PAVLOPETRI

La ‘Pompei subacquea’

(Carla Amirante)

  Al largo della costa sud della Laconia e vicino a Creta, c’è Elafonisos, (it. Cervi), una piccola isola greca, non tra le più famose, dove in fondo al mare si trova ancora un vero tesoro archeologico, ed è l’antichissima città di Pavlopetri. Questa  città, il cui nome significa “di Paolo e Pietro” oppure “la pietra di Paolo”, fu fondata intorno al 3000 a.C. e, come altre città sommerse, anch’essa è stata definita una Pompei subacquea del Meriditerraneo, occupando per antichità il secondo posto dopo Dwarkà in India. I suoi resti si trovano sotto il livello del mare ad una profondità media di 4 metri con una topografia ancora quasi completamente visibile, nonostante siano trascorsi circa 5000 anni dalla sua probabile fondazione. Si ritiene che l’area sia sprofondata durante il primo dei tre terremoti che colpirono la regione intorno al 1000 a C. In seguito al terribile evento la superficie, dove sorgeva la città, è rimasta sott’acqua con le edificazioni che non hanno subito altri danneggiamenti conservandosi così come era fino ad oggi.

Pavlopetri, nel 1904, fu scoperta per caso dal geologo Fokion Negris, che per primo notò dei resti architettonici sommersi, ma l’importanza della scoperta non fu compresa a quel tempo. In seguito, nel 1967, Il geo-archeologo marino Nicholas Flemming dell’Istituto di oceanografia dell’Università di Southampton, mentre studiava i cambiamenti del livello del mare nell’Egeo, confermò la presenza di quelle rovine di epoca preistorica.  Nel 1968  una prima esplorazione archeologica raccolse alcuni reperti per stabilire la loro antichità e l’epoca in cui furono sommersi; così fu scoperta una  città, grande come otto campi di calcio, ferma all’età del bronzo. Il sito archeologico scoperto è risultato unico nel suo genere perché nelle profondità del mare ospita un’intera cittadella con edifici, strade, cortili e tombe. Gli archeologi hanno contato almeno 15 edifici ben conservati e tutti con una grande sala, spesso di forma rettangolare, forse il cortile interno, con pareti in ‘eolianite’, o in roccia arenaria, o in blocchi di calcare, assemblate senza malta e costruite secondo lo stile in uso nel Peloponneso. Ognuna di queste 15 case comprende circa 10 stanze, in grado di ospitare anche venti persone e da ciò si deduce che gli abitanti potessero essere almeno circa 600 o forse di più.  Durante le altre spedizioni furono rinvenuti frammenti ceramici di epoca preistorica, appartenenti alle tre l’età del Bronzo (Antica, Media, Tarda) per cui si è ritenuto che l’insediamento sia fiorito tra l’ Antica e la Tarda età micenea, con l’eccezione di uno tra questi resti che presenta una tecnica costruttiva d’epoca precedente. In seguito altri elementi ceramici, databili alla fine del periodo neolitico, rivelano che il sito sottomarino fu a lungo abitato e mostrano evidenti affinità con i reperti trovati nelle grotte della Laconia, del periodo artistico protogeometrico. Nell’ultima ricerca del 2011, le rovine di Pavlopetri, anche se antiche di 5000 anni, sono apparse molto simili alle zone residenziali suburbane delle nostre moderne città, con edifici pubblici più grandi, case private provvisti di giardini, cortili, mura di confine definiti e con un sistema per la gestione dell’acqua. Questa Pompei subacquea si è rivelata inoltre di essere una città non incentrata sulla figura di una divinità o di un re, ma piuttosto si è mostrata essere una città portuale, crocevia di più culture simile alle moderne città costiere, che vivono di economia, di commercio e con la presenza di operatori interessati alle innovazioni, alle nuove mode e alle tendenze dell’epoca. Inoltre, sempre dall’esame dei resti, la Palvovetri dell’età del bronzo, doveva già avere un’organizzazione gerarchica ben organizzata, come le nostre società moderne, con una classe dirigente formata da funzionari, la presenza di scrittori, mercanti, commercianti, artisti e artigiani, abili maestri nell’arte delle ceramica e nella lavorazione del bronzo; accanto a queste classi non dovevano mancare i soldati per la difesa, i marinai impegnati al porto, e ancora i contadini e i pastori per curare la terra e gli animali.

 

Sparsi sul fondale ci sono ancora centinaia di grandi serbatoi di stoccaggio, probabilmente usati per caricare sulle navi per trasportare olio, vino, coloranti, profumi e piccoli oggetti come statuette e ceramiche da tavola. Poi le strade di Pavlopetri appaiono simili a quelle della Elafonisos contemporanea, presentandosi larghe circa 5 metri, ricoperte di piccole pietre, di forma rettilinea, delimitate dalle case; queste strade sembrano in alcune parti essere lastricate, ma forse la lastricatura non è opera dell’uomo ma piuttosto il risultato del continuo movimento ondoso delle correnti marine. Con l’uso della tecnologia recente più avanzata, la nuova ricerca è riuscita a scoprire più di 9.000 m² di edifici prima coperti dai depositi di sabbia, dovuti alle onde e alle correnti marine, e rivestiti  da alghe, organismi marini incrostanti, come spugne, ricci di mare. Tra le scoperte ci sono pure più di 40 tombe a cista, trovate tra gli edifici o nel loro interno, o sotto i pavimenti delle case, o incassate nelle mura una sepoltura posta nel pithos.  Pavlopetri, la città sommersa più antica del Mar Mediterraneo, è stata riconosciuta patrimonio culturale dall’Unesco e, insieme alla bellezza del suo mare blu, attira tanti turisiti che però, con le ancore delle imbarcazione o talora tentando di portare via qualche souvenir dal luogo sommerso, rischiano di danneggiare questo interessantissimo sito archeologico.

 

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