Una serata eccezionale a Palazzo Mazzarino

(Carmelo Fucarino)

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È stata una serata eccezionale in tutti i sensi quella che hanno proposto nella cornice sontuosa del cortile di Palazzo Mazzarino, cortesemente ospitati dal nobiluomo, il Lions e i Leo del Club Palermo dei Vespri in collaborazione con il Progetto Itaca Palermo, in funzione di service di beneficenza. Intanto l’inizio è stato da grande evento, occasionalmente aperto dalla coincidenza non prevista, ma gradita della semifinale del Campionato Europeo con l’incontro di Italia-Germania. È stato un fuori programma straordinario, perché inserito in un contesto artistico assolutamente diverso. Dalle forme, anche se ad altissimo livello, dello sport, diciamo, nazional-popolare, del quale tutti gli Italiani indistintamente, di ogni età e classe sociale sono esperti, giocatori e arbitri da pantofole, si doveva subito dopo passare alla forma di musica più sofisticata ed elitaria, quella del concerto da camera, in cui strutture musicali ed esecuzione hanno bisogno di una particolare sensibilità e rara competenza tecnica. I due momenti si sono compenetrati e hanno accolto un pubblico, prima entusiasta degli altrettanto impensabili risultati davanti ad una squadra che tutti gli esperti e i tifosi nostri, oltre ai bookmaker, davano per favorita e poi attento all’esibizione e alla perizia degli artisti.

