MUSICA, POESIA, MITO

(Gianfranco Romagnoli)

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E’ propria della musica la capacità di incidere profondamente, attraverso l’ascolto, sull’animo umano, creando in esso emozioni e sensazioni che catturano, ma la cui cifra non sempre risulta chiara e agevolmente decodificabile.  E’ noto che l’ascoltatore è, in una certa misura (talvolta anche notevole), guidato alla comprensione del brano musicale in quella che viene definita “musica a programma”, quando cioè il titolo stesso del brano ascoltato e/o delle sue articolazioni o parti, fa riferimento a elementi esteriori (in genere, della natura) o a situazioni interiori, la cui immagine possa essere suscitata attraverso le note. Siffatte indicazioni sono talora fornite dallo stesso compositore; più spesso, con interpretazione più o meno arbitraria, sono apposte a posteriori dall’editore a mo’ di titolo. Quando è lo stesso compositore – seppure abbastanza infrequentemente – a fornire la traccia da seguire nell’ascolto, questa è tanto più determinante quanto più grande è il musicista; tanto meno, invece, lo è quando la composizione si inquadra in una moda, come nella cosiddetta musica da salotto, efficace sì nell’effetto e talora anche innovativa, ma in genere ben più superficiale e che perciò parla meno all’anima.

 

Quando, al contrario, il brano musicale manca di “titoli” ma è contraddistinto solamente dall’indicazione della tonalità e da un nudo numero d’opera o di catalogo, un ampio spazio è lasciato all’ascoltatore per interpretarne lo spirito: una chiave di lettura può essere data dalla biografia del compositore, dal suo modo di percepirla nei suoi rapporti col mondo e di presentire il proprio destino, arrendendosi ad esso o cercando di determinarlo. Tutti possono ascoltare la musica e trarne, secondo le proprie capacità e sensibilità, indicazioni e suggestioni che presentano, comunque, un ampio margine soggettivo. Più difficile ed impegnativo è il compito dell’ascoltatore che sia anche poeta, nel quale cioè l’arte musicale suscita consonanze con la diversa Musa al cui servizio si è posto: un compito che consisterà in una trasposizione, nel rendere cioè l’idea che vede profeticamente enunciata nel brano musicale, attraverso lo strumento delle parole, facendo sì che queste risultino adeguate al “modello” quanto a livello artistico e non ne tradiscano l’intento. Anche in questo caso gioca la soggettività, che viene a coincidere con la poetica personale che presiede al verso: d’altronde, anche nell’esecuzione musicale ha un peso non indifferente la sensibilità soggettiva dell’interprete che, hic et nunc, “ricrea”, in modo sempre nuovo e diverso, la pagina musicale per chi l’ascolta (non così l’opera pittorica o poetica scritta, che si presenta al fruitore sempre identica a se stessa, pur se le assonanze interiori che suscita sono, parimenti a quanto avviene per la musica, diverse in ciascun soggetto). Ascoltando compositori anche assai diversi tra loro, il poeta può ritrovare le basi e trarre alimento della sua personalità poetica in ciò che esprime il musicista, che è il senso del destino dell’uomo, con le sue passioni, speranze e gioie caduche e con le sue sconfitte, elementi tutti della vita che confluiscono inevitabilmente nel solenne atto finale della morte. Dietro l’apparente serenità del fluire del discorso musicale, può scoprire la sua stessa angoscia, il suo stesso porsi interrogativi, che non trovano risposta se non in un prodotto artistico, fatto che sia di note o di parole, il solo idoneo ad aprirgli una finestra dalla quale guardare quell’infinito che lo muove e al quale aspira; così come nell’accavallarsi tempestoso delle note può sentirsi più vicino alla soluzione del grande problema esistenziale che lo attanaglia e trarne perciò una serena ispirazione. La musica, anche quando non si rapporta direttamente a soggetti o temi mitici (pensiamo tra le tante opere musicali al sublime Orfeo di Gluck o alle saghe nordiche wagneriane) è essa stessa un mito, o, per meglio dire, è veicolo di una mitopoiesi che può investire, eternandola, la figura del compositore o anche del dedicatario (chi è, ma al tempo stesso chi non conosce, l’Elisa beethoveniana?). Essa è fatta, sì, di rapporti matematici, ma il risultato non ha nulla dell’aridità matematica: piuttosto, è puro prodotto dello spirito. Tutte le arti ci avvicinano a Dio, ma specialmente la musica, nella sua sublime immaterialità partecipe dell’infinito, ci fa sentire che siamo fatti a Sua immagine e somiglianza.

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