IL GIGANTE PIRANDELLO

(Carmelo Fucarino)

Questa apposizione ho voluto rievocare per avviare una sintesi dell’uomo e del genio Pirandello. Qualunque sia l’empatia per il suo teatro, amore per la eterna creazione teatrale che non trova pari nel teatro moderno e resta insuperata, idiosincrasia o addirittura odio per la sua aspra razionalità spinta al limite del barocchismo. Si pensi infine ad una villa apotropaica “La Scalogna”  e a quel gruppo di deviati, spettatori di una compagnia sui generis, che recita La favola del figlio cambiato nei Giganti della montagna incompiuta. Il sipario si chiude ancora e per sempre con il suo “teatro nel teatro”, che è poi la nostra pazza esistenza in cui noi siamo personaggi e attori che ci inventiamo giorno per giorno. Per me sarebbe poi venuto altro teatro, quello dell’impersonalità e dell’alienazione, oggi criminosamente e scandalosamente cancellato, quello di Bertolt Brecht, anche attraverso la mediazione di Milva ed i Lieder di Kurt Weill. Sono centocinquanta e sembra oggi. La società che ha descritto è quella delle Maschere nude, il luogo in cui ha voluto che si collocasse l’urna greca con le sue ceneri è il Caos. Niente di nuovo è avvenuto da quel giorno, il 10 dicembre 1936. Almeno per la cultura siciliana, che aveva avuto scrittori che nel loro specifico avevano globalmente rappresentato tutta la letteratura italiana. Ricordo solo Verga e Capuana, ma con un immenso amore per De Roberto. Poi tutta la serie degli intellettuali e scrittori del Novecento (per citarne qualcuno Borgese, Quasimodo, Brancati, Vittorini, D’Arrigo, Bonaviri, Consolo, Piccolo). Tutto l’altro è stato cicaleccio, a cominciare da Sciascia per concludere mestamente nel gloria di Camilleri, il serial. Luigi Pirandello era nato a Girgenti, così si chiamava allora l’Akragas greca, il 28 giugno 1867. L’Impero austriaco era divenuto austro-ungarico e il 19 era stato fucilato a Querétaro Massimiliano I. Garibaldi tentava la conquista di Roma, che si sarebbe conclusa a Mentana. Cito pedissequamente: «Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”». Già le sue radici erano affondate tenacemente nel dialetto agrigentino. Da lì era venuta la sua iniziazione. Eppure la summa era stata quantomeno strabiliante. Un giovane di Girgenti, certo di borghesia benestante di zolfatare, dopo un iter formativo di studi a dir poco frastagliato, si era trasferito a Bonn, ove si sarebbe laureato nel 1891 con la celebre tesi Foni ed evoluzione fonetica del dialetto di Girgenti (Laute und Lautentwicklung der Mundart von Girgenti). E il primo amore, la Jenny della Pasqua di Gea. Dobbiamo dire che quei primi amori, quello per la sua lingua madre e quello per la fanciulla di Bonn sarebbero stati traditi, ma il mondo ne avrebbe tratto vantaggio. Pirandello sarebbe divenuto universale. Così hanno voluto ribadire in un nostalgico colloquio Aurelio Pes come ospitante cucitore, Michele Cometa e Dario Oliveri in commemorazione dell’anniversario con due libri della Novecento datati, ma pur sempre efficaci nella loro lettura dei fatti, Il teatro di Pirandello in Germania di Michele Cometa e Il teatro di Pirandello in Argentina di Gabriel Cacho Millet. In questo contesto di negazione assoluta di sicilitudine o di altre formule che hanno voluto porre ad emblema e categoria metafisica, archetipo antropologico del Siciliano, isola certo e universo di valori, voglio lanciare un appello a rivedere la questione del dialetto in Pirandello. Non si può negare la vasta produzione originale in siciliano, ma si deve collocare nella giusta dimensione di comunicazione che non si sottomette a cliché provinciali o razziali, ma coglie tutto lo specifico colorismo linguistico per descrivere una dolorante umanità. Creazioni sue originali in dialetto e traduzioni dalle sue novelle in lingua. Nino Martoglio nel 1918 aveva fondato a Roma al Teatro Argentina la Compagnia drammatica del Teatro mediterraneo, in collaborazione con Pirandello e il giovanissimo Rosso di San Secondo. Per questo teatro in siciliano Pirandello tradusse il dramma Glauco di Ercole Luigi Morselli e si cimentò con un testo unico ed eccezionale, il solo dramma satiresco a noi pervenuto e per di più di un greco di Atene, che ripescava il personaggio dalla comune esperienza epica e dal ciclo più diffuso, quello troiano dei Nostoi. Fu ‘U Ciclopu, la strabiliante versione del Polifemo monocolo, che un’antica leggenda dura a morire volle collocare nell’isola nota nella Odissea del fantomatico Omero come Sikanìa o Trinakìa. Lancio pertanto il busillis: Pirandello siculo, girgentino e catanese, ma soprattutto universale, ignaro di sicilitudine.

 

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