LA SICILIA E LA SPAGNA

(Gianfranco Romagnoli)

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I rapporti tra Sicilia e Spagna sono stati intensi fin dal medioevo e Palermo ne è la palese testimonianza. Stranamente, però, i palermitani sembrano avere cancellato questa memoria, mentre tengono viva quella delle epoche, ben più antiche, del regno normanno e della dominazione araba.  Quali le cause di questo atteggiamento? Probabilmente l’esosa tassazione imposta dal Conte Duca di Olivares, che ha fatto sentire il governo spagnolo come una dominazione straniera. Eppure, non di dominazione si trattò, ma di legittima successione al trono di Sicilia.

 

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Tralasciamo la massiccia presenza ab antiquo della nazione catalana di cui restano a Palermo importanti testimonianze architettoniche in stile, appunto, gotico-catalano, per occuparci dell’aspetto dinastico. Se vogliamo partire dalla monarchia aragonese, dobbiamo ricordare che Pietro d’Aragona il Grande nel 1282 divenne Re di Sicilia per legittima successione, avendo sposato Costanza, figlia di Manfredi e nipote di Federico II di Svevia. Gli successe il figlio Giacomo II detto Il Giusto (1285-1295). In quel tempo le corone di Aragona e Sicilia erano unite. Federico III, figlio di Pietro III, viene proclamato dai Siciliani nel 1296 Re dell’autonomo Regno di Sicilia con il nome di Pietro I: gli succedono Pietro II, Ludovico, Federico IV e infine Maria, sua figlia ed erede per testamento, che sposa Martino il Giovane, nipote di Pietro IV Re di Aragona: quest’ultimo però, incvocando la legge salica, si proclama Re di Sicilia in quanto erede in linea maschile, e cede il trono a Martino il Giovane, sposo di Maria, sicchè i due coniugi si trovano ad essere entrambi, a diverso titolo, Re di Sicilia. Infine, Martino il Vecchio, padre di Martino il Giovane, diviene Re di Aragona e,alla morte del figlio e della nuora senza eredi, diventa anche Re di Sicilia:le corone di Sicilia e di Aragona sono riunite nel 1412. Sarà Re di Sicilia anche Ferdinando II il Cattolico, marito di Isabella di Castiglia. Nel 1556, con Carlo V, si unificano le corone di Castiglia e di Aragona. Alla loro morte il figlio Filippo II, dal 1558 è re di Spagna e di Sicilia. Segue il periodo spagnolo, che durerà fino al 1714; nel 1734 Carlo III di Borbone diviene re di Napoli e della Sicilia, riconquistate alla Spagna dopo il dominio asburgico stabilito dal trattato di Utrecht. Nel 1759 viene chiamato al trono di Spagna: a lui, capostipite della dinastia dei Borbone di Napoli, seguono i re borbonici di quello che viene chiamato Regno delle Due Sicilie a seguito della unificazione della corona di Sicilia con quella di Napoli e di Sicilia: ma ciò non rientra più nel tema che qui trattiamo dei rapporti tra Sicilia e Spagna. Un bilancio della “dominazione” (rectius: legittimo governo) spagnola non può che essere positiva: è con i Vicerè spagnoli che Palermo, in particolare, assume l’aspetto di grande capitale (cabeza del Reyno) con il Palazzo Reale, l’apertura di Via Maqueda, la realizzazione della scenografica Piazza Vigliena (o dei Quattro Canti), le mura spagnole, l’apertura sul tracciato dell’antico Cassaro dell’intero percorso dell’attuale Corso Vittorio Emanuele, quale asse di parata per le cerimonie civili e religiose: in una parola, l’aspetto di città-teatro per la celebrazione dei fasti civili e religiosi, con grande coinvolgimento del popolo; per non parlare di tante splendide chiese. Non dimentichiamo, poi, che sono gli Spagnoli a “riscoprire” Santa Rosalia, e che illustri autori del Siglo de Oro, quali Lope de Vega, Antonio Mira de Amescua e Agustin de Salazar, quest’ultimo poeta di corte del Vicerè Albuquerque, hanno scritto commedie ambientate in Sicilia su San Benedetto il Moro e sulla stessa Santa Rosalia. Tra i Vicerè degni di ricordo, oltre ai già nominati Maqueda, Villena, Albuquerque e Olivares (il meno amato dai Siciliani), sono da ricordare Marcantonio Colonna, l’eroe di Lepanto; il duca di Osuna che ebbe come segratario il grande scrittore Francisco Quevedo e, come curiosità, Pedro Colón marchese di Veraguas, discendente di Cristoforo Colombo. Ne ometto tanti altri, che pur sarebbero meritevoli di menzione. E ancora: la toponomastica, il dialetto (per esempio, il siciliano “Carnezzeria” corrispone allo spagnolo Carniceria, i cognomi magari sicilianizzati (Cusumano deriva da Guzman), il carattere stesso altero dei palermitani, sono altrettanti palesi ed ampi lasciti spagnoli. Benedetto Croce diceva: non possiamo non dirci cristiani. Io affermo che noi siciliani (mi ci metto anch’io come siciliano d’adozione) non possiamo non dirci spagnoli.

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