LA PRIMA GUERRA MONDIALE VISTA DAGLI SCRITTORI

( Gabriella Maggio)

image

Emilio Lussu

Un anno sull’altipiano è uno dei testi più interessanti sulla guerra del ’15-’18. Scritto nel 1936 è stato pubblicato in Francia nel 1938, dove Emilio Lussu si trovava dopo la fuga da Lipari, dove era stato confinato dal Fascismo nel 1927. In Italia sarà pubblicato soltanto nel 1945. L’Altipiano è quello di Asiago, l’anno va dal giugno 1916 al luglio 1917. Lussu, che pure era stato un acceso interventista e si era battuto con grande coraggio da tenente nella Brigata Sassari, assume un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei comandi militari di cui denunzia l’irrazionalità degli atteggiamenti e l’esasperata disciplina militare.

image

Con uno stile asciutto e a tratti ironico, ma sempre incisivo, senza concedere nulla alla retorica, perché quello che gli preme è offrire una credibile testimonianza della sua esperienza, Lussu mette in scena una spietata requisitoria contro l’orrore della guerra, descrivendo con autenticità i sentimenti dei soldati, i loro drammi, gli errori. La guerra viene rivelata nella sua dura realtà di “ozio e sangue”, di “fango e cognac”.

Nella prefazione a Un anno sull’Altipiano Lussu scrive: «il lettore non troverà, in questo libro, né il romanzo, né la storia. Sono ricordi personali, riordinati alla meglio e limitati a un anno, fra i quattro di guerra ai quali ho preso parte. Io non ho raccontato che quello che ho visto e mi ha maggiormente colpito. Non alla fantasia ho fatto appello, ma alla mia memoria».L’opera si interrompe prima della XI battaglia della Bainsizza (annunciata nell’ultima pagina del libro) e della successiva rotta di Caporetto. Si riporta un breve brano del colloquio tra Lussu ed il generale , rivela una concezione della guerra improntata all’idea del sacrificio, del gesto eroico :

– È stato mai ferito?

– No, signor generale……………

Ha preso lei parte a tutti i combattimenti della sua brigata?

– A tutti.

– Ai «gatti neri»?

– Ai «gatti neri».

– Ai «gatti rossi»?

– Ai «gatti rossi», signor generale.

– Molto strano. Per caso, sarebbe lei un timido?

Io pensavo: per mettere a posto un uomo simile, ci vorrebbe per lo meno

un generale comandante di corpo d’armata. Siccome io non risposi subito,

il generale, sempre grave, mi ripeté la domanda.

– Credo di no, – risposi.

– Lo crede o ne è sicuro?

– In guerra, non si è sicuri di niente, – risposi io dolcemente. E soggiunsi,

con un abbozzo di sorriso che voleva essere propiziatorio: – Neppure di

essere sicuri.

Il generale non sorrise. Già, credo che per lui fosse impossibile sorridere.

Aveva l’elmetto d’acciaio con il sottogola allacciato, il che dava al suo

volto un’espressione metallica. La bocca era invisibile, e, se non avesse

portato dei baffi, si sarebbe detto un uomo senza labbra. Gli occhi erano

grigi e duri, sempre aperti come quelli d’un uccello notturno di rapina.

Il generale cambiò argomento.

– Ama lei la guerra?

Io rimasi esitante. Dovevo o no rispondere alla domanda? Attorno

v’erano ufficiali e soldati che sentivano. Mi decisi a rispondere.

– Io ero per la guerra, signor generale, e alla mia Università, rappresentavo

il gruppo degli interventisti.

– Questo, – disse il generale con tono terribilmente calmo, – riguarda il

passato. Io le chiedo del presente.

– La guerra è una cosa seria, troppo seria ed è difficile dire se… è difficile…

Comunque, io faccio il mio dovere –. E poiché mi fissava insoddisfatto,

soggiunsi: – Tutto il mio dovere.

– Io non le ho chiesto, – mi disse il generale, – se lei fa o non fa il suo

dovere. In guerra, il dovere lo debbono fare tutti, perché, non facendolo,

si corre il rischio di essere fucilati. Lei mi capisce. Io le ho chiesto se lei

ama o non ama la guerra.

– Amare la guerra! – esclamai io, un po’ scoraggiato.

Il generale mi guardava fisso, inesorabile. Le pupille gli si erano fatte

più grandi. Io ebbi l’impressione che gli girassero nell’orbita.

Non può rispondere? – incalzava il generale.

– Ebbene, io ritengo… certo… mi pare di poter dire… di dover ritenere…

Io cercavo una risposta possibile.

– Che cosa ritiene lei, insomma?

– Ritengo, personalmente, voglio dire io, per conto mio, in linea generale,

non potrei affermare di prediligere, in modo particolare, la guerra.

– Si metta sull’attenti!

Io ero già sull’attenti.

– Ah, lei è per la pace?

Ora, nella voce del generale, v’erano sorpresa e sdegno.

– Per la pace! Come una donnetta qualsiasi, consacrata alla casa, alla

cucina, all’alcova, ai fiori, ai suoi fiori, ai suoi fiorellini! È così, signor tenente?

– No, signor generale.

– E quale pace desidera mai, lei?

– Una pace…

E l’ispirazione mi venne in aiuto.

– Una pace vittoriosa.

Il generale parve rassicurarsi…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy