Salvatore Quasimodo e i poeti siciliani del Novecento- Seconda parte

(Tommaso Aiello)

image

Salvatore Quasimodo è una delle voci più alte del Novecento poetico,interprete della condizione umana tra negazione e speranza.In lui il motivo insulare è il cordone ombelicale che lo tiene legato alla terra madre,la costante che si evolve nel significato aderendo alle diverse stagioni della sua produzione.Nel ’50 Quasimodo scriveva che ogni poeta si ritaglia uno spazio,sceglie”una siepe come confine del mondo”.”La mia siepe è la SICILIA:una siepe che chiude antichissime civiltà e necropoli e latomie e telamoni spezzati sull’erba e cave di salgemma e zolfare e donne in pianto da secoli per i figli uccisi,e furori contenuti o scatenati,banditi per amore o per giustizia”.

Al suo fondo di siculo-greco occorre rifarsi per comprendere anche il retroterra mitologico di tanta sua poesia o il peso che il Classicismo ha esercitato sull’essenzialità del suo stile,in una ricerca che in parte ha coinciso e si è identificata con quella degli ermetici. Il motivo dell’isola appare tanto più radicato in  Quasimodo in quanto egli,non diversamente da altri suoi conterranei,lo vive nell’intensità del distacco,dell’esilio(dal 1919 abbandona la Sicilia). Nord e Sud,Sicilia e Milano sono i poli aggregativi della sua esperienza vitale,ma l’inserimento nel tessuto della civiltà settentrionale,più evoluta,fa scattare nel poeta il ricordo nostalgico della terra lontana,dell’infanzia,il motivo autobiografico che si carica di significati esistenziali,il tema della Sicilia che diventa luogo via via mitizzato ma anche,col trascorrere degli anni,terra rappresentata nella sua viva realtà storica,nella sofferenza umana della sua gente.Nella prima silloge poetica,Acque e terre(1930),Quasimodo esprime il suo sicilianismo intessuto di nostalgia e rimpianto(si leggano Vicolo,Albero,Terra).In Vento a Tindari l’isola,rivisitata dalla memoria,diviene raffigurazione mitica di uno spazio edenico perduto.La depurazione dell’autobiagrafismo,il processo di scarnificazione del linguaggio e la ricerca dell’essenzialità nello stile si fanno evidenti nelle raccolte più tipicamente ermetiche di Oboe sommerso(1932)e di Erato e Apòllion(1936),dove l’evocazione-sul filo del ricordo-della Sicilia o dell’infanzia sembra opporsi su un piano mitico all’aridità del presente.Nelle Nuove poesie(1938) la memoria restituisce al poeta una Sicilia che coniuga mito e realtà,che contiene forse qualche<< segno vero della vita>> e un alito di speranza in RIDE LA GAZZA,NERA SUGLI ARANCI.La poesia,che prende il titolo dall’ultimo verso,è,come numerose altre di Quasimodo,una ardente rievocazione di lontani ricordi della sua fanciullezza,trascorsa in selvaggia libertà nella Sicilia natia,presso il mare.Una sera,talmente viva è tornata in lui la presenza degli antichi compagni di gioco,che gli sembrano un segno vero della vita,non una visione irreale della memoria.Egli è tra loro.che con leggeri moti del capo danzano in un gioco di cadenze e di voci lungo il prato di una chiesa siciliana.Con sentimento di gratitudine,il Poeta esclama<<Pietà della sera!>> sopra l’erba verde del sagrato.Ciò si è forse verificato perché nella memoria del Poeta ha sempre breve sonno il ricordo di quei compagni d’infanzia;è,anzi,un così vero segno di vita,ora,da indurlo a invitare le ombre riaccese a destarsi,a rivivere come allora.Egli è con loro,in una lontana sera della sua infanzia.Ma quell’ora non è più sua;l’infanzia è da gran tempo passata:i compagni di gioco d’allora sono ormai”arsi,remoti simulacri”.L’animo del Poeta è ripreso dall’amarezza dei ricordi,incapaci di restituirgli il passato nella sua concreta realtà.Lontano dalla terra natia,nell’ora serale dì un plenilunio che gli ha destato così viva memoria,il Poeta chiede al vento del sud forte di zagare (il vento caldo della sua Sicilia intensamente profumata di fiori d’arancio), con poetica fantasia,di spingere la luna dove ormai dormono nudi i ragazzi che prima gli è sembrato di rivedere. E’ l’ora che l’airone avanza verso l’acqua fiutando lento,col becco, il fango tra le spine e i canneti della riva in cerca di preda;è l’ora che sugli aranci ride la gazza,nera.

clip_image002

Forse è un segno vero della vita:

intorno a me fanciulli con leggeri

moti del capo danzano in un gioco

di cadenze e di voci lungo il prato

della chiesa:pietà della sera,ombre

riaccese sopra l’erba così verde,bellissime nel fuoco della luna!

