LA STORIA LA SCRIVONO I VINCITORI

(Francesco Paolo Rivera*)

Curiosando nel sito “Vesprino Magazine” la mia attenzione è stata attratta dalla copertina del numero sette della rivista, sulla quale campeggia, sotto il titolo “1861 – 2011 centocinquantesimo dell’Unità d’Italia”, il tricolore che sventola nel cielo e la figura di Giuseppe Garibaldi.  Seguono l’editoriale dell’Amica Gabriella Maggio e i due suoi brevi articoli “Da Quarto al Volturno” e “150° anniversario …” ove riporta stralci degli scritti di G.Cesare Abba e, poi,  l’articolo critico (ma tanto “veritiero”) di Patrizia Lipani. Effettivamente, con l’impresa garibaldina e con l’occupazione del Regno di Napoli da parte dei piemontesi, si misero le basi dell’unità d’Italia, così come è scritto su tutti i libri di storia e così come ci hanno insegnato a scuola, ma ciò che non dicono i libri di storia è “come” si arrivò all’unificazione del Regno di Italia …, anzi gli storici ufficiali hanno sempre evitato (non sappiamo se in buona o in cattiva fede), in questi ultimi 159 anni, di raccontarci le verità … perché? Il club lions nel quale attualmente milito, in occasione della celebrazione col 150° anniversario dell’unità d’Italia (2010/11), volle organizzare un meeting commemorativo sull’argomento e invitò quale relatore un valorosissimo confratello Lions, appassionato studioso di storia italiana, al quale – avendo saputo che avrebbe svolto il tema storico … così come raccontato dai libri di storia – avevo proposto un dibattito sui fatti che la storia ufficiale si è sempre guardata bene dal raccontare. Tuttavia, malgrado il relatore ufficiale si fosse dichiarato disponibile, anzi felicissimo, della proposta di dibattito, il presidente del mio club, dopo lunga riflessione, non lo ritenne opportuno … il tempo a disposizione del relatore della serata è appena sufficiente … non c’era spazio per un dibattito …!!  La copertina e gli articoli contenuti nel n. 7 del Vesprino di otto anni fa, da me letti, per puro caso, (a quell’epoca non conoscevo né il Vesprino né i due fantastici redattori) mi suggeriscono di riprovarci … (sia pure molto sinteticamente, sopratutto per non “annoiare” i lettori … eredi, assieme a me, di quei “barbari” … abitanti dell’Italia del Sud) … chissà, se gli Amici Gabriella Maggio e Attilio Carioti, pubblicheranno “la verità … degli sconfitti” … e se tale verità verrà apprezzata dai lettori … !? L’indagine (molto sintetica)  parte dalla situazione politico economica dei paesi che governavano l’Europa e che si affacciavano nel Mediterraneo. Nel 1853 scoppia il conflitto tra Francia, Inghilterra e Turchia contro la Russia di Nicola I°, al quale il Regno di Sardegna (i Savoia) partecipa, non perché avesse mire territoriali, ma soltanto perchè – secondo il programma di Cavour – avrebbe consentito al piccolo Regno di Sardegna di sedere al tavolo della pace, a sostegno del programma di annessione di tutti quei territori del nord-Italia, feudi dell’Impero Austro Ungarico, i cui abitanti volevano diventare italiani. Ma, per armare un corpo di spedizione di circa 18.000 uomini (che ebbe più perdite a causa del colera che del piombo nemico) occorrevano molti soldi (ricordiamo che il Regno di Sardegna, nel 1859 era stato impegnato nella seconda guerra di indipendenza), soldi che pare siano stati finanziati dalla banca Rothschild … (e da chi altri ? … a quell’epoca erano gli unici a disporre di tali ingenti capitali!). La Francia di Napoleone terzo, per dar fastidio all’Impero asburgico, era favorevole a sostenere il Regno di Sardegna, ma – a sua volta – infastidiva, con la sua presenza, l’Inghilterra. Quest’ultima nazione invece era molto vicina al Regno di Napoli: Re Ferdinando II°, a seguito della rivolta giacobina e dell’invasione di Napoli da parte delle truppe francesi, fu aiutato nella sua fuga a Palermo dall’ammiraglio Horatio Nelson, (al quale per riconoscenza conferì il titolo di duca di Bronte e donò il feudo di circa 7mila ettari di terra, ancora oggi famoso per la produzione del pistacchio),  altre volte (1802 e 1806) lmpedi l’aggressione di Napoli e della Sicilia da