LA CAFFETTERIA BARNES

( Aurora D’Amico)

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Quattro generazioni. La caffetteria in via Fitzgerald, la magnifica caffetteria della famiglia Barnes, era stata fondata negli anni ’20; gli “Anni ruggenti”.  Il vecchio nonno Bill è seduto sulla sua poltrona in pelle, mentre il nipote, più sorridente che mai, serve i clienti. Questi ultimi, poi, si avvicinano per salutare il nonno e per sentire ancora una volta le storie che caratterizzano la caffetteria Barnes. “Erano gli anni del Jazz” il nonno Barnes inizia sempre allo stesso modo, e continua a raccontare indicando le fotografie in bianco e nero alle sue spalle, tutte firmate dai grandi della letteratura e della musica. Racconta di come il suo unico compito all’epoca fosse quello di “stare seduto e guardare”.  “Era la cosa migliore che mio padre mi potesse chiedere di fare” dice. “Perché?” chiede un ragazzo in giacca e cravatta, mentre attende la sua dose di caffè. “Perché ogni giorno accadeva sempre qualcosa di nuovo.” Improvvisamente tutti si radunano attorno al nonno e sembra quasi di potere vedere il vecchio pianoforte alla sua destra prendere vita e suonare nuovamente quelle note ora gentili e ora beffarde, tipiche del jazz.  Ed ecco il fumo annebbiare la vista di tutti i presenti; le donne che entrano nella caffetteria indossano abiti senza spalline, arricchiti con lunghe frange che brillano e si muovono ad ogni passo; gli uomini poggiano le giacche sulle sedie e accendono una sigaretta dopo l’altra, mentre qualcuno urla il nome del cameriere tra la folla.

 

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Tutti si conoscono, pochi si salutano. L’aria è chiassosa e al piccolo Bill non è concesso di rimanere alla caffetteria fino a tardi. Ma basta sbirciare da una piccola fessura nel muro e il gioco è fatto. Lì seduto nel suo solito angolo c’è il giornalista della città. Depresso e alla ricerca di uno scoop sufficiente per pagare l’affitto anche di questo mese, Jack è intento a bere qualcosa che non somiglia affatto a del caffè. Nel lato opposto del locale si sta riunendo una combriccola di giovani soldati, tutti accompagnati da donne altamente desiderabili. Uno di loro inizia a ballare, facendo roteare la compagna a tempo con la musica, per poi afferrarla e baciarla appassionatamente. Iniziano tutti a ridere fragorosamente. Cercando di guardare oltre alla nuvola di fumo il piccolo Bill intravede il padre, illuminato da una luce giallastra, servire i clienti abituali. Poi un rumore di vetro rotto: una rissa! Il giornalista è stato scaraventato per terra dal pugno di Scott, un giovane scrittore da poco trasferitosi in città.

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Sembra che nessuno se ne sia accorto: tutti continuano a parlare, fumare, bere e ballare. Ma il signor Barnes si avvicina lentamente a Scott, gli poggia una mano sulla spalla e lo conduce al bancone del locale, offrendogli una tazza della sua migliore bevanda.  Poco dopo le porte si spalancano ed ecco entrare una magnifica fanciulla dai capelli biondi; il viso angelico nasconde invano una virtuosa ballerina e una tremenda amante. E se il locale non si era fermato per la rissa tra Scott e il giornalista, adesso si era decisamente zittito all’ingresso della ragazza, conosciuta da tutti come la figlia del giudice. La gelosia inizia a prendere forma: alcuni uomini fingono di non darle attenzioni, altri le cadono ai piedi senza doversi nascondere. Quella ragazza sarebbe stata il grande amore di Scott. “E quanto lo fece penare!” aggiunge il nonno, ridacchiando e tossendo contemporaneamente.  Qualche anno dopo Bill prese le vesti del padre. E la storia sembrò ripetersi quando fu il turno del figlio di Bill, e del figlio del figlio di Bill. Tutto procedeva alla stessa maniera. Ma ciò che cambiava era il mondo attorno a loro. In qualche modo il signor Barnes, colui che iniziò l’attività, l’aveva capito. E quando cedette la caffetteria al figlio, fece scrivere sul muro, sopra la porta d’ingresso, “As Time Goes By” (Mentre il Tempo Passa), il titolo di una canzone degli anni Trenta. Quella scritta c’è ancora; logorata dal tempo, sì. Ma è ancora là a sorvegliare la caffetteria, mentre il tempo passa.

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