LO STRAPIOMBO

( Aurora D’amico)

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Arizona. 38 gradi all’ombra e più di 43 al sole. I miei piedi sporgono di due centimetri dal profondo precipizio che mi si trova davanti. Improvvisamente mi chiedo cosa mi ha condotto fin qui. È una giornata così bella, penso: il cielo è azzurro e ci sono solo un paio di nuvole all’orizzonte. Chiudo gli occhi e mi lascio accarezzare il volto dal vento che proviene dal fondo del burrone. E mentre sono lì, con gli occhi chiusi, tutta la mia vita mi passa davanti in un velocissimo flashback. Lacrime pesanti iniziano a rigarmi le guance accaldate. È una sensazione piacevole. Riesco a percepire il battito del mio cuore aumentare senza freni. Il respiro si fa affannoso   e apro immediatamente gli occhi, prima di perdere l’equilibrio. C’è davvero troppo caldo e le mie labbra sono diventate secche quasi come la terra su cui poggio i piedi. Ma un passo falso, e cado giù; in quel burrone di cui nemmeno riesco a percepire la profondità.

 

Cerco di mantenere la calma, nonostante le lacrime e il batticuore irrefrenabili. Una parte di me vuole buttarsi giù e farla finita; mentre un’altra continua a dirmi che basta un solo passo indietro per essere finalmente in salvo. Mi chiedo cos’è che voglio realmente. Guardo avanti e vedo le rocce, la terra, gli strapiombi che mi circondano. I miei occhi non smettono di girare a destra e a sinistra, mentre le mie mani sudano, tremanti. Basta. Voglio saltare giù. Altri dieci centimetri e i miei piedi possono finalmente sentire il vuoto. Il mio corpo è ormai protratto in avanti e il vento che proviene dal basso si fa più forte. Ormai non posso più domare me stesso. Niente può salvarmi. Perché sono io che non voglio essere salvato. Mi si forma un nodo alla gola; un nodo così stretto che mi impedisce completamente di deglutire. Vorrei urlare la mia disperazione nel vuoto che mi circonda, ma a che servirebbe?  Provo la stessa sensazione che ho provato a sette anni quando, per la prima volta in vita mia, mi sono trovato su un trampolino di una piscina: una fila di bambini dietro di me aspettava che finalmente decidessi di tuffarmi. “Avanti, datti una mossa!” riesco ancora a sentirli urlare.  Gli occhi di mia madre rasserenanti mi continuavano a suggerire da lontano di non sentirmi costretto a farlo. Avrei potuto provarci un’altra volta. Ma non volevo aspettare la prossima volta. Ricordo che sentivo tutti gli arti del mio corpo tremare e pregavo Dio che nessun bambino dietro di me si stancasse di aspettare e mi desse all’improvviso uno spintone verso l’acqua, per liberarsi velocemente della mia ingombrante presenza.  È acqua, penso guardando il precipizio. Ma non è così. Questo monologo interiore sta iniziando a stancarmi. Evidentemente non sono pronto a tutto questo. E quando finalmente faccio un passo indietro, deciso ad abbandonare quel luogo, qualcuno mi spinge all’altezza delle spalle con entrambe le mani e una forza disumana mi porta a sfidare la gravità. Non riesco ad urlare e penso che in un certo modo muovere gambe e braccia possa attenuare il dolore dell’impatto contro quel terreno, che vedo diventare sempre più vicino. Tutto il dolore sofferto durante la mia vita sarà niente paragonato a quello che sto per provare. Poi un brivido che parte dalla testa e finisce giù nei piedi mi sveglia. Sobbalzo sul letto. Che cosa significa questo sogno, dottore?

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