Il gran rifiuto

(Carmelo Fucarino)

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Leggo da Le figaro.fr del 1° gennaio che il generale d’armata Jean-Louis Georgelin, gran cancelliere dell’ordine dal 2010, ha convalidato 691 medaglie alla Légion d’honneur a 571 cavalieri, 95 ufficiali, 19 commendatori, cinque grandi ufficiali, portando il numero dei decorati a 92 mila da quando nel 1802 Napoleone istituì il titolo. Bisogna dire che Napoleone passò anche da noi e la nostra Repubblica nata dalla Resistenza se ne ricordò ed istituì con legge 3 marzo 1951, n. 178, l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, governato da un Consiglio composto da un cancelliere e sedici membri, a capo il Presidente della Repubblica.

Al 2013 sono stati nominati in modo pomposo e autorevole e iuxta suum libitum ben 8852 cavalieri di gran croce. Come se non bastasse con recentissimo decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, il Parlamento (IV Governo Berlusconi) ha riordinato l’antico ordine militare, istituito nel 1815 dai Savoia ad imitazione dell’ordine napoleonico, ed ha istituito l’Ordine Militare d’Italia, capo il Presidente della Repubblica, cancelliere il Ministro della Difesa. Sommando quelli antecedenti dal 1800 i titolati sono 132.756 (sito Presidenza della Repubblica). Codicillo: «Alla decorazione è legata una pensione annua stabilita dalla legge». Alla faccia degli esodati e dei forzati del lavoro. La giornalista francese rivolge al generale la domanda di prassi: «Quelle est votre définition de l’honneur?». Ed egli le risponde con la definizione di Erik Orsenna: «L’honneur n’est pas seulement le mérite. C’est ce bien moral conquis dans la lutte et qui permet à la fois d’acquérir la considération d’autrui et de conserver sa propre estime.». Ma più personalmente afferma che la fascinazione popolare per la decorazione ha una buona ragione, «distinguer l’inégalité des talents». Naturalmente ci sarebbe da chiedersi che rapporto ha con le capacità e il merito l’assegnazione del titolo all’infermiera volontaria di Médecins Sans Frontières, ventinovenne e priva del requisito minimo dei venti anni di attività, meritevole soltanto di essere stata contaminata da Ebola ed essere guarita. Cosa che non avverrà in Italia per il medico siciliano contagiato e guarito, anche se il titolo di cavaliere da noi non si rifiuta a nessuno, neppure a cantanti, sarti e cuochi. Da noi si può divenire cavaliere o grande ufficiale per carriera. Se un preside, per citare un caso personale, segnala per la nomina un professore che va in pensione, il riconoscimento è automatico. Tanti altri che non hanno avuto questa benevolenza rimangono semplici Sancho Panza. Come tanti poveri Cristi non saliranno agli onori degli altari. D’altronde la prima Elisabetta fece sir il corsaro Francis Drake e l’odierna ha onorato del titolo i Fab Four e nominato, pochi giorni fa, sua dama personale Mary Quant, la dama della minigonna. La notizia di cronaca tuttavia ha attirato la mia curiosità per la polemica attivata dal rifiuto del titolo, cosa mai avvenuta, ch’io sappia, per le roboanti onorificenze italiche. Fra le centinaia di ignoti onorati, il quotidiano ha citato solo Patrick Modiano, omaggiato per il fresco Nobel, l’attrice Mimie Mathy, per me illustre sconosciuta, e gli economisti Thomas Piketty e Jean Tirole. Piketty è abbastanza noto anche in Italia e non c’è stato talk show che non lo abbia invitato per la sua opera dal titolo alquanto presuntuoso, Il capitale del XXI secolo (ed. Bompiani). L’attenzione è stata ben giustificata dal fatto che il volume di ben 970 pagine che tratta di economia è stato al primo posto di vendite in Amazon con un milione e mezzo di copie. Le sue tesi di macroeconomia hanno suscitato travolgenti amori e odi cruenti. Certamente il lancio del sogno americano è stato accolto da folle disperate e terrorizzate dal Moloch dell’economia, che hanno visto una possibilità di salvezza, ammaliati dagli USA che, pur lacerati dal razzismo, ma con motori rombanti, hanno lanciato la serie di francobolli natalizi con bandiera stellata e motti Freedom, Lyberty, Equality, Justice forever. Piketty per di più è andato assai duro, quando giorni fa ha affermato che «Tsipras non è il male meglio di populisti e xenofobi. Il vero pericolo per l’Europa è l’ipocrisia di Juncker e Merkel». Strabiliante ed immediata la risposta odierna di die Kanzler, il default della Grecia non sarà una tragedia per la Germania, cioè, decriptato, le banche potranno sopportare le perdite degli scriteriati prestiti fatti alla Grecia con l’invasione di altri mercati (Ucraina docet, Albania a seguire), e senza tema di infrazione di norme comunitarie per limiti di esportazioni. Ebbene Piketty ha rifiutato il titolo di onore: «Je refuse cette nomination car je ne pense pas que ce soit le rôle d’un gouvernement de décider qui est honorable. Ils feraient bien de se consacrer à la relance de la croissance en France et en Europe.». Commento indiretto del generale: «la maggior parte di quelli che rifiutano la decorazione lo fanno per attirare l’attenzione su di sé». Eppure lo avevano fatto già Albert Camus, Jean-Paul Sartre e Simon de Beauvoir, non certo in cerca di gloria. Dal Financial Times Piketty è stato ritenuto il più grande economista dell’anno, anche se poi lo ha qualificato “rock-star economist”, titolo ripreso da The Telegraph. Non minore astio rivela The Gardian che lo descrive come il Colin Firth della finanza. La stampa conservatrice inglese dei sir non può certo innalzare sugli altari un economista che esalta come panacea dei mali la progressività delle tasse, lui che alla «inégalité des talents» contrappone la tragica ineguaglianza dei redditi e delle opportunità sociali.

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