AVVENIMENTI NELLA PALERMO DEL SETTECENTO

(Francesco Paolo Rivera *)

Palloni aerostati

Nel 1713, a conclusione della guerra di successione spagnola la Spagna dovette cedere alla Gran Bretagna, la fortezza di Gibilterra. Gli spagnoli tentarono più volte di riprendere il possesso della Rocca, senza mai riuscirvi, addirittura la Spagna, alleata con la Francia e con i rivoltosi della costa atlantica dell’America del Nord, assediò per ben tre anni (1779-1783) Gibilterra, ma il 14 settembre 1783 le batterie galleggianti spagnole e francesi che assediavano dal mare la Rocca furono distrutte dagli assediati: Gibilterra era imprendibile sia da terra che dal mare … l’unica via per tentare la riconquista restava l’aria … ma come? Certamente il desiderio di librarsi liberi nello spazio nacque con l’homo sapiens, però, gli avvenimenti “militari” sopra ricordati incrementarono, negli scienziati, nei tecnici, nei dilettanti, la ricerca dei sistemi per la realizzazione del vecchio “sogno di Icaro” … la conquista dello spazio! Finalmente, un giorno, attraverso i giornali di quell’epoca, si sparse la notizia della spettacolare ascensione del pallone dei fratelli Montgolfier  (1). Tale avvenimento interessò l’opinione pubblica: libri, articoli, disegni accrebbero lo stupore dei palermitani e ne stuzzicarono la curiosità: … nelle conversazioni, nei salotti, nei caffè si parlava soltanto di tale avvenimento, tutti si interessavano ai globi volanti, alla navigazione nello spazio … anche se ancora non di navigatori che solcassero i cieli attaccati al pallone, ma tutti si interessavano al peso, alle dimensioni, a tutti gli elementi tecnici e a tutto quanto altro riferivano i giornali francesi circa “Les ballons aerostatiques … e agli innumerevoli tentativi andati a male” …, e poiché gli articoli descrivevano, tra l’altro, con dovizia di particolari, anche i materiali con i quali era costruito il pallone … di “taffetà“… ecco il “taffetevole” pallone, il quale, messo a prova, arrossendo di poggiar alto e sceso umiliato al suolo, fece arrossirne ma non umiliarne gli autori. La gravezza del peso in quel globo, abbenchè di picciol diametro, impedì che si innalzasse nell’aria atmosferica.” A Palermo tale argomento era sulla bocca di tutti, ma quando ci sarebbe stata la possibilità di vedere il pallone innalzarsi in cielo?Finalmente il palermitano don Ercole Michele Branciforte, P.pe di Pietraperzia e di Butera, uomo di grande perspicacia e di non comune disposizione alla fisica (della quale era assolutamente ignaro),  sicuramente dopo vari tentativi, quando ritenne di essere sicuro del fatto suo, invitò il 14 marzo 1784 a Palermo, nel “suo” palazzo Butera, tutta la nobiltà siciliana e tutte le autorità civili e militari della città, ai quali presentò il suo pallone, e dopo averlo riempito di ossigeno, ne chiuse la bocca e lo consegnò nella mani del Vicerè, il quale lo lasciò andare libero. Il pallone – tra lo stupore della folla, assiepata sui piani della Marina e lo scroscio degli applausi dei presenti – si sollevò solenne, come per miracolo – in cielo. (2) Naturalmente, dopo tale primo esperimento – tra l’altro effettuato da chi non aveva alcuna cultura tecnica – i docenti dell’Accademia degli Studi (Università) furono sollecitati a ritentare il volo, e, infatti, il 21 marzo successivo, l’abate Eutichio Barone, docente di storia naturale e di botanica, tentò di far volare un pallone, che appena sollevatosi cadde nel limitrofo giardino del monastero della Badia Nuova tra le urla e gli sberleffi degli spettatori. Molti altri esperimenti furono fatti senza successo, molti si divertivano a confezionare piccoli palloni di carta leggera, che, gonfiati con aria calda, riuscivano a volare. Tale attività fu immediatamente proibita in quanto rappresentava un potenziale pericolo di incendio, specie se praticata nei campi coperti di messi.