parte della Francia (Gioacchino Murat). Nel 1808 un corpo di spedizione inglese vigilava sui porti siciliani; in pratica gli inglesi avevano in mano l’intera economia della Sicilia (1) e miravano a impossessarsi dell’intera isola per farne la loro base operativa nel Mediterraneo (2). Però gli inglesi mal tolleravano il regno di Napoli: la flotta napoletana, sia quella commerciale che quella da guerra, modernissima (piroscafi a vapore e a ruota) era concorrenziale con quella britannica, perché l’economia napoletana era molto florida e tutto ciò limitava il monopolio, nel mediterraneo, delle imprese britanniche. I Savoia, in conseguenza del breve soggiorno in Sicilia di Vittorio Amedeo II°, che dopo sette anni di regno fu costretto a rinunciare alla corona e dovette accontentarsi, in cambio, della corona di Sardegna, che comprendeva anche il Piemonte; le regioni del nord Italia, anche se ancora sotto l’influenza austriaca, erano di fatto quasi tutte italiane o aspiravano a diventarlo; le regioni della penisola al di sotto degli Stati pontifici, le cui popolazioni erano, per la massima parte, analfabete e praticavano l’agricoltura e la pastorizia su terre che erano di proprietà dei feudatari, e subivano dai padroni un trattamento simile alle bestie, aspiravano alla ridistribuzione della proprietà terriera (poco importava sotto quale regno) cosa che non fu mai presa in considerazione dai liberali (che auspicavano la creazione di una Italia unita dalle Alpi alla Sicilia); gli abitanti di queste regioni centro meridionali erano considerati “selvaggi degni di abitare in Africa” (3), lo Stato Pontificio pare che finanziasse il “brigantaggio” al fin di evitare l’invasione dei propri territori da parte dei vicini. Il programma primitivo di ripartizione della Penisola e Isole maggiori secondo i progetti di Cavour, di Gioberti, di Rosmini e di d’Azeglio era la costituzione del Regno d’Italia composto da Piemonte, Sardegna, Lombardia, Veneto e ducati Emiliani; il Papa sovrano onorario del Regno e i territori meridionali sotto il Regno Borbonico. Successivamente il programma venne modificato: era, infatti, necessario che si procedesse all’occupazione anche dei territori del Regno Borbonico, in quanto il patrimonio del Regno di Napoli (era uno degli Stati più ricchi di Europa) avrebbe consentito al Re di Sardegna, Vittorio Emanuele II° (4) di diventare Re d’Italia ma sopratutto di rimborsare i debiti contratti per la seconda guerra di indipendenza e per quella di Crimea.   Naturalmente questa modifica programmatica non venne mai pubblicizzata, ma all’atto pratico fu la prima operazione che venne effettuata dopo l’occupazione di Napoli da parte delle truppe piemontesi. Quale migliore occasione della disponibilità del gen. Garibaldi, coraggioso condottiero, ma sopratutto noto e apprezzato soldato di ventura, il quale, al comando di mille volontari, era pronto a salpare per invadere la Sicilia. Le somme necessarie (per il noleggio delle due navi Lombardo e Piemonte, per il trasporto dei volontari, per le spese belliche e quelle necessarie alla … corruzione … dei generali comandanti dell’esercito borbonico) erano state messe a disposizione dagli inglesi, le armi (mille carabine “Miniè” e due cannoni di cui uno, pare, non funzionante) sarebbero state forniti al forte di Talamone (Orbetello), il denaro necessario per il mantenimento dei volontari sarebbe stato “requisito” dalle casse delle città che via via sarebbero state invase,  e l’11 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi, con la connivenza di due piroscafi inglesi che evitarono il cannoneggiamento delle due navi da parte delle navi borboniche, sbarcò alla testa del suo minuscolo esercito nel porto di Marsala. Iniziò così la invasione della Sicilia. Il primo scontro tra le camicie rosse e l’esercito borbonico, che enfaticamente gli storici denominarono “la battaglia di Calatafimi”, si ebbe in località Pianto dei Romani il 15 maggio 1860 (ben quattro giorni dopo lo sbarco …, Marsala dista da Calatafimi circa 60 Km. … ma dove erano i soldati borbonici che avrebbero dovuto difendere l’isola ?).

L’esercito borbonico, composto da circa 3.000 soldati, ben addestrati, armati di carabine Miniè mod. 1856, con munizionamento a cartuccia, e di cannoni, era schierato, rispetto ai garibaldini, in posizione più elevata, sulle alture di Calatafimi, mentre i “mille” di Garibaldi (armati anche loro di carabine Miniè ma di modello più antico, 1844 … pare che non li avessero mai maneggiate), ai quali si erano aggregati i volontari (“i picciotti” siciliani) (5) erano sparpagliati in posizione sfavorevole. Improvvisamente, dopo i primi colpi di cannone sparati dai borbonici, con somma meraviglia degli invasori, I tremila soldati borbonici, al comando del gen. Landi lasciarono le loro postazioni e si ritirarono …: evidentemente (così si dice) era stata recapitata la “bustarella” (6), (7). Il 27 maggio 1860, all’ingresso in Palermo, dalla Porta di Termini, Garibaldi, che proveniva da Gibilmanna, si scontrò con l’esercito Borbonico, al Ponte dell’Ammiraglio. Ma anche in questo caso il tutto andò per il meglio, forse perché la popolazione, che era in sua attesa, insorse o forse … per lo stesso motivo (la “bustarella”) che aveva capovolto gli avvenimenti dello scontro di Calatafimi (8). E, lasciando agli storici tutti gli avvenimenti riguardanti l’invasione incontrastata della Capitale e dell’Isola, vale la pena raccontare l’unico avvenimento sicuramente negativo di tale spedizione. Garibaldi, autoproclamatosi dittatore in nome del Re di Sardegna, con un suo decreto promise soccorso ai bisognosi e la divisione delle terre ai contadini, decreto che generò nel popolo siciliano il convincimento della nascita di una nuova società libera dalle miserie e dalle ingiustizie. La cosa provocò movimenti di piazza da parte della popolazione. A Bronte, alle pendici dell’Etna, ove era ubicata la “ducea di Nelson” (quello stesso feudo che il Re Ferdinando II° aveva donato all’ammiraglio Horatio Nelson cioè, al rappresentante della famiglia inglese tra le più importanti in Europa), scoppia il malcontento nella popolazione che avrebbe voluto occupare quelle terre. …. Va bene tutto … ma le proprietà dei “padroni” (inglesi che avevano finanziato la spedizione) sono intangibili! Occorreva intervenire per sedare i tumulti e dare un esempio ai rivoltosi. Naturalmente … il gen. Garibaldi si guardò bene dall’intervenire di persona (non poteva macchiare il suo nome) ma inviò Nino Bixio, il quale – a capo di un battaglione di garibaldini – giunto sul posto, invece di procedere alla distribuzione delle terre, come ordinato dal Dittatore al momento in cui assunse il comando dell’Isola, istituì un tribunale di guerra, che nel giro di quattro ore, giudicò sommariamente 150 persone (i responsabili dei movimenti di piazza erano già fuggiti) e ne condannò 5 alla fucilazione, che venne eseguita all’alba del giorno successivo (10 agosto 1860) e, a titolo di monito, i cadaveri restarono esposti al pubblico (9). Il 18 ottobre 1860 viene fatto il Plebiscito, al quale partecipano soltanto i favorevoli all’annessione all’Italia, in molte zone pare che non fossero state distribuite ai votanti, le schede con il NO. Garibaldi attraversato lo Stretto di Messina, viene fermato dalle truppe borboniche comandante dal gen. Pallavicini, ma in considerazione del fatto che … conveniva lasciarlo fare …, conquista la Calabria, la Lucania e la Campania, entrando, trionfalmente, a capo delle Camicie Rosse, a Napoli il 7 settembre 1860. Il Re, Francesco II° di Borbone (Francischiello) ripara con la moglie a Gaeta. Ma, Vittorio Emanuele