A MAREDOLCE (PALERMO) UNO ZUCCHERIFICIO DEL XIV SECOLO

(fig.1 Castello” di Maredolce: il prospetto nord-ovest, dopo il recente restauro (foto A.Tullio)

Numerose fonti archivistiche documentano l’esistenza di un trappeto per la produzione dello zucchero a Maredolce (figg. 1-2), dove c’era una buona disponibilità d’acqua dalla vicina sorgente della Fawara e, per altro, venne impiantata una piccola coltivazione di canne da zucchero(cannamele).

(fig.2 Complesso di Maredolce: ubicazione dei saggi effettuati nel 1992-1993 (in bleu) e nel 2000

-2001 in arancione)

Da alcuni documenti notarili, pubblicati da Carmelo Trasselli[1] nel 1955, si era già a conoscenza dell’esistenza di un piccolo trappeto del ricco banchiere Pietro Afflitto, un abile “imprenditore” ante litteram, che si occupò[2], in grande stile, della commercializzazione del prodotto di Maredolce tanto bene da dover ricorrere ad acquistare anche da altri trappeti la materia prima per poter soddisfare la richiesta. La produzione dello zucchero era un’importante voce attiva del bilancio siciliano e l’esistenza, nel XIV e XV secolo, di numerose cannamele (raffinerie) è attestata non solo da documenti notarili e da ormai numerosi rinvenimenti archeologici, ma anche da un cartone di Giovanni Stradano (1536-1605) riprodotto nell’opera di Leandro Alberti[3] ( fig. 3), dove sono rappresentate la varie fasi della complessa lavorazione della canna da zucchero.


[1] C. Trasselli, Produzione e commercio dello zucchero in Sicilia dal XIII al XIX secolo, in Economia e società. Rivista italiana di storia economica e sociale, II,3,1955, pp.325-342.

[2] Avvalendosi delle capacità di un eccellente magister zuccararius (direttore tecnico del trappeto), tale Manfredi Serafini.

[3] L. Alberti, Decrittione di tutta l’Italia et Isole pertinenti ad essa, Venetia 1596, pp. 45 e ss.

(fig.3 Tipica raffineria per la lavorazione della canna da zucchero da G. Stradano, in Alberti 1596)

Alcune testimonianze archeologiche, a conferma dell’esistenza di questo piccolo ma efficiente stabilimento “industriale”, sono state recuperate con gli scavi che ho potuto condurre nel complesso di Maredolce, in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo di cui ho più volte dato notizia[1]. L’indagine archeologica si è svolta nell’ambito dei primi interventi di restauro (1992-2002), coordinati dal compianto Architetto Silvana Braida[2]. Con questi interventi si sono avviati i lavori che hanno realizzato l’attuale, parziale, recupero del monumento che occorre valorizzare opportunamente.In particolare, presso la diga (fig. 2) che chiude a nord-ovest la depressione naturale occupata dal lago artificiale, si è evidenziata un’interessante stratigrafia con la quale è stato possibile distinguere, al di sotto degli strati di interramento artificiale per uso agricolo[1], uno spesso strato di insabbiamento di terreno giallastro alluvionale e il suolo limoso relativo all’uso lacustre del bacino. E’ venuto così in luce il fondo pavimentato a cocciopesto di un gradevole colore rosato, legato, senza soluzione di continuità, al rivestimento delle strutture murarie. Il fondo presenta un’inclinazione di circa 20 gradi rispetto al piano normale alla possente struttura della diga[2], in modo da smorzare la forza delle acque provenienti da Monte Grifone a Sud-Est.


[1] In questi strati è stato possibile leggere financo le fosse praticate per l’impianto di culture arboree.

[2] Larga alla base m 5,50 ed in sommità m 4,80, è alta m 5,00.


[1] A.Tullio, Esplorazioni archeologiche e restauro architettonico, in Kokalos  XXXIX-XL, 1993-1994 (1996), pp. 1239-1242, tavv. CLXVI-CLXVIII; Id., L’Archeologo nel cantiere di restauro, in Architetti di Palermo, XII,2-3, marzo-giugno 1996, pp. 17-20; Id., Strumenti per la lavorazione dello zucchero a Maredolce (Palermo), in Archeologia e Territorio, Palermo 1997, pp. 471-479.

[2] S. Braida, il castello di Fawara. Studi di restauro, in Architetti di Sicilia, I,5-6, pp. 23-34 (ried. con agg. iconografico in Incontri e Iniziative: Memorie del Centro di Cultura di Cefalù; V/2, 1988 (1992), pp.66-89, figg. 1-18.

Proprio nello strato di insabbiamento alluvionale (XIV secolo), relativo al primo periodo di decadenza del Castello di Maredolce, da avamposto fortificato arabo (prima metà del X secolo), a sollazzo normanno nel XII e XIII secolo, sono stati rinvenuti alcuni strumenti che documentano l’esistenza di un trappeto per la produzione dello zucchero e la relativa trasformazione del complesso in un’area a prevalente funzione agricolo-industriale: ben cinque esemplari più o meno conservati ed alcuni frammenti delle tipiche formae ad imbuto con un foro in punta (figg. 4-5) e i cantarelli di forma cilindrica con piccolo bordo espanso (figg. 4-6), vere e proprie burnie.

[1] In questi strati è stato possibile leggere financo le fosse praticate per l’impianto di culture arboree.

[1] Larga alla base m 5,50 ed in sommità m 4,80, è alta m 5,00.