Nel 1790, il capitano Vincenzo Lunardi (3) si recò a Palermo, ove il 15 marzo – preceduto, addirittura, dalla fama di “essere dotato di poteri soprannaturali”, avendo portato a buon fine ben tredici voli in tutta Europa -, in presenza della cittadinanza che assisteva da ogni torre, campanile, terrazzo o altro posto elevato della città, si apprestò, sulla spianata della Villa Filippina, a effettuare la sua prima escursione in cielo a Palermo. Tuttavia, forse anche a causa del vento, l’ascensione non avvenne e dopo una serie di prove andate a vuoto, il Cap. Lunardi, non più “essere soprannaturale” ma “volgare giuntatore” (imbroglione) non fu linciato dal popolo, grazie alla protezione del Vicerè e della Nobiltà. Il 31 luglio dello stesso anno, preannunciato da una serie di manifesti attaccati sui muri, nel centro della città, nella spianata antistante il tempio di San Francesco da Paola, il Cap. Lunardì ritentò l’esperimento. Questa volta ebbe successo: ascese col suo pallone in cielo e il popolo palermitano gli tributò grandi ovazioni e applausi, i nobili lo coprirono di doni, il Vicerè di danaro e le monache di dolci e di altre prelibatezze …! Dopo quanto era successo, in conseguenza del primo tentativo fallito, il popolo (anche se ne modificò il cognome in “Liunardu”) immortalò l’eroe con una canzone:

Nun si leggi ‘ntra lunaria

Jiri un omo ‘ntra l’aria;

Liunardu sulu ha statu

ca li nuvuli ha tuccatu;

la sò forza tantu arriva:

Liunardu viva, viva!

Viva viva la sua virtù!

Un omo di terra ‘nta l’aria fu!

E ripeteva questi due versi intercalari, strofa per strofa, fino all’ultima:

Stu prodigiu di munnu

pri ‘n internu non tocca funnu,

Lionardu lo so’ nnomu

resta sempre di grann’omu

Liunardu sulu ha statu

ca li nuvuli ha tuccatu;

la so’ forza a tanto arriva,

Liunardu viva viva!

Viva viva la sua virtù!

Un omo di terra ‘nta l’aria fu!

… i tentativi andati a vuoto erano stati dimenticati e, tutti, raffiguravano su carta, su tela, sui mobili e ovunque c’era posto, il pallone con l’eroico pilota …! (4)

Il gioco del pallone

E, passando ad un altro avvenimento che coinvolse la Città e i suoi abitanti: da una lettera datata 10 luglio 1770, inviata da Palermo a Londra, si apprese che lo scienziato e viaggiatore scozzese Patrick Brydone, scriveva di essere stato invitato (assieme al suo compagno di viaggio Fullarton), dopo colazione, a giocare al pallone …. In che cosa consisteva tale gioco? … “in un campo aperto, con un pallone di cuoio che batte e ribatte in aria, da più giocatori robusti, armati di guantone di legno al braccio destro punteggiato (il guantone) dello istesso legno per balestrare più in alto il pallone. Si fa da persone civili, e vi accorre gran popolo anche per vedere gente rispettabile a giocarlo. Si suole fare nella fossata di strada suburbana, che sta sotto il baluardo dello Spasimo, e appo il popolo rendere un virtuoso trattenimento di divertimenti estivi. Vi giocano per bizzarria parecchi nobili, sacerdoti e persone civili. Male a chi l’erra e per imperizia non ribatte il pallone o lo fa cadere in terra.” Tale gioco – praticato da persone civili – aveva assunto un grandissimo interesse nella popolazione … “Si è quasi reso in furore il gioco del pallone che si fa sotto il baluardo dello Spasimo con gran concorso di popolo e gente civile e nobiltà.”  E molti lo praticavano, ma pare che non tutti fossero robusti (come asserito dal Brydone) … infatti Francesco Carì (5) ironicamente li descrisse in questo sonetto:

“chi sono costor che a piè d’un lungo baluardo

le nerborute man menan con arte?

Forse quel legno acuto arma è di Marte?

Perché muovono il piè or presto or tardo?

Quel diavolo di gloco che qual dardo

spinto e respinto or sbalza, or torna, or parte;

e quei minchion, parte seduta e parte

ritta, ed in cocchio, gira avido sguardo?

Quei terminacci, fallo, passa, caccia,

quel ventoso cristero e quel Iachino (6)

che si scaglia il pallon a tutti in faccia.

