ANIMALI PARLANTI DI IERI E DI OGGI

( Gabriella Maggio)

image

Così Esopo per Diego Velázquez

Il 25 gennaio 2014 presso il Centro di Cultura Siciliana di Palermo alcuni studiosi, V. Anselmo, C. Fucarino, Fr. Sausa, hanno discusso sul tema del rapporto di continuità / alterità tra mondo antico e moderno con particolare riferimento ai fumetti ed alle favole di animali parlanti. Considerato l’interesse che l’argomento suscita, ho intervistato uno dei relatori, Carmelo Fucarino, per i lettori di Vesprino.

D. – Cosa spinge gli antichi ad attribuire agli animali qualità e vizi umani?

R. – La rappresentazione delle virtù, ma spesso dei difetti degli uomini attraverso l’immagine zoomorfica è stata una metafora antichissima e la troviamo per prima in Esiodo nella celebre favoletta dello sparviero e dell’usignolo inserita nelle Opere e i giorni e poi ripresa da Esopo, ma anche nell’allegra Batracomiomachia, che tanto impressionò Leopardi. Ma anche in ambiente ebraico ricorrente era la simbologia zoomorfica nei testi della Bibbia. È verosimile che la similitudine caratteriale ed etica servisse a rendere meno forte la condanna dei vizi umani e a riproporli universali e paradigmatici. Già in Esopo nella celebre conclusione, «la favola (logos) dimostra», c’era chiaro l’intento morale. All’alta etica dell’aristeia dell’epos nelle monarchie e a quella dell’elegia che rappresentava le aspirazioni aristocratiche delle poleis (dulce et decorum pro patria mori) si opponeva l’ammonimento degli umili attraverso la rappresentazione didascalica di un servo, come era ritenuto il mitico Esopo.

D. C’è una differenza tra mondo greco e mondo latino? E con i moderni?

R.- Fu lo stesso Fedro a dichiarare nel prologo Aesopus auctor quam materiam repperit, cioè ad indicarlo come inventore e creatore del genere. Il latino si vantò di averlo limato (il catulliano expolitum) e di avergli dato dignità letteraria con i versi senari. Mantenne però il doppio binario del risum movere e del prudenti vitam consilio monere. Temette che qualcuno potesse accusarlo di avervi introdotto la rappresentazione fitomorfica, facendo parlare anche le piante (quod arbores loquantur), ma buttò tutto sul fictis iocari fabulis. Anche questa tipologia ebbe larga diffusione assieme al bestiario medioevale nei celebri contrasti che risalivano all’antica antitesi tra l’alloro e l’ulivo di ambiente ateniese. Quella che era stata l’espressione di una sapienza popolare, bonaria e sorridente, certamente legata al mondo rurale, a Roma però si caricò con Fedro di altra valenza, diventò ironia, spesso sarcasmo, talvolta si spinse alla satira politica (nel terzo prologo lamentava una calamitas capitatagli da Seiano). La fortuna di queste raccolte è testimoniata dalla tradizione dei due autori, il greco, senza pretese di arte, in una prosa semplicissima, ma efficace tanto che Platone ricordò l’ordine divino giunto a Socrate di metterle in versi (Fedone, 61 b). Sarebbe troppo lungo ripercorrerne l’avventura. Ricordiamo per tutti La Fontaine con altro spirito (più raziocinante e pessimista) e in altra temperie (un ispettore delle acque alla corte del Re Sole). Quello che invece mi ha spinto a rispolverare gli inventori della favola è stato un dibattito sul fumetto. Proprio quello che ha forgiato le nostre infanzie, con l’etica del mus investigatore e con l’anomala e stramba famigliola di uno zio e tre fotocopie di nipoti, senza padre né madre. Il topolino mus fu presente nelle favole servili, ma anche nell’Orazio, epicureo e stoico, del topo di città e del topo di campagna. Mus, gli inglesi lo translitterano mouse, gli ignoranti della lingua inglese lo scambiano per quell’aggeggino, la “periferica” che ci guida nel computer. E poi tutta la fattoria di Walt Disney, dalla mucca al cavallo, al lupo cattivo con i suoi lupacchiotti buoni. Ci fu anche il tempo della favola del pulcino nero. È sempre la favola resa in spaccati di vita e di essa rappresentazione e commento. Autori dei disegni gli italiani. Ma anche i palermitani, i ragazzi di via Dante, che insieme al topolino della Disney hanno creato il cartone di un romanzo fiaba, ove il tutto viene collocato a livello letterario alto, la celeberrima La Gabbianella e il gatto di Louis Sepúlveda.

D. -È stata fondamentale la mediazione del medievale Roman de Renard?

R.- La raccolta sembra riprendere la tradizione francese medioevale della Isopet, raccolta favolistica antropomorfica popolare che rimandava chiaramente ad Esopo. Certamente il cosiddetto Medioevo fece da intermediario con la tradizione greca e latina e ne riprese e rielaborò i generi. Naturalmente Esopo doveva circolare in traduzioni o parafrasi latine, perché l’apprendimento del greco e la scoperta dei manoscritti originali avvenne in età rinascimentale, con la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi e con l’esodo di studiosi bizantini, che aprirono scuole di greco, anche in Sicilia. La scoperta della favolistica originale dovette dare maggiore impulso all’imitazione.

D. – La circolazione delle favole di animali ha interessato la cultura popolare o è stato

un fatto di élite?

Nella società greca delle poleis fu senz’altro una lettura umile della vita, tanto da essere attribuita a Esopo, addirittura uno schiavo e neppure greco, ma frigio. Così pure Fedro si disse schiavo e tracio. Disse lui stesso della favola che fu una trovata degli schiavi che avevano da dire e non osavano e perciò misero il cuore in brevi favole calumniamque fictis elusit iocis (III, 43, 37). La favola a Roma circolava già nella satira e nell’epigramma, ma assunse una posizione autonoma, vedi caso, in epoca imperiale, nel momento di estrema crisi della respublica democratica con l’impossibilità di dire sotto le tirannidi imperiali. Non senza significato il fatto che anche nelle società moderne è relegata a lettura infantile, forse anche per la sua natura di apologo, ed è ancora immiserita in testo scolastico o figurine da colorare o comporre. Già Quintiliano le indicava come prosecuzione delle favole delle nutrici (I, 9, 2, quae fabulis nutricularum proxime succedunt). Raramente assurse a fustigatrice dei costumi e del potere. Trilussa è un caso particolare, un dimidiato di razza, servile burocrate di giorno, come La Fontaine, e feroce poeta di notte.

D. – Qual è la relazione tra la cultura moderna e quest’aspetto della cultura antica?

R.- Si può ancora disconoscere da parte di una certa classe politica la fondamentale radice dell’essere oggi uomo della telematica, del digitale e della robotica. Eppure quello che maggiormente mi ha stupito in questa avventura fra i fumetti moderni è stato ritrovare in quelli che sono distanti anni-luce dalla cultura occidentale, nei manga giapponesi, la rivisitazione classica, non quella dell’imitazione latina, ma addirittura quella originale dell’epos omerico, del mito arcaico con i suoi eroi dotati di congegni digitali, come Perseo. Si pensi al più grande mangaka di tutti i tempi, Gō Nagai, con il suo Mazinga e i suoi Robot Goldrake, che ha dichiarato di avere tratto spunti dalla civiltà greca e romana. E lo dimostra nei ruderi ellenici del Dottor Inferno, nei Mikenes nemici di Mazinga, nel Yuri Cesare, così in Argos, Helena, Achilleus, in Hercules e nei mostri in veste di Gladia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy