LA FILLE DU REGIMENT

( Salvatore Aiello)

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Felice ripresa della stagione 2014 del Massimo di Palermo con il ritorno sulle scene de La fille du régiment e soprattutto felice l’idea del riproporne il mitico allestimento partito proprio da Palermo ne ’59 con la direzione di Tullio Serafin, regia e scene di Franco Zeffirelli. Geniale l’inventiva del regista fiorentino che, ispirandosi alle images d’Epinal, restituiva paesaggi e ambientazioni che pienamente rispondono allo sbrigliato mondo della fantasia donizettiana. L’opera, pur coi suoi anni, vive di una eterna giovinezza per l’ispirazione e si giova della sapiente risoluzione da parte del musicista bergamasco di aver saputo conciliare gli schemi del genere buffo della grande tradizione italiana con le aspettative e le richieste dell’opéra comique. Donizetti, fuggito dall’Italia, fra lutti e delusioni di carriera, conquista Parigi collocando in un’area internazionale i suoi capolavori ma soprattutto accettando la committenza di creare questo vaudeville i cui esiti giungeranno sino ad Offenbach.

 

Pur con una trama per certi aspetti inverosimile ed ingenua e con una seconda parte meno eccitante della prima, il compositore si conquistò la Francia a furor di popolo avversato dalla critica più becera, capeggiata da Berlioz, escluso Mendelssohn che avrebbe voluto esserne lui l’autore. Quali gli ingredienti che la rendono ancor oggi così simpatica ed accattivante? Certamente l’eleganza, la misurata comicità, la sottile derisione del mondo aristocratico, l’arguta parodia della società, ma ciò che la permea è il languore sentimentale irrinunciabile per il sentire dell’autore che non rinuncia mai ad introdurre melodie elegiache e sentimentali, cifre queste della sua anima tormentata ed alienata. Non a caso fanno presa sul pubblico le due arie di Marie “Il faut partir” che rinnova l’atmosfera della “Furtiva lacrima” introdotta dal canto del corno inglese e “Par le rang et par l’opulence” supportata dal triste suono del violoncello che si possono annoverare fra le più belle pagine scritte dall’operista. Non poche le difficoltà vocali ed espressive che richiedono un cast di ottimo livello e per l’edizione palermitana tutto ha funzionato a dovere: non finiremmo mai di stupirci per la bellezza e la congruità dell’allestimento che si avvaleva della regia ammirevole di Filippo Crivelli, uno storico specialista dell’opera che ci ha regalato una visione elegante, misurata, deliziosa, rasserenante dell’idillio. In consonanza i bei costumi ideati da Zeffirelli: campagnoli, uomini del reggimento dai brillanti colori in contrasto con quelli pomposi e ridicoli dell’aristocrazia dell’epoca di Luigi Filippo. Marie, in carne ed ossa, era la strepitosa Desirèe Rancatore che ha saputo tratteggiare con disinvoltura, ricchezza di tinte la psicologia della fille mettendone in luce sia il piglio militaresco ma soprattutto i turbamenti amorosi nel passaggio da fanciulla a donna, tutto reso con una voce ferma, musicalissima, di buon volume, rotonda, svettante e sicura negli acuti regalandoci un coloratura mai fine a se stessa,non liberty, ma rivissuta alla luce del belcantismo, una coloratura che disegnava momenti e pensieri dell’anima mai sulle righe in osmosi totale con la musica e con il lieto fine della fiaba. Con lei il Tonio impegnato di Celso Albelo dalla voce di buon timbro, con scatti generosi e vibranti e se il do a nove code gli stava un po’ stretto, si è configurato meglio nelle pagine e nei momenti più appassionati abbandonandosi ad accenti sentimentali ricchi di calore. In risalto il prestante Sulpice di Vincenzo Taormina per aver conciliato modi militareschi con affettuosità paterna. Appropriati nella loro caratterizzazione l’esilarante Marquise de Berkenfield risolta con efficace verve scenica nella sottolineatura nel corso della lezione di canto e il gustoso cammeo di Filippo Luna, da noi ammirato come attore drammatico in “Mille bolle blu” di Salvatore Rizzo, qui trasformato nella divertente e brillante Duchesse de Crakentorp. Indovinati nel loro macchiettismo l’Hortensius di Paolo Orecchia, il Notaire di Pietro Arcidiacono,il Caporal di Emanuele Cordare, il Paysan di Alfio Marletta, il Maitre de ballet di Giuseppe Bonanno. Sul Podio Benjamin Pionner che ha ottenuto dall’orchestra una buona qualità di suono in equilibrio sempre col palcoscenico inoltrandosi in una lettura fresca,capace anche di abbandoni e ripiegamenti lirici espressi al meglio dalla delicata trama strumentale. Duttile il Coro istruito da Piero Monti; ridenti le luci di Bruno Ciulli. E’ stata una bella serata all’Opera, peccato che una parte del pubblico ha preferito ancora ritmi vacanzieri.

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