(fig.4 Complesso di Maredolce, strumenti per la raffineria, XIV secolo: A – forma ripresa dal basso; B – cantarello parzialmente ricomposto; C-D – vasi da noria (foto di A.Tullio)

(fig.5 Complesso di Maredolce: forma e cantarello giustapposti in fase di utilizzazione (foto di A.Tullio), XIV secolo)

Le formae, venivano utilizzate per liberare dalle impurità residue e per fare raffreddare lo sciroppo ottenuto dalla canna da zucchero; sono realizzate con un impasto di argilla poco depurata, con inclusi, ricoperta all’esterno con argilla depurata di colore più chiaro. La stessa conformazione, molto semplice, somiglia agli esemplari rappresentati, nell’incisione seicentesca di cui si è detto (fig. 3), tra gli strumenti utilizzati in un trappeto per la lavorazione dello zucchero. Di modeste dimensioni (altezza media ipotizzabile cm 20-25), sono classificabili tra le formae piccole per cinque quartucci (ca. 800 grammi), che era evidentemente la pezzatura più richiesta a questa azienda.

(fig.6 modellino ligneo di noria, da internet)

Strettamente connessi per la loro funzione sono i cantarelli (figg.4- 5), nei quali si raccoglievano le impurità filtrate per mezzo delle formae( fig.5). Prodotti con un’argilla piuttosto scadente e rinvenuti in frammenti minuti, se ne è potuto ricomporre in buona parte un solo esemplare (alt. cm 21) che, per la forma, si può confrontare con uno dei tipi rinvenuti allo Steri di Palermo[1]. Un altro importante strumento connesso al lavoro di questa piccola raffineria è una macina litica rinvenuta, erratica, nell’area compresa tra il “castello” e l’isolotto artificiale Rispondenti alle necessità idriche del processo di lavorazione, infine, sono stati recuperati, nello stesso contesto di scavo, ben undici vasi da noria (fig.4) tra integri e frammentari (alt. media ca. cm 25). Questi contenitori, realizzati, come le formae, con un impasto argilloso ricoperto all’esterno con argilla depurata di colore più chiaro, hanno forma campanata con un largo bordo sporgente ad una estremità ed un ”bottone da presa” (o piuttosto un codolo per il fissaggio ?), a forma di fungo, all’altra. Presumibilmente legati intorno ad una ruota, come in un modellino ricostruito a fini didattici, servivano per attingere l’acqua che, dopo aver compiuto un giro, ricadendo imprimeva nuova forza al sistema. Questo strumento, la noria, è un lontano progenitore della moderna pompa idraulica, adottato a Maredolce per risollevare l’acqua del lago. Importanti conferme dell’esistenza di un trappeto per la lavorazione dello zucchero a Maredolce, sono venute, per altro, da alcuni dati emersi con le più recenti indagini archeologiche (2011-2012) che hanno scoperto i resti di quattro fornaci di mattoni lungo il lato sud-ovest del cortile interno del palazzo. Questi forni, databili comunque entro il XV secolo, tagliano la pavimentazione normanna a mattonelle rettangolari ed hanno restituito, dalle Unità Stratigrafiche a loro contatto, “numerosi frammenti di cantarelli e forme che servivano… . alla raffinazione della  cannamela…”[2] Durante l’ultimo decennio del XIV secolo, in seguito ad una forte siccità che ha bruciato e devastato anche le piantagioni di canna da zucchero provocando, quanto meno, una concausa della grave crisi dell’industria zuccheriera siciliana, che non sarebbe più risorta.Così l’area occupata dal nobile complesso di Maredolce, seppure turbata, andò via via assumendo il ruolo di testimone del paesaggio della Conca d’Oro in cui è, come ha stigmatizzato il Prof. Giuseppe Barbera[3], “il futuro delle città mediterranee, l’incontro, che, in esse ed attorno ad esse, è stato sempre proficuo, tra culture diverse”. Recentemente, nell’ambito di questo rinato interesse per la rivalutazione del complesso di Maredolce è stato presentato, alla apposita Commissione dell’U.E., un progetto di gestione agricola in una zona periurbana di Palermo[4]; è stata promossa un’interessante attività didattica tra il Centro Regionale per l’Inventario, la Catalogazione e la Documentazione, il Liceo artistico statale “Giuseppe Damiani Almeyda” e l’Istituto comprensivo statale “Maredolce”, i cui risultati sono stati pubblicati dal CRicd a cura di Donatella Metalli[5]; e nuove ed interessanti proposte formula la benemerita Associazione “Castello di Maredolce”[6] insieme a numerose associazioni culturali e di servizio attive nella nostra Città. Occorre che ci sensibilizziamo tutti e ci impegniamo per la più corretta valorizzazione dell’enorme serbatoio di memorie che è il complesso di Maredolce per consegnarlo vivo e parlante ai nostri posteri


[1] G. Falsone, Forme e cantarelli: I vasi per lo zucchero alla luce di recenti rinvenimenti dello Steri, in Sicilia Archeologica, nn. 24-25, 1974, p. 106, fig. 7.

[2] E. Canzonieri – S. Vassallo, Insediamenti extraurbani a Palermo: nuovi dati da Maredolce, in Les dynamiques de l’islamisation en Méditerranée centrale et en Sicile: nouvelles propositions et découvertes récentes (a ura di A. Nef e F. Ardizzone), Bari 2014, pp. 275-276.

[3] G. Barbera, Maredolce-La Favara: il luogo, la civiltà araba e normanna, l’evoluzione del paesaggio nella Conca d’Oro, in Maredolce-La Favara: Premio Internazionale Carlo Scarpa per il giardino, XXVI edizione, Treviso 2015, pp. 67-85.

[4] A.M. Vultaggio, La produzione di cannamele nel Castello di Maredolce, Palermo 2014, p. 27.

[5] A Scuola di Catalogazione: Il castello di Maredolce, a cura di Donatella Metalli, Palermo 2015.

[6] G. Giresi, Il Castello di Maredolce, Palermo 2006.

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