SARAJEVO 28 GIUGNO 1914

( Gabriella Maggio)

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Achille Beltrame – Corriere della sera

Il 28 giugno 1914, nel giorno di S. Vito festa nazionale serba, un ragazzo di 20 anni, fanatico esponente del nazionalismo serbo, Gavrilo Pricip, spara due colpi di pistola contro l’Arciduca Ferdinando e la moglie Sofia, eredi del trono asburgico, in visita ufficiale a Sarajevo. Questa è stata la scintilla, come scrivono i manuali di storia del ‘900, della Prima Guerra Mondiale, nella quale morirono trenta milioni di persone; chiamata anche Grande Guerra perché fu il più grande conflitto armato, sia per numero di nazioni che di uomini e mezzi coinvolti, mai combattuto prima e fino alla Seconda Guerra Mondiale. Oggi possiamo aggiungere anche il fatto che in molti campi tecnologici e culturali il conflitto ha chiuso un’epoca, culminata nella Bèlle Epoque, ed ha segnato una svolta per gli anni futuri del ‘900. Il conflitto dilagò in Europa e nell’Impero Turco subito dopo la dichiarazione di guerra alla Serbia fatta dall’Austria il 28 luglio 1914. Ciascun Paese partecipante aveva dal suo punto di vista buoni e antichi motivi d’intervento, perciò colse subito la propria opportunità offerta da quanto accadde a Sarajevo. Durante il conflitto sono state usate le più recenti innovazioni tecnologiche che hanno cambiato le modalità di scontro tra gli eserciti.

Mai prima di allora erano stati impiegati sottomarini, aerei, carri armati, gas tossici. Anche il filo spinato, che rispetto agli armamenti sopra elencati, sembra ben povera cosa, ebbe un ruolo fondamentale perché risultò determinante nella logorante guerra di trincea. Ma la guerra aprì anche nuovi scenari in medicina e nella condizione femminile. L’altissimo numero di feriti e mutilati fece sì che la diagnostica si avvalesse dell’uso dei raggi x e la chirurgia dovesse per necessità farsi sperimentale praticando innesti ossei e di tessuti. Le donne furono spinte a svolgere attività di solito maschili e cominciarono a modernizzarsi anche nella moda, detta appunto alla garçonne. La grande Cocò Chanel in questo periodo cominciò a confezionare pratici vestiti di maglia di jersie per le donne che lavoravano. Tuttavia ancora per loro non si poteva parlare di vera e propria emancipazione, benché già operasse il suffragismo per il voto alle donne. In parallelo alle azioni belliche la giovane industria cinematografica affrontava il tema della guerra sia come propaganda come in Maciste alpino di L. Romano Borgnetto e Luigi Maggi del 1916 in cui si esaltavano i valori bellici, spingendo lo spettatore ad identificarsi col soldato, sia anche come denuncia in Civilization di Thomas Harper Ince ( 1916), in Shoulders arms di Charlie Chaplin ( 1916) e in J’accuse di Abel Gance ( 1919) che sviluppavano temi pacifisti. Il cinema cominciava così a svolgere quel compito di orientatore dell’opinione pubblica e delle coscienze che avrebbe successivamente sviluppato con sempre maggiore chiarezza. Paradossalmente il pacifismo che già prima del conflitto si era organizzato ebbe una crisi di certezze, perché la realtà aveva mostrato l’inefficacia della via diplomatica dei trattati, osteggiati da vere e proprie ondate belliciste. Dilagante era stato infatti in tutti i Paesi il nazionalismo interventista, sebbene poi nello svolgersi del conflitto cominciasse a diffondersi il disinganno e l’orrore per la conduzione delle operazioni, per l’alto numero delle vittime e per il protrarsi di una guerra che era stata considerata all’inizio breve. Lo slogan più diffuso infatti era A Natale tutti a casa. Il conflitto si concluse dopo quattro anni con la frantumazione degli imperi asburgico, russo, ottomano, fatto che ancora influenza l’attuale assetto geopolitico dell’Eurasia.

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