TOSCA al Massimo di Palermo

(Salvatore Aiello)

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Tosca, ultimo titolo della stagione operistica 2014, è approdata al Teatro Massimo di Palermo. Momento esaltante della creazione pucciniana che dal mondo crepuscolare e borghese delle piccole cose giungeva, pregno della lezione verdiana, a percorsi drammaturgici nuovi, evocando quel colore, quel grundton in cui si svolge il dramma annunciato sin dagli iniziali sconvolgenti accordi, forieri della presenza terribile di Scarpia e con essa tutto l’orrore che si consuma nella storia d’amore tra la cantante Floria e il pittore Cavaradossi succubi e martiri della bigotteria e della repressione della Roma papalina di Pio VII, in quel momento esule in Francia. Al suo apparire nel 1900 al Costanzi di Roma, non riscosse un grandissimo successo, forse disorientò una certa dicotomia tra quanto succedeva sulla scena e l’orchestrazione nuova ed eccellente che metteva ancora in luce la grande abilità del compositore lucchese. Se via via guadagnò il favore dei pubblici di tutto il mondo, la critica si spaccò tra i fautori del nuovo puccinismo e i dissidenti che ebbero come storico leader Gustav Mahler il quale coniò, proprio per l’opera pucciniana, l’appellativo di “kunstmachwerk” (opera d’arte pasticciata, in altri termini opera d’arte fallita), collocandola,in maniera assai sommaria, tra i prodotti un po’ scadenti del verismo musicale italiano.

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In verità Tosca porta al parossismo una vicenda passionale, pregna di erotismo che però Puccini controlla con finezza adeguata dando più spazio alle ragioni della ragione che a quelle del cuore. Non a caso un critico, recentemente, ha sostenuto che “nel musicista vive e vi alita un mixage intellettualmente superiore dove sembra il cuore a condurre il gioco ma é invece un raffinato estro creativo a dare spazio a meditazioni e ripensamenti con innovative prospettive del teatro d’opera contemporaneo” .Il deus ex machina della trama è il barone siciliano Scarpia, esempio efferato di machiavellismo politico ed umano, più viscido ed untuoso “dell’onesto Jago” di memoria verdiana; col suo tema terribile, abbiamo ricordato all’inizio, si apre l’opera ed è sempre il suo nome che sarà evocato e maledetto dalla suicida Tosca sugli spalti di Castel Sant’Angelo. Nonostante le costanti perplessità di una certa critica è un’opera amata a furor di popolo e ieri sera, il Teatro gremitissimo, ne dava conferma, ma oltre al titolo c’era la voglia di riannodare quei fili della tradizione che qualcuno, in maniera poco significativa, snobba.

L’elegante messinscena affidata al regista Mario Pontiggia e allo scenografo-costumista, il palermitano Francesco Zito che si giovavano anche dell’efficace gioco delle luci di Bruno Ciulli, proponeva un allestimento di stampo pittorico con notevoli effetti prospettici e un impianto scenico comune ai tre atti; dalla chiesa di Sant’Andrea della Valle, a palazzo Farnese a Castel Sant’Angelo dove si consumava definitivamente la tragedia. Alla piacevolezza delle ricercate immagini, rispondeva una visione registica intellettualmente valida che pur tenendo conto della grande tradizione, recava spunti nuovi, particolari interessanti; solo per citarne alcuni: alla conclusione del Te Deum la presenza della bandiera francese che per un momento balenava tra i fumi degli incensi e il salmodiare dei catechisti; innovativa c’è sembrata la compresenza, nello studio di Scarpia, degli aguzzini a sua disposizione, pronti ad obbedire ai suoi cenni e alle sue macchinazioni; in aggetto poi, nel terzo atto, lo stemma papale incombente a ricordare il delitto nella città che aveva spento ogni anelito di libertà della repubblica romana riproponendo, in maniera schiacciante, l’alleanza tra il potere e la Chiesa nell’età napoleonica. Daniel Oren, con straordinaria presenza, sin dalle prime battute, ci ha confermato ancora la duttilità, l’abilità del grande concertatore che fa cantare l’orchestra senza perdere mai di vista il palcoscenico, sa respirare con gli artisti lasciandoli esprimere al meglio, tirando fuori tutto ciò che vocalmente ed emotivamente è in loro possesso. La sua bacchetta è stata precisa, puntuale, assai attenta e rispettosa di tutte le indicazioni del compositore coniugando erotismo e strazio, senza mai scadere in tinte veriste, risultando sempre efficace nelle sue sonorità, regalandoci una carica interpretativa dalle tinte soggioganti. Nei panni di Tosca, Hui He si è imposta con volume e timbro particolarmente felici per interpretare Puccini, con una linea di canto ben controllata e con l’emissione morbida che le consentivano anche l’approdo a piani e mezze voci significativi; assai partecipe nel “Vissi d’arte”, fraseggiato egregiamente con nobiltà di accenti e raccolto intimismo, a lungo applaudito e bissato. La sua prova senz’altro è stata interessante anche se in qualche modo mancava quello spessore drammatico che fa di Tosca una creatura particolarmente accesa, vibrante e tragica; anche sul profilo scenico avremmo desiderato qualcosa di più per consegnarci un’interpretazione allo zenit. Mario Cavaradossi era Stefano Secco dalla voce carezzevole e dal fraseggio scandito; ci ha entusiasmato per le frasi larghe, il bel legato, il volume e lo squillo che inveravano la statura di tenore lirico regalandoci anche emozioni per la sua adeguata partecipazione al ruolo; miniato il suo “E lucevan le stelle” dove rifulgeva l’appassionato addio alla vita;applauditissimo anche lui ne ha dovuto concedere il bis. Alberto Mastromarino confermava le note capacità di volume che ne fanno ormai uno Scarpia collaudato, rinunciando però a talune richieste e finezze interpretative riproducendo, in qualche modo, il baritono vilain. Inesauribile, vivace e di buon spessore il Sagrestano di Fabio Previati. Completavano il cast il reboante Carlo Striuli (Angelotti), l’efficace Francesco Pittari (Spoletta), Daniele Bonomolo (Sciarrone), Riccardo Schirò (Un carceriere).Buona la prova del coro e del coro di voci bianche adeguatamente istruiti da Piero Monti e da Salvatore Punturo.A siglare la serata un’ovazione dal pubblico finalmente pienamente soddisfatto di avere vissuto una serata all’Opera.

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