L’OGGETTO MISTERIOSO

(Carlo Barbieri)

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Volete sapere di cosa si tratta e come funzionava?  D’accordo, ve lo spiego cercando di non essere volgare. Però seguitemi con pazienza perché vorrei portarvici con eleganza. Pazientate fino alla fine perché c’è la sorpresina.  Allora… ehm… scegliamo la via scientifica. Tutto nasce dalla produzione nell’intestino di composti gassosi solforati frequentemente associati all’ingestione di legumi. Ci siamo? Bene, i gas prodotti sono soggetti alla legge chiamata, appunto “dei gas”, PV=nRT. Credetemi sulla parola, questa formulona ci serve solo per dire che a temperatura costante (nel nostro caso quella corporea, circa 36,6 °C salvo febbre) e volume costante (quello degli intestini), se la produzione aumenta, aumenta la pressione.

 

Come tutti sanno, nella vita se uno è sottoposto a pressione, cerca una via d’uscita. La cosa avviene non solo nella vita, ma anche sotto la vita, con la differenza che nella vita non sempre la via d’uscita esiste, mentre sotto la vita c’è sempre ed è posta a circa due palmi dalla medesima.  Proseguiamo. Se i gas nell’abbandonare l’ambiente nativo passano attraverso un orifizio dalle pareti rigide, non succede niente, al massimo un sibilo. Ma se dette pareti sono in grado di vibrare, succede come quando il trombettiere soffia attraverso le labbra nell’apposito strumento da cui il trombettiere prende il nome. Dal momento che a citare Dante non si sbaglia mai e soprattutto non si è mai volgari, ricordo al proposito ciò che il Sommo dice nella Divina Commedia del diavolo Barbariccia: "Ed elli avea del cul fatto trombetta". Bene. Purtroppo nel caso del fenomeno di cui ci interessiamo la differenza con la tromba c’è. Oltre alla musica si produce un certo odoraccio a causa proprio di quei composti solforati che non risultano, purtroppo, gradevoli all’olfatto. Da lì nasceva il problema delle coppie, in particolare di quelle che l’elevata classe sociale aveva già dotato di puzza sotto il naso e che non avrebbero potuto sopportarne di ulteriori. Come impedire ai maledetti composti solforati di turbare il romanticismo del talamo? E come evitare che in casi estremi, soprattutto d’inverno quando si tiene il naso sotto le coperte, mietessero vittime fra esseri accomunati dal bisogno di respirare ossigeno? Ed ecco allora nascere due strumenti, dei quali troviamo traccia addirittura nei contratti matrimoniali in quanto parte della dote, e di cui sono visibili esemplari al museo etnografico Pitrè (Palermo, Palazzina Cinese).  Il primo, costituito da un imbuto atto ad aderire alla via d’uscita di cui si diceva, convogliava i gas attraverso un percorso indirizzato verso l’esterno, ovviamente il più lontano possibile, o che lo portava a gorgogliare attraverso acqua profumata a piacere (si poteva scegliere: fragranza pour elle, fragranza pour lui, cosa molto fine e che in più consentiva di individuare con sicurezza il responsabile).  Il secondo è più interessante, e capirete perché. Era costituito da un tubo rigido, lungo due o tre palmi, anch’esso con opportuna imboccatura, riempito di cotone idrofilo. Il cotone avrebbe dovuto assorbire ("adsorbire" è forse più esatto) i composti solforati depurando l’emissione.  Senonché pare che non funzionasse granché… e quindi l’aggeggio che, in quanto lungo (luongu) e ripieno di cotone, (in siciliano "mattula" o "matula"), veniva indicato nel linguaggio familiare come il "luongu ammatula", diventò sinonimo di cosa inutile. Ed è per questo che ancora oggi in Sicilia si dice, di uno spilungone incapace, "luongu ammatula".

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