COME L’ARANCINA DIVENTO’ (PER QUALCUNO) ARANCINO

( Carlo Barbieri)

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Quando S. Agata (Santa Palermitana trasferita a Catania solo per essere maltrattata) lasciò Palermo lasciando la sua prima "pedata", portò con sé una truscitedda per il viaggio. Nella truscia non mancava un certo numero di arancine. In quei tempi i viaggi duravano assai, il cibo era poco e lei cercava di farle durare il più a lungo possibile. Arrivata più o meno a metà strada, era rimasta una sola arancina che a un certo punto le cadde di mano sfracellandosi. Il primo impulso della Santa fu quello di lasciarla dov’era, poi però si disse "e se il viaggio dura assai, che mangio? Pazienza, ogni tinta acqua leva ‘a siti". Rimodellò allora l’arancina alla bell’e meglio, operazione che, non essendo lei molto brava, produsse una cosa che all’arancina originale sarebbe somigliata assai se non fosse stato per la strana forma pizzuta. Più volte durante il viaggio la Santa fu a un pelo dal mangiarla, ma l’arancina si era ormai un poco ammataffata e aveva preso un sentorino d’acido… Fu così che l’arancina "di recupero" raggiunse Catania. È inutile dire che il primo pezzo grosso che la vide gliela sequestrò, se la mangiò, gli piacque e chiese alla Santa "Come la chiamate nella bellissima Palermo, di cui tutti noi Catanesi abbiamo una enorme e doverosa ammirazione, questa cosa deliziosa?"

. E fu lì che la Santa, un poco perché essendo palermitanissima ci provava prio a prendere in giro i cugini Catanesi, e un poco perché le pareva male chiamare arancina una cosa ormai non più degna di cotanto nome, gli rispose con un sorriso: "Arancino". "E come lo fate?" "Allora"-cominciò la Santa- "si prende il riso ammataffato…"  e gli passò la ricetta riveduta e scorretta.

E vi ho raccontato la storia.

Dal momento che sospetto che qualcuno potrebbe non crederla vera, ecco i riferimenti oggettivi prelevati da internet. "Agata nacque in una famiglia siciliana ricca e nobile, nell’anno 235, indicata come di origine palermitana, ma da altre fonti -non degne di credito- catanese. Infatti la santa è una delle quattro sante protettrici della Città Felicissima (Palermo), caput regni et sedis regis della Sicilia (santa Rosalia verrà dopo). La sua statua, assieme a quelle di santa Cristina, santa Ninfa, sant’Oliva, nell’ordine superiore delle facciate della piazza, troneggia dall’alto dei Quattro Canti di Città. All’interno della chiesa di San’Agata la Pedata, in via del Vespro a Palermo,  si conserva, dentro una teca, una modesta pietra di calcare, ivi custodita perché la Santa martire, lasciando Palermo, vi poggiò il piede per allacciarsi il sandalo e lasciò impressa sulla pietra stessa miracolosamente ammorbidita, l’orma del sandalo." Qualcuno potrebbe dire "Un momento, hai dimostrato solo che S. Agata era palermitana, ma dov’è il riscontro oggettivo di come sono andate le cose? Il viaggio, l’arancina caduta a terra eccetera?" Scusate, permettetemi di mantenere segrete le mie fonti. Certe confidenze i Santi non hanno piacere che si sappiano in giro.

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