II°, preoccupato dell’accoglienza trionfale delle popolazioni al gen. Garibaldi, al comando del 1° reg. Bersaglieri attraversa la Romagna, le Marche, l’Umbria e, perfino gli Stati Pontifici (senza neanche chiedere il permesso al Papa), partecipa alla battaglia del Volturno, praticamente vinta il giorno prima dai garibaldini e si incontra con Garibaldi a Teano, concordando con lui di incontrarsi avanti la Reggia di Caserta al fine di accedere a Napoli, fianco a fianco con l’esercito garibaldino. Ma tale accordo aveva ben altro scopo. Infatti Vitt. Emanuele non si presenta all’appuntamento con Garibaldi, lo abbandona al suo destino ed entra trionfante alla testa del suo esercito a Napoli il 6 novembre 1860. Garibaldi, offeso, scioglie il suo esercito (ormai di circa 50mila uomini) e si ritira a Caprera. Dopo l’occupazione di Napoli, I piemontesi, comandati dal gen. Cialdini assediano Gaeta (ove si erano rifugiati i borbonici che avevano abbandonato Napoli): l’esercito piemontese forte di 18.000 uomini, 1600 cavalli, 60 cannoni a canna rigida, 180 cannoni a canna rigata, assedia Gaeta e distrugge la città, la famiglia Reale riesce a fuggire a Terracina (10). Il 13 febbraio 1861 la città si arrende e capitola con l’onore delle armi. Gli ufficiali dell’esercito borbonico vengono imprigionati nelle isole del Golfo, i soldati (coperti dalle divise di tela, stanchi e digiuni da molti giorni) vengono immediatamente trasferiti, ammassati nelle stive di navi, fino a Genova, altri da Gaeta, e tutti a piedi fino alle casermette del Forte di Fenestrelle in Piemonte (11) … coloro che non resisteva per il freddo, la fatica, la fame (la maggior parte) vengono finiti a baionettate … i pochi che riuscirono a raggiungere il Forte, vengono incatenati alle pareti delle casermette … sopravvivenza media tre mesi … e, i morti (o i presunti tali) disciolti nelle vasche di calce viva. (12) A Gaeta vennero arrestate oltre 6.000 persone. I pochi fabbricati rimasti in èiedi dopo i bombardamenti vengono distrutti dalle truppe occupanti, assieme a intere piantagioni di ulivi, di carrubo e di altri alberi, ogni industria viene portata via e mobili e macchinari trasportati in Piemonte, pastori, militari, operai, contadini pare che siano stati passati per le armi senza alcun processo (13). Tutto quanto poteva essere asportato viene rubato dalle truppe di occupazione sia da fondi pubblici (poste, dazio) che ai privati, e la popolazione  ridotta alla fame più nera  (14). E adesso è bene trattare il fenomeno del brigantaggio, ampliatosi in conseguenza dell’invasione dei territori borbonici da parte delle truppe piemontesi. I “briganti” erano sicuramente gruppi di malfattori che, con le armi in pugno, attentavano le persone e le proprietà, erano la espressione del profondo disagio socio economico del mezzogiorno; chi non aveva nulla da perdere, piuttosto che vivere una esistenza senza speranze, nella più nera miseria, coloro che non riuscivano a sopravvivere con la coltivazione della terra, che sfuggivano alla leva militare (6 anni per la fanteria, 5 anni per la cavalleria, per i bersaglieri e per l’artiglieria), coloro che aspiravano a conseguire ideali di libertà e di indipendenza contro gli oppressori, ingrossavano le bande dei briganti, i quali – talvolta – toglievano ai ricchi (ai proprietari terrieri) per distribuire ai poveri. Si diceva, anche, che i briganti venissero finanziati dalla Chiesa di Roma (il Papa era Pio IX) al fine di contrastare le ruberie nelle chiese e nei conventi dei soldati piemontesi. Si