Che voglion dir? Cosa mai fanno Elpino (6)?

Elpin ride e s’accosta, indi m’abbraccia:

Semplicetto scioccon, chiedi a Gazzino (6)”

Pare che fossero in molti a voler praticare questo nuovo sport, volendo comparire agili e gagliardi, mentre molti, in realtà, erano per niente robusti e adatti all’esercizio di tale attività. Un anonimo, fingendosi straniero ma esperto del gioco in altro paese, scrisse una lettera, in versi martelliani (7), ad un ipotetico amico per prendere in giro i presunti “atleti” palermitani:

“Per darvi amico, al solito, nova di quel che miro

in questo di Sicilia piccol’ e grato giro,

vi dico che nel giungere in questa Capitale,

considerato avendola, non trovo tanto male,

Vi scorso il buono, il pessimo, il dotto, l’ignorante,

l’onesto, il disonesto, il celibe, l’amante.

A’ pregi a’ mali, insomma, a dirla come penso,

in essa può abitarvi un uomo di buon senso.

La sera sempre portomi in una compagnia,

ove ne godo al sommo di lecita allegria.

Nel giorno, essendo libero, vado per divertirmi

al gioco del pallone. Dovete qui soffrirmi.

Dal darvi nuove serie, allontanar mi voglio,

queste ve le riservo scrivere in altro foglio.

E conoscendo appieno qualunque giocatore

avendo quasi un mese passato in questo l’ore,

l’aspetto, il nome, il vizio di ognun vi scrivo in questo:

sarò nel mio rapporto veridico ed onesto,

gente la più bisbetica qui si raduna, amico,

il gioco non vi inganno, a me non piace un fico,

veduti i giocatori dell’altre nazioni,

in paragone, questi mi sembran cordoni. (8)”

La passione (o forse è meglio dire il tifo) per tale gioco, convinsero alcuni di essi a richiedere al Re Ferdinando III° il possesso del terreno allo Spasimo (9), ove giocavano a pallone, presentando al Sovrano, in visita a Palermo, la seguente istanza:

Li giocatori e dilettanti di pallone di questa Città di Palermo, espongono che fin da tempi immemorabili, il luogo pubblico ove si è sempre fatto esercizio del gioco del pallone è stato tutto il pianterreno, che corrisponde sotto il baluardo nominato dello Spasimo, vicino alla Marina, ed oggi rimpetto all’Orto Botanico. Questo gioco incontra tanto il piacere di questa popolazione quanto in tempo di gioco concorre in quel sito una strabocchevole quantità di cittadini d’ogni classe o per giocare o per essere spettatrice del gioco; a segno tale che i dilettanti fanno continuamente delle spese per mantenere il cennato sito adatto alle giocate: ed anni due addietro, quanto a dire nell’a. 1797 e 1798, vi erogavano la somma di once settanta circa … Vi abbisognano intanto delle altre spese e per la decenza del luogo e per renderlo più commodo ai giocatori. Ma siccome questo gioco non porta una pubblica istituzione, e temono i dilettanti che un giorno all’altro dovrebbero avere impedito l’uso del terreno al presente addetto al riferito gioco per impiegarlo ad altro destino, così per impiegare con sicurezza il loro denaro, pregano affinchè si degni ordinare, che atteso il tempo immemorabile in cui il pianterreno che corrisponde sotto il baluardo dello Spasimo, che porta la longitudine di tutto il baluardo e la larghezza di canne dieci circa, è stato lasciato per commodo dei giocatori del pallone, resti il luogo suddetto addetto a tale uso, e non possano li giocatori essere molestati per qualunque causa nell’uso del suddetto terreno. Si tratta di un gioco di pubblico divertimento e di decoro per altro di questa Città, che incontra l’approvazione d’ogni classe di cittadini, e quindi sperano i ricorrenti dalla Clemenza Vostra, che loro sarà accordata tal grazia.” firmata: Di Blasi, Natoli, Falzello, Pampillonia, Agarbato, Spadaro, Mineo, Monteleone, Barone … e tanti altri … che non si sa se fossero giocatori o spettatori-tifosi. Il Re, sottopose la questione agli organi burocratici preposti, i quali assegnarono, all’uso richiesto, il terreno, che, da quel momento, venne denominato dai cittadini (ma non dalle istituzioni) “Il Pallone”. Anche per le regole del gioco del pallone che si praticava nel settecento a Palermo. e che pare generasse gli odierni entusiasmi dei giocatori e degli spettatori (ma non la odierna conflittualità tra tifosi), nessuna descrizione si è in grado di apprendere dalle notizie dei cronisti di allora, e soprattutto non si riesce a capire a quale degli odierni giochi che si esercitano con la palla di cuoio possa essere assimilato, in special modo per la descrizione fatta della “palla di cuoio  che il giocatore batte e ribatte in aria” e per il “guantone di legno … per balestrare più in alto il pallone che armava il braccio destro del giocatore”. Sicuramente non aveva nulla a che fare con l’odierno foot ball … forse qualche somiglianza potrebbe aver avuto con l’odierna pallamano. Chi avesse la fortuna di poter curiosare negli archivi privati di qualche casato nobile di Palermo, la ricerca potrebbe soddisfare più facilmente la curiosità.

