Il Rito della parola. Presentazione del romanzo Mathilde Bianca di Calce di Francesco Puccio

( Lavinia Scolari )

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Il 13 Ottobre, alla libreria Feltrinelli di Palermo, è stato presentato “Mathilde bianca di calce”, il nuovo romanzo di Francesco Puccio, edito da Marlin Editore. L’autore ha un curriculum artistico di tutto rispetto: scrittore di poesie, sceneggiature e romanzi (Stelle fuori posto è il suo romanzo d’esordio), attore e regista teatrale, direttore artistico del gruppo Kalokagathoi, dottore di ricerca in Antropologia del Mondo Antico, Puccio collabora con l’Università degli Studi di Siena, dove, con la Professoressa Donatella Puliga, dirige il progetto didattico-teatrale l’antico fa testo (http://www.anticofatesto.it/). A introdurre il nuovo romanzo, sospeso tra una Grecia reale e visionaria e una memoria storico-letteraria, è intervenuta la Professoressa Isabella Tondo, che ha accompagnato il pubblico nel percorso di invenzione narrativa e riscrittura mitopoietica di Mathilde.

 

Il romanzo racconta la storia di Diego, un giovane fotografo che vive l’esperienza di un abbandono d’amore e che fatica a ritrovarsi. Ma in un coinvolgente viaggio in Grecia, tra il bianco di calce e l’azzurro del mare, incontra Mathilde, e una serie di altri personaggi (coevi o storici) che lo aiuteranno a trovare la via di una rinascita.  La fotografia, il lavoro e la passione del protagonista, diventa un corrispettivo oggettivo della vita e del modo in cui spesso la si affronta: scattiamo foto per ricordare, per fermare attimi in un assoluto indelebile, eppure siamo poi pronti ad alterare quella realtà e a modificarla come si fa oggi con una foto sfocata o che ci ritrae in un modo che non ci soddisfa. Diego guarda attraverso la lente dell’obbiettivo, ma non si ferma lì. Le parole invadono la sua vita, e i silenzi, come quelli dei personaggi muti, che tuttavia parlano più degli altri, come attori silenti che assegnano un’intenzione al loro esserci sulla scena e che coinvolgono anche nel loro mutismo. E infine il linguaggio dell’amore, l’amore che fa rinascere e non abbandona, l’amore che ispira e sconvolge, che si scopre come unica via di fuga per combattere la morte. Questo tema sviluppa due livelli di narrazione: da un lato si focalizza sulle vicende di Diego, il punto focale del romanzo, dall’altro trae spunto dalla personale vicenda di un personaggio citato e inseguito, che funge da alter ego del protagonista: il drammaturgo greco Euripide. Sullo sfondo, la sua storia intensa e struggente, quella del suo amore per la bellissima Agape, che fu la sua musa ispiratrice nella stesura della tragedia Medea e che poi lo abbandonò. Diego finisce per camminare sullo stesso solco di Euripide, per vivere il suo abbandono, per perlustrare la sua storia, e accostarla a quella che vive nel romanzo, in una sorta di identificazione memoriale.Euripide, Diego, l’autore stesso: tre identità che si mescolano e si fondono, sovrapponendosi in un racconto fresco e antico, introspettivo e coinvolgente, immerso nei sapori e negli odori di un Mediterraneo ricco di storia e di poesia. Una vera e propria celebrazione narrativa del mito inteso come rito di parola, un rituale che questo romanzo rielabora e che Puccio pone al centro della sua scrittura, che offre al lettore. Perché la letteratura è anche questo, un pharmakon per chi la scrive, ma anche per chi lascolta. È proprio questa l’espressione usata dall’autore, che dà grande risalto alla ritualità della parola.Se dunque Mathilde bianca di calce ha un motivo di fondo che funge da anello che tiene, questo è l’esigenza, quasi primitiva e culturale, di raccontare storie, un’interpretazione della letteratura che comunica l’idea del narrare come forza incoercibile, capace di sopravvivere al tempo e al dolore, unico rimedio a ogni forma di oblio.

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