SAVIEZZA E FOLLIA IN DON CHISCIOTTE E NEL SUO SCUDIERO

( Rossella Cerniglia )

Terza parte

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Cervantes si diverte a mettere in dubbio alcune affermazioni del cronista veridico, fonte e documento per la sua opera, cioè Cide Hamete Benengeli, il quale, poi, in quanto arabo, ovvero “miscredente” e “mago” – come è presentato dallo stesso Cervantes- è già di per sé poco credibile, falso e ingannatore per antonomasia.Si inaugura, dunque, una visione prospettica non più rigidamente dualistica, ma un dissonante quadro fatto di una miriade di sfaccettature, una visione relativistica del mondo dove ogni verità non è mai la Verità.

 

E qui il discorso può ben allargarsi collegandosi a un fatto culturale di epocale risonanza, al passaggio, vale a dire, da una visione del mondo dominata dalla fede – religiosa o umanistica che sia – a una visione disincantata, frastornata, ambigua, che annuncia atmosfere inquiete e torbide e prelude alla nascita di una sensibilità nuova, a un senso di sradicamento e di insicurezza su cui si innesteranno il Manierismo e lo stesso Barocco. Il romanzo, nella sua complessità, getta, altresì, una luce sull’incidenza del fatto storico in questo cambiamento di rotta. L’aprirsi di questa nuova visione, non più incentrata su certezze, e di questa nuova sensibilità, mostra i suoi legami con la storia, con un fatto di importanza capitale per la Spagna intera che, giunta al culmine della potenza e dello splendore, avverte, tuttavia, l’imminente sprofondamento, il naufragio dei suoi sogni imperialistici. Ma è come se questo sgretolamento fosse sotterraneo, minasse nascostamente le sue fondamenta, come se una volontà cocciuta e anonima lo occultasse dietro un lustro solo di facciata: così ciò che è non appare, e ciò che non è, invece, si mostra, anzi è spesso ostentato ed enfatizzato.La ricchezza affluita dai territori d’oltremare non è stata investita in attività produttive e non ha prodotto ricchezza, ma solo un suo sembiante, si è risolta in ostentazione di sé, in un lustro puramente esteriore; ed anzi di sé ha decretato la fine e la fine stessa della Spagna e del suo sogno di gloria. Il disastro dell’Invincibile Armata è il segno di questa doppiezza, di questa situazione terribilmente al limite, in bilico tra grandezza e rovina.  Nel romanzo e nell’espressione della saviezza e della follia dei nostri personaggi si rispecchia anche questa doppiezza: uno splendore, una ricchezza e una potenza che vogliono presentarsi come vere, ma che sono ormai apparenza e non-verità, e una verità che non emerge, che è tenuta, per quel che è possibile, nascosta – la miseria, lo squallore incombente- che sono veri, ma occultati da un lustro insincero. Il rinsavimento di Don Chisciotte, in prossimità della morte, e il ridimensionamento di Sancio, che torna entro i confini del suo status sociale, definito, diciamo, dalla nascita, rappresentano la stessa maturazione, la stessa superiore sapienza della vita che è nel Cervantes adulto, distante, ormai, dai sogni e dalle aspettative giovanili; temprato, possiamo dire, dalle esperienze che dall’iperuranio artistico-letterario lo portano a contatto con una realtà variegata, il cui insegnamento consiste nell’accettazione delle diversità, del carattere multiforme della verità che si alimenta e vive di tutte le piccole e grandi contraddizioni. Rappresenta, in ultimo, il rappacificamento dell’uomo con se stesso e con le cose e gli accadimenti del mondo. Perciò l’opera si conclude con una rasserenata visione, nella quale crolla ogni insanabile dicotomia, gli opposti si compenetrano e ogni cosa si risolve in un immanentismo che è mite accettazione della vita e del destino che a ciascuno è dato. ( Fine)

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