Anche per scaramanzia…

(Carmelo Fucarino)

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Irene Ponte e Ferdinando Gattuccio

Non è certo il grande Edoardo, il De Filippo, noto solo per nome, il genio indiscusso della commedia italiana del Novecento, da Farmacia di turno del 1920 a Gli esami non finiscono mai del 1973, per 58 commedie, molti film, in tutti i teatri di Italia e del mondo, spesso in Russia. Si tratta invece della commediola di Peppino De Filippo del 1942, Non è vero… ma ci credo, l’altro figlio d’arte, pure lui naturale, dell’altrettanto unico mattatore delle scene napoletane, Eduardo Scarpetta. La commedia si fa ancora vedere, nonostante la polvere del tempo trascorso e le tante esperienze teatrali, avanti e indietro, nella realizzazione del più antico spettacolo del mondo. Non per nulla questa commedia è stata rappresentata nel novembre scorso al teatro Quirino di Roma, proposta dalla regia di Michele Mirabella, con il Gervasio di Sebastiano Lo Monaco, la moglie Teresa di Lelia Mangano De Filippo, la Rosina di Maria Laura Caselli, l’avvocato Alfonso Liguori, etc.

L’opera è pertanto sempre godibile, specialmente se se ne offre una lettura moderna con un ritmo dinamico ed incalzante come ha fatto con la sua regia Irene Ponte per il Teatro Agrigantus, realizzata dalla collaudata Associazione Vivi il Territorio che ha già presentato al Teatro Lelio con la sua regia Non tutti i ladri vengono per nuocere di Dario Fo, appena un mese fa. I personaggi si muovono in un ambiente piccolo borghese, ove l’affare predomina sulle grandi questioni della vita. Naturalmente non può mancare, incastonata in questa angosciosa ansia di guadagno, la storia della bella morosa e il matrimonio osteggiato e poi celebrato, come è nell’antichissimo costume del teatro comico dai tempi di Menandro, rivisto nella lettura latina di Plauto e Terenzio, accompagnato dalla ripresa da commedia dell’arte di Goldoni e delle sue Mirandoline. Si rifletta anche sulla data di scrittura del testo, in un tragico 1942, tra fame e bombe. Alla fine dell’anno gli alleati erano passati dal bombardamento strategico a quello a tappeto. Il tema portante era un cavallo di battaglia del teatro meridionale, il suo esorbitante fatalismo che gli derivava da una secolare tradizione di soprusi e di violenze. Il tema della scaramanzia e della gobba era una maschera antichissima, forse il Dossenus della fabula atellana, il gobbo scaltro che si spaccia per sapiente. Certo in confronto al miracolo dell’ironia tragica della Patente di Pirandello, Peppino ha il tono sbarazzino e leggero del teatro popolare, con le sue battute esilaranti e con il suo tradizionale intreccio a sorpresa. ‘A patenti di Pirandello, creata in lingua siciliana per Angelo Musco, che la recitò nel 1918, aveva altro spessore e proponeva altri tragici dilemmi umani sul tema delle “maschere nude” e dell’apparire o del come tu mi vuoi (grandioso Totò nell’episodio del film del 1954 di Luigi Zampa, Questa è la vita). Ma così va il mondo, se è vera la leggenda del filosofo della Logica e dello storicismo, il Benedetto Croce, di spirito e natura meridionale, che portasse un cornetto alla catena dell’orologio. A chi gli chiese se fosse superstizioso, avrebbe candidamente risposto: «Sì, non è ‘o vero, ma ci credo» (Camillo Albanese, Un uomo di nome Benedetto: la vita di Croce nei suoi aspetti privati e poco noti, 2001). È invece questa la commedia della superstizione, sottile, senza turpiloquio e senza battutacce, un piccolo gioiello di comicità bonaria, un ridere alla Terenzio, diciamo un sorriso compiacente per le debolezze altrui, chiusa dalla sorpresa finale, il consueto imprescindibile coup de théâtre. D’altronde sfido chiunque ad incrociare un gatto nero o a passare sotto una scala. Per pura cortesia bisogna ricordare che non ci sono artisti più superstiziosi degli attori, guai a non invocare il lupo cattivo per augurare loro un buon spettacolo. Gli inglesi sono più forti con il loro break a leg. Le interpretazioni di Irene Ponte e degli attori tutti riempiono per se stesse la scena e ci danno una prova del dono del recitare, trattandosi di una compagnia che si regge solo sull’adesione spontanea e sull’impegno di un gruppo affiatato.

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