LA CARTA COSTITUZIONALE SICILIANA DEL 1812 – Parte I

(Renata De Simone)

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Palazzo dei Normanni-Sala d’Ercole

Una Costituzione siciliana, frutto di lunga elaborazione speculativa ed espressione di un pensiero illuminato e riformatore, ma dalla brevissima esistenza, si ricorda quest’anno a Palermo con mostre, apertura straordinaria di locali-simbolo, proiezioni di documenti originali e pubblica lettura di brani tuttora di grande forza evocativa, nel Bicentenario della sua promulgazione. Ne fu qualificato estensore il Consesso dei parlamentari siciliani, ne fu sede ufficiale il Palazzo dei Normanni, attuale dimora dell’Assemblea Regionale Siciliana.

Il 18 giugno del 1812 nella Sala d’Ercole del Palazzo Reale di Palermo, alla presenza del principe ereditario Francesco di Borbone, vicario per delega regia, il Protonotaro del Regno Pietro Papè, principe di Valdina, apre con un discorso inaugurale il Parlamento straordinario di Sicilia che aveva l’obiettivo di dare una nuova organizzazione al Regno, prendendo come modello la Costituzione inglese. Erede di una tradizione che si vuole far risalire al Gran Conte Ruggero, conquistatore normanno delle terre in mano agli arabi, il Parlamento generale di Sicilia rappresentava tre componenti, o bracci, della compagine sociale isolana: quella militare, discendente, si dice, dai combattenti ricompensati con parte delle terre conquistate, quella ecclesiastica, costituita da ricchi prelati signori terrieri e quella demaniale, di diretto appannaggio del Re. In Sicilia le prime assemblee si limitavano a far da cornice alla corte del Re quando questi promulgava importanti leggi organiche. Così le famose assise di Ariano di re Ruggero II del 1140 o le costituzioni di Melfi promulgate nel 1231 da Federico II. Solo con Federico III d’Aragona nel 1296 si istituì una norma precisa che prescriveva la convocazione annuale del parlamento (De curia semel in anno facienda), regola che però non ebbe riscontro nella prassi corrente. Ben diverso il parlamentum convocato da re Martino nel 1398 a Siracusa, che riproponeva in Sicilia i tre bracci (ecclesiastico, militare o feudale e demaniale ) sul modello delle cortes catalane e che richiedeva un accoglimento positivo (placet) o negativo (non placet) del sovrano alle proposte avanzate dall’organo collegiale. L’ingresso al potere della dinastia castigliana, a partire dal 1412, segna un fondamentale cambiamento nel parlamento siciliano. Con Alfonso il Magnanimo la sanzione regia alle grazie chieste al re in assemblea (capitoli) era compensata dalla elargizione di donativi, cioè somme di denaro richieste dal re ai sudditi e l’efficacia delle leggi votate in Parlamento era vincolante per il sovrano. Si trattava cioè di leges pactatae. Il Parlamento era convocato ogni tre anni dal re o dal vicerè in via ordinaria. I tre bracci si riunivano separatamente per lo più in tre diverse parti della Cattedrale di Palermo. Solo per la concessione di nazionalità siciliana era richiesto il consenso unanime dei tre bracci. L’attività parlamentare si concludeva con l’approvazione dei donativi. Uno speciale istituto, la Deputazione del Regno, i cui membri restavano in carica tre anni, vigilava sull’esecuzione dei privilegi accordati dal re e curava la riscossione dei donativi. Di enorme rilievo per il contenuto innovativo dettato dalle correnti culturali settecentesche oltre che da vicende storiche coeve, l’assemblea parlamentare che si aprì a Palermo nel giugno del 1812 determinò dopo cinque mesi di intensa attività l’approvazione, il 7 novembre, di un testo costituzionale discusso, approvato e sottoposto, capitolo per capitolo, alla sanzione regia. Il re approva (placet regiae Majestati) , non approva (vetat) o approva apportando alcune modifiche al testo.

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