……

* Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib-4 – matr. 434120

……

  • I fratelli Joseph-Michel (1740-1810) e Jacques-Etienne Montgolfier (1745-1799), che lavoravano nella cartiera del padre, avendo osservato che l’aria calda sollevava i panni, stesi ad asciugare, verso l’alto, fecero i primi esperimenti con involucri in taffetà funzionanti proprio con l’aria calda e realizzarono il primo pallone che il 5 giugno 1783 si levò in volo, seguito il 19 settembre successivo dal primo volo con equipaggio composto da una pecora, un oca e un gallo, in un paniere legato al pallone, e successivamente il 21 novembre 1783 da un vero e proprio aerostato che con un equipaggio umano (Pilatre de Rozier e il m.se d’Arlandes) fece un volo di circa mezz’ora, sopra i tetti di Parigi. Dopo questi esperimenti, gli aerostati vennero denominati “Mongolfiere” dal nome dei due fratelli inventori;
  • il Vicerè Domenico Caracciolo, (che sicuramente non aveva un buon carattere e probabilmente non aveva gradito lasciare la carriera diplomatica o forse il bel mondo parigino per assumere la carica di Vicerè), fu costretto a esprimere al P.pe Branciforte tutta la sua soddisfazione e il suo compiacimento per questo “miracolo”, ma dovette sicuramente sentirsi mortificato per avere dovuto festeggiare il “genio”, che aveva tenuto abusivamente segregato in carcere per ben tredici mesi;
  • era nato a Lucca nel 1754, e militò quale ufficiale del genio nell’esercito del Regno di Napoli e, dopo il congedo, ricoprì la carica di segretario all’ambasciata di Inghilterra. Dopo gli esperimenti dei fratelli Montgolfier, il Lunardi progettò un pallone a gas capace di più grande autonomia e con questo, il 15 settembre 1784, compì la prima ascensione a Chelsea (Londra) con successo e ripetè i suoi voli in altre città europee, a Napoli, in Spagna, in Portogallo ove morì l’1 agosto 1806;
  • il Giornale di Commercio dava notizia che nella bottega dell’orologiaio Giuseppe Mustica (posta ove è il palazzo Riso, in piazza Bologna o Bologni), fin dal 19 maggio 1794 era in vendita un orologio con la cassa di legno indorata, la cui forma era quella di una mongolfiera che, in una barchetta “continuamente agitata”, sosteneva il Lunardi col copilota, suonava le ore, i quarti, il mezzogiorno, la mezzanotte, la sveglia, mostrava i giorni del mese e si caricava dalla parte del quadrante,
  • nato a Palermo il 17 novembre 1726, sacerdote e teologo, insegnante di teologia dogmatica, alle scuole superiori, istituite a seguito della espulsione dei gesuiti, autore di molte opere;
  • chi fossero questi personaggi (Iachino o Gioacchino, Elpino, Gazzino) … non è facile appurarlo. Chi avesse accesso al “Diario storico di G. Lanza Branciforte” forse ne saprebbe di più!
  • versi di quattordici sillabe, in uso nel XVIII° secolo ad imitazione del “verso alessandrino” in uso in Francia.
  • ha anche il significato di persona stupida;
  • nel rione Kalsa, tra piazza Magione e via Lincoln.

 

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