TARTARUGA DI TERRA

( Aurora D’Amico)

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Erano cinque anni che Noa si trovava in viaggio tra mare e terra.  In quell’arco di tempo aveva visitato l’Asia occidentale, la Grecia e parecchie penisole nei dintorni. Non sapeva se fosse nella sua natura viaggiare senza una meta precisa, ma c’era qualcosa nel mare che la attirava con una dolce violenza. Le piaceva immaginare che questa fosse una caratteristica ereditata dai suoi antenati; ma a dire il vero non poteva esserne certa, poiché non aveva mai conosciuto la sua famiglia, né tanto meno il suo luogo d’origine. Ciò che le restava erano un tamburello e un ciondolo a forma di tartaruga, ormai rovinato dall’acqua salmastra.

 

Pensò che quello fosse tutto il suo passato e che, dunque, sarebbe diventato il suo futuro: probabilmente avrebbe dovuto viaggiare da una costa all’altra proprio come le tartarughe marine fino a quando non avrebbe trovato il suo luogo di appartenenza e si sarebbe stabilita, diventando una tartaruga di terra. Non aveva idea di come questo sarebbe successo, né di quanto tempo ci avrebbe impiegato; ma si disse che non aveva nulla da perdere.  Così, quando il desiderio del viaggio venne irrimediabilmente a coincidere con il bisogno di appartenenza, prese i suoi pochi averi e partì all’avventura, entrando in contatto con nuove lingue e culture. Noa era di una rara bellezza: non erano tanto i suoi capelli o i suoi occhi seducenti ad attirare l’attenzione delle persone che incontrava, quanto il suo sorriso rassicurante e il suo genuino interesse per le loro storie. Più veniva a conoscenza delle numerose leggende diffuse dai marinai, spesso riguardanti creature fantastiche e paesaggi immaginari, più ne restava incantata: credeva ad ognuna di esse e le metteva accuratamente per iscritto, affinché non le potesse più dimenticare. Quando veniva ospitata a bordo di una barca o di un peschereccio, Noa riusciva a intrattenere tutti con la sua dolce voce e il suo tamburello: nessuno era in grado di trattenersi dal battere mani e piedi al ritmo di quello strumento, sconosciuto da molti. Per il ciondolo che portava al collo, ottenne il soprannome di “Tartaruga di mare” e presto si sparse la voce: una giovane ragazza era in viaggio alla ricerca della sua terra d’origine e i marinai l’avrebbero aiutata a trovarlo. Mai nessuno pretese del denaro da lei per i trasporti da una costa all’altra; ma tutto ciò che le veniva chiesto era di suonare l’insolito tamburello e di mettere in rima le varie leggende raccontate, dando così vita a canzoni popolari che tutt’ora s’intonano in mare. Viaggiare era ormai diventato uno stile di vita e proprio quando pensò di essere stata ovunque, Noa sbarcò in una nuova isola, conosciuta per la sua forma triangolare. Gli abitanti del posto parlavano tante lingue e diversi dialetti, e amavano danzare al ritmo di rimbombanti tamburi. Alla vista di tutta quella frenesia, Noa si gettò nella mischia senza esitare, suonando canzoni di cui comprendeva a stento il significato. Molti abitanti la riconobbero dal ciondolo che portava al collo ed essendo diventata una leggenda vivente, insistettero a gran voce affinché prolungasse la sua visita: di giorno si lavorava e di sera venivano organizzate grandi feste per cantare e ballare insieme alla “Tartaruga di mare”, fino a quando i piedi e la testa lo avessero consentito.  Quel soprannome, tuttavia, iniziò a starle stretto: Noa era ancora attratta dal mare, ma lo era ancora di più da ciò che accadeva sulla terra ferma. Non dovette trascorrere molto tempo quando, infatti, si sentì avvolgere da un senso di appartenenza, un sentimento che non aveva mai provato prima d’ora: era stata in Egitto, ma non aveva trovato la stessa accoglienza e in Grecia, invece, non era riuscita a mettere radici. Ma qui il calore, i ritmi e l’intenso odore del mare circostante l’avevano trasformata, e non divenne difficile da ammettere neppure a se stessa: era finalmente diventata una tartaruga di terra.

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