Memoria vi concede breve sonno;

ora,destatevi.Ecco,scroscia il pozzo

per la prima marea.Questa è l’ora;

non più mia.arsi,remoti simulacri.

E tu vento del sud forte di zàgare,

spingi la luna dove nudi dormono

fanciulli,forza il puledro sui campi

umidi d’orme di cavalle,aprile il mare,alza le nuvole dagli alberi:

già l’airone s’avanza verso l’acqua

e fiuta lento il fango tra le spine, ride la gazza,nera sugli aranci.

E’ dalla sua anima grigia di rancori che l’autore s’immerge nel vento della Strada di Agrigentodove i residui del passato storico convivono con l’umile umanità attuale,mentre il suono dell’antico corno pastorale è un richiamo alla vita,a cui corrisponde la dolorosa consapevolezza d’una colpevole inerzia collettiva(Che vuoi,pastore d’aria?).La diversa tensione raffigurativa prelude alle  raccolte del dopoguerra,in cui la poesia di Quasimodo tende ad acquisire una misura corale,sostenuta da motivazioni etiche e civili.Così nella raccolta del ‘47,Giorno dopo giorno, troviamo molte poesie ispirate a dolorosi episodi bellici dei quali il Poeta fu testimone in quegli anni in Lombardia e l’ultima”Uomo del mio tempo”,in certo qual modo,riassume il suo pensiero sulla guerra,elevandosi come protesta contro la millenaria crudeltà dell’uomo,sempre pronto a uccidere il proprio simile,fin dai più remoti tempi:<<sei ancora quello della pietra e della fionda,/uomo del mio tempo…>>.La pietra e la fionda fanno andare col pensiero alla pietra che impugnò Caino per uccidere Abele,alla fionda usata da Davide per uccidere il gigante Golia;ma il Poeta le assume come simbolo delle armi che prime servirono all’uomo nei suoi dissennati propositi omicidi,e che oggi si chiamano aeroplani da bombardamento,cannoni,carri armati,mitra e altri strumenti di morte e di tortura.Il Poeta immagina che l’uomo del suo tempo(ma quanto è simile all’uomo del nostro tempo in tante parti del mondo)abbia impugnato le armi come di nascosto,perché consapevole di agire male e gli grida<<T’ho visto>> per inchiodarlo alle sue tremende responsabilità verso i propri simili. Il sangue versato ora è sangue fraterno e odora come quello di cui parla la Bibbia. Preso dall’orrore per il sangue versato di generazione in generazione,il Poeta grida ai figli di dimenticare le nuvole di sangue salite dalla terra durante la guerra,di dimenticare i padri,perché le loro tombe “affondano nella cenere” e il loro cuore è coperto soltanto da uccelli neri(simboli di malaugurio) e dal vento(simbolo della inutilità della loro vita,spesa odiando i propri simili).

Sei ancora quello della pietra e della fionda;

uomo del mio tempo:Eri nella carlinga,

con le ali maligne,le meridiane di morte,

-t’ho visto-dentro il carro di fuoco,alle forche,

alle ruote di tortura.T’ho visto:eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore,senza Cristo.Hai ucciso ancora,

come sempre,come uccisero i padri,come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all’altro fratello:

<<Andiamo ai campi>>.E quell’eco fredda,tenace,

è giunta fino a te,dentro la tua giornata.

Dimenticate,o figli,le nuvole di sangue

Salite dalla terra,dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri,il vento,coprono il loro cuore.

E in”A me pellegrino”,la lontananza della donna richiama quella della terra rappresentata,al di là di ogni mitizzazione,realisticamente nella tragedia della guerra:<<La nostra terra è lontana,nel sud,/calda di lacrime e di lutti.Donne,/laggiù,nei neri scialli/parlano a mezza voce della morte,/sugli usci delle case>>.Il generoso progetto di adeguamento della poesia al tempo storico traspare nel “Lamento per il Sud,che figura tra i componimenti de “La vita non è sogno”(1949):nella struttura epico-elegiaca del testo,alle immagini antiche che sbiadiscono nella memoria subentrano quelle di un Sud storicamente proteso verso la giustizia sociale.Eppure,il meridionalismo non esclude il recupero della terra nella dimensione intima del colloquio dolcissimo con la vecchia madre(Lettera alla madre),a cui seguirà quello altrettanto vibrante di intensità umana di “Al padre”,ne “La terra impareggiabile(1958).

clip_image004

Emigranti – Foto Aiello(1964)

Nell’ultima raccolta,”Dare e avere” (1966),Quasimodo è al consuntivo finale e perciò, accanto alla raffigurazione del disagio neocapitalistico degli anni Sessanta, affiora il pensiero virilmente accettato della morte che richiama ricordi luminosi dell’isola. In questo contesto il poeta sigla,nell’identità con la gente di Sicilia,la sua condizione prima ed ultima:nella figura popolare dell’emi-grante riassume quella dell’esiliato che accetta,con animo rassegnato. di compiere l’ultimo viaggio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy