Carmelo Fucarino)

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Foto Carmelo Fucarino – 20 luglio 1991

«Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione …». Io sostengo che non essendo un giornalista di professione non ho già pronta la sintesi completa della vita e dell’opera di Antonio Tabucchi, si dice in gergo assai allusivo e probante “coccodrillo”, con tante scuse per il sonnacchioso animale che si è beccata questa fama falsa e immeritata. Sostengo di non avere perciò da raccontare un suo invito alla Rua Monte Oliveta e di non avere avuto la fortuna di prendere con lui un whisky alle cinque della sera. Sostengo di non conoscere i suoi tic e le sue risate, perché non lo ho incontrato in una via di Lisboa. Tutto ciò mi è precluso e sostengo che stringergli la mano sarebbe stato il dono più grande della mia umile vita. Ma non sono un vincitore di Campiello, neppure vi ho presenziato, perché nessuno mi avrebbe invitato.

 

Allora in questo giorno del saluto all’uomo di Lisboa, sostengo di conoscere e amare l’uomo delle parole, l’uomo che cercava la verità e l’aveva trovato nella letteratura. Perché in lui c’è stato l’amore per una terra e una città. Mi chiedo se è riuscito a entrare nella sua anima, a viverne il respiro e il sentimento. Scriveva: «La Saudade, diceva Maria do Carmo, non è una parola, è una categoria dello spirito, solo i portoghesi riescono a sentirla, perché hanno questa parola per dire che ce l’hanno, lo ha detto un grande poeta. E allora cominciava a parlare di Fernando Pessoa». La Lisboa del fado, che rimandava al suo grande amore per il poeta.

Il suo Fernando Pessoa che cantava “Se penso mais que um momento”
 
Se penso mais que um momento
Na vida que eis a passar,
Sou para o meu pensamento
Um cadáver a esperar.
 
Dentro em breve (poucos anos
É quanto vive quem vive),
Eu, anseios e enganos,
Eu, quanto tive ou não tive,
 
Deixarei de ser visível
Na terra onde dá o Sol,
E, ou desfeito e insensível,
Ou ébrio de outro arrebol,
 
Terei perdido, suponho,
O contacto quente e humano
Com a terra, com o sonho,
Com mês a mês e ano a ano.
 
Por mais que o Sol doire a face
Dos dias, o espaço mudo
Lambra-nos que isso é disfarce
E que é a noite que é tudo.
 Perché sostengo il senso della vita era per lui un mistero,come 
quello della realtà delle cose e dei fatti. Scriveva ancora di
una sua scoperta: «L’essermi accorto un giorno, per le imprevedibili
circostanze della vita, che una certa cosa che era “così” era invece
 anche in un altro modo. Fu una scoperta che mi turbò».
Sostengo che in tutti i suoi scritti c’è questo sentimento del tempo 
e del mistero della vita. Ma sostengo soprattutto che amo come lui ha
 impiegato la sua vita, lontano e vicino alle brutture del nostro
 paese, quella presenza che ha graffiato l’inadeguatezza di certi 
uomini al potere, sì al potere e non al governo. Perciò sostengo 
oggi il suo carattere, le sue parole come pietre.
E mi piace vederlo davanti ad un tramonto infuocato dalla 
Torre de Belem o mentre si sperde nella Plaįa Rossio 
 fra le colonne del Chiostro del Mosteiro dos Jerónimos,
 Mosteiro dos Jerónimos, Mosteiro dos Jerónimos o mentre domina
 le meraviglie della città oltre l’Alfama dal belvedere
 del Castello di São Jorge.

Sostengo che solo questo potevo io dire, umile e ignoto complice di un piccolo blog.

E qui mi fermo, perché «Era meglio affrettarsi, il “Lisboa” sarebbe uscito fra poco e non c’era tempo da perdere, sostiene Pereira».

Postscriptum: non si danno a ragion veduta le fonti dei suoi testi citati.

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