Mario Luzi: La “liquida mattina”

(Carmelo Fucarino)

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Per contestualizzarsi. Ogni volta che scendeva a Punta Raisi diceva all’amico palermitano che lo accoglieva: «Cca semmu, sutta sta coppula di celu». Il suo ritorno all’isola dal 1976 era a cadenze stagionali, ma sicure, le sue passeggiate alla scoperta di Palermo, tra lo stupore sempre nuovo della Cattedrale arabo-normanna e la piazza Marina dello Steri, ove il cicerone di turno gli spiegava l’arcano dell’arte chiaramontana. E lo splendore delle primavere a Mondello, in quella villa ove gli ho affidato il mio primo libro di poesie, Città e ancora città. Fino all’ultima sua discesa il Natale 2004, ad un mese dalla morte il 28 febbraio, il saluto per sempre dei primi di gennaio del 2005, quando lo colse un violento temporale alla cattedrale e gioì impavido sotto la pioggia. Aveva 91 anni dalla sua nascita nel fatidico 1914 d’Italia, quando Ungaretti si apprestava a cantare, «Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie».

Ed oggi ci siamo trovati in pochi, fra gli amici Elio Giunta e Piero Longo ed altri contati sulle dita, nell’anfiteatro pieno di pubblico attento nella sala Strehler del Biondo. Assente lo pseudoculturame locale, presenza vigile ed attenta, unica rimasta dei tempi antichi il prof. Natale Tedesco e, non poteva mancare accanto a lui, Domenica Perrone, anche per il suo “mare d’inchiostro” e “lo specchio di carta”. La stampa che dai suoi stessi annunzi conosceva l’evento, le varie vestali dei quotidiani e delle cronache locali rumorosamente assenti. Perché si stava parlando del più grande poeta europeo del Novecento, spesso giubilato dalla nomina per il Nobel, ma preferito a poetastri novellatori e clown. Sfido chiunque a trovarmi uno degno di lui, scorrendo il suo carnet di poeta e letterato completo, perché i suoi saggi sulla poesia e i suoi lavori di teatro non sono di meno delle liriche, come la sua raffinatezza di francesista, E l’uomo, il disorientamento di cittadino in un suo intervento al Senato e nel volume Lasciami, non trattenermi. Fino al presentimento di Dottrina dell’estremo principiante (2004) e al testamento di Poesie ultime del 2009. Tutti avrebbero ammirato l’Ipazia del film Agora di Alejandro Amenábar del 2009, ignoranti del suo dramma Ipazia del lontano 1973. Lui che trovava Palermo “luogo del suo cuore”, si voleva ricordarlo nel Centenario dalla nascita. Eppure Mario Luzi amava intensamente Palermo e a lei aveva dato anima e cuore. Così cantava in una sua elegia palermitana:

Come pesci in un’acqua luminosa

loro nel loro azzurro settembrino.

I loro fiori ne sono umidi e lucenti,

lievi i palmizi, profondi i loro ficus.

E lì

dentro si svisa

Palermo tra arabo e normanna

tra araba e angioina

o si erge a un tratto dura chiaramontana.

Questo hanno, questo ti regalano

essi e la loro liquida mattina.

(da Per il Battesimo dei nostri frammenti, 1985).

Si trovava meglio che a Firenze. D’altro canto nei ricordi di Luca Doninelli, che ha rievocato la sua iniziazione poetica con lui e con il suo primo libro di poesie, in quella sua infanzia all’ombra dell’ingombrante Ottone Rosai, scomodo oggi in tanti sensi, allora colui che per il bambino era semplicemente assente anche da morto, secondo il trapiantato fiorentino, Firenze non lo conosceva né lo apprezzava. Per dire che alla presentazione di Opus florentinum nel 2000, solo Doninelli e parenti si alzarono alla standing ovation, mentre una signora accanto a loro si chiedeva, “ma chi l’è sto veccio”.

Oggi a ricordalo è stato Piero Longo, compagno di tante scoperte, che così fra l’altro affermava: «La poesia di Luzi così profondamente lirica all’interno del suo discorso semplice e colloquiale, è sempre una riflessione morale. Essa illumina il lettore, 1o invita a rivolgersi alla sua interiorità e a confrontarsi con la complessità de1 mondo mettendo da parte le ovvietà e le opinioni scontate, diffuse dai mezzi di comunicazione di massa, che si schierano quasi sempre su opposte posizioni secondo una visione del mondo nella quale il bene e il male sono rigorosamente distinti […]. I1 senso della poesia è tutto nelle sue immagini, nella sua parola che incarna il pensiero e si rivolge alla dimensione altra che intende raggiungere e rappresentare.» E l’analisi storico-letteraria di altro sodale, Elio Giunta, una sintesi ardua in un intervento di minuti, ma da lui possibile, tutta l’evoluzione poetica dal frainteso primo sodalizio ermetico, da La barca ad Avvento notturno, al Fuoco della controversia, alla passionalità politica di Rosales, fino all’incompreso oratorio Il fiore del dolore per padre santo Puglisi, traccheggiato dalla direzione del Biondo per qualche anno, perché poco teatrale. Questo si chiedeva al poeta raffinato e profondo. In questo riandare alla giovinezza, con quel volto aristocratico e gioviale, semplice eppure raffinato, che ti accoglieva con la sua profonda umanità, perché altro è la “semplicità” dal cameratismo populista, quel sorriso che mi prende ancora, al suo accento fiorentino a fior di labbra, musicale e dolce, sento oggi di essere felice. Qualunque sarà il domani.

Un pensiero riguardo “Mario Luzi: La “liquida mattina”

  • 28 novembre 2014 in 10:58
    Permalink

    CarmeloFucarfino ha redatto una relazione della serata commemorativa di Luzi, secondo un parametro culturale che nessun cronista e giornalista di questa nostra città era in grado di fare. Infatti non lo hanno fatto. Resta dunque un esemplare di cronaca culturale della quale lo ringraziamo tutti gli amici e in particolare noi Amici del Teatro Biondo che avevamo organizzato la manifestazione. piero longo

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