Pochi avrebbero scommesso sulla bravura dei calciatori italiani, definita eccezionale, tanto che, a detta dei cronisti televisivi e della stampa, «sono saliti in cattedra» e hanno dato ai tracotanti tedeschi una «lezione di italiano», sia per gioco di squadra sia per perizia tecnica e organizzativa. E il palermitano del Ghana è assurto ad eroe nazionale, l’ercole che si è impresso nei cuori attraverso l’immagine scultorea di un Apollo nero. Ci si è dimenticati della gloriosa legge Bossi-Fini che il mondo ci invidia, si è patriotticamente taciuto dei fischi che lo hanno accolto spesso nei nobili campi di calcio della pianura della “nebbia” (quella delle previsioni di un celebre metereologo di decenni fa, detto colonnello Bernacca). Ora tutti avrebbero voluto abbracciarlo, lui due volte “inferiore”, perché di colore e perché siciliano di nascita e formazione. Se qualcuno ha volontà di infierire lo faccia ancora, tanto fino a pochi anni fa a New York gli Italiani oggi sulla cresta dell’onda per i Pacino, gli Scorzese e i Ferrara dopo il disonore di Puzo, fino a pochi decenni fa erano catalogati nelle definizioni socio-politiche come coloured, sì, identici al popolo di colore. Scialate veneti e lombardi di colore, seconde quelle classifiche americane, quelle della testimone Ellis Island, Museo dell’orrore, non parlo del profondo Sud dell’Alabama o della Virginia dei raccoglitori di cotone. Tutta l’Italia è esplosa all’unisono in un urlo di liberazione, complice la Merkel (Canzel-pensiero in Dialogo sul futuro della Germania, da Platone agli spread) e la fumosa boria di lavoratori stakanovisti che godono di tutti i privilegi, perché un colosso di colore, giunto da Palermo, aveva tirato il pallone in rete con un tiro da sogno, complice Cassano. Perché nell’agonismo, in calcio si chiama tifo, come la terribile malattia egualitaria di un tempo, siamo irrimediabilmente di stirpe e sangue italiano, nei confini che quel Dante iracondo stabilì dalle Alpi alla Trinacria, come giardino di Europa. E anche Palermo fu invasa, anche la nobile via Maqueda, dalle orde urlanti, dai ritmi ossessivi di fischietti, trombette e tamburi da stadio, la furia frenetica della vittoria, che ad ondate si snodava in un tempo ed in uno spazio infinito. In questo clima di tregenda si è dovuto dar via ad un concerto, cosa impensabile, cosa surreale! Immaginate lo sdegno raggelante in un teatro di qualsiasi genere per un colpettino irrefrenabile di tosse, aborriti e repressi gli starnuti, sdegnosamente deprecabili ed esclusi con annunzi stentorei i cosiddetti telefonini o cellulari (non per trasporto dei detenuti, bei neologismi come l’impertinente esondare). Pure i respiri sono esclusi nei teatri di lirica, eppure miracolo, si è svolto in quell’atrio, ad ora tarda, immersi nel liquido di un’afa che faceva sciogliere i marmi, un concerto per violino, pianoforte e cantatrici, soprano e mezzosoprano. Un grazie e un plauso al pianista Fabio Correnti e al violinista Francesco La Bruna che hanno animato la serata, soli o accompagnando il mezzosoprano Alessia Sparaccio e il soprano Irene Savignano in un repertorio vario e di grande rispetto. In quel bailamme di rumori e di pazzia collettiva ha cominciato il violino con il breve pezzo, Chanson de nuit et de matin, op. 15, di E. Elgar, tema malinconico congeniale all’autore e arrangiato per violino e piano. Composti separatamente nel 1897 e nel 1899, furono uniti nel 1901 e diedero slancio alla fama sorgente dell’autore, soprattutto per la popolarità del primo brano. Il tema malinconico prende forma però in una struttura organica nel secondo passo e oggi coinvolge di più. Pur tra urla strombazzi di trombe e tamburi da stadio. Casualmente intonato al momento epico-patriottico il rondò di Isabella Pensa alla patria e intrepido dal secondo atto dell’opera buffa del 1813 L’Italiana in Algeri di Rossini, alla quale ha dato colore e animo Alessia Sparacio. Erano i tempi in cui la milanese Antonietta Frapolli, realmente rapita dai corsari per un harem, incita le compagne schiave a ribellarsi, al suo amato ad essere intrepido. Ancora il violino ha eseguito l’asolo del Liebesleid, il canto di amore del viennese Fritz Kreisler e poi il Cantabile di Paganini, nato per violino e chitarra, entrambi pezzi di intonazione romantica. Non poteva mancare il repertorio di Tosti e il celebre Non t’amo più, prova di bravura del mezzosoprano e un tempo struggente melodia del tenore Aureliano Pertile. E come non commuoversi in quel «le parole tue furon mendaci» o nella nostalgia dei giorni «che passammo assieme» e nel dramma di quell’«avrei dato il mio sangue» fino al doloroso rifiuto del «non t’amo più». Altra tristezza nell’infelice Manon di Massenet che si perde nella nostalgia della casa, ma pronta a tradire per seguire il ricco De Brétigny, nell’Adieu notre petite table. E ancora un desiderio di dimenticare nella mesta Oblivion del virtuoso del bandoneón e riformatore del tango argentino, l’Ástor Piazzolla della nostra giovinezza, cronologicamente secondo a Carlos Gardel, e sempre la tristezza del violino in quell’altro Massenet in una meditazione dalla Thaïs. In mezzo la forza del Verdi all’esordio con l’Aria di Cunizza Oh chi torna l’ardente pensiero (atto II, scena I) dall’Oberto, Conte di San Bonifacio, dato alla Scala nel 1839, di influsso ancora donizettiano, ma di timbro e ritmo senz’altro verdiani. A sollevare gli animi il brano conclusivo dell’ammiccante Habanera di Carmen di George Bizet, quel gustoso L’amour est un oiseau rebelle, ritmato tutto su un solo motivo. A me francamente dà il senso dell’infinito quell’allegro e sorprendente terzo movimento della Rapsodia spagnola di Maurice Ravel. Fuori programma un delizioso bis, nel languido ammiccante miagolare, tanto noto come il Duetto buffo di due gatti e qui proposto a solo, in un adescante e insistente miau (per la leggerezza attribuito al Rossini comico). A ricordarci la gatta seria di Gino Paoli o il maldestro Gatto Silvestro o l’amorevole gatto che insegnò alla gabbanella a volare, per citare sulle dita qualcuno degli infiniti amanti dei gatti. È stato un programma vario per temi e cronologia. Peccato per la serata poco adatta al sibilo del violino. La serata delle scorrerie per le strade palermitane continuò, felici tutti e pazzi di amore per una squadra di eroi per una notte, professionisti del calcio, quello delle scommesse cinesi e dei compensi milionari (per ogni partita vinta, e straordinari per semifinale e finale).

Post scriptum. Un giornale titola a caratteri cubitali “Pianto azzurro”. Forse oggi non si addice più alle femminucce, ma agli eroi rotti. All’unisono le TV: “siamo usciti a testa alta”. Per un sonoro 4 a 0. Monti: «Ci avete fatto sognare, siamo fieri di voi». Solo qualcuno a sangue freddo azzarda, “umiliazione”. Il Presidente si commuove: «Fieri e generosi, siete lo specchio dell’Italia». Il solito scemo, pur se altro comico sceso in campo, spara su arbitri ed altro. Siamo sempre esagerati nel bene e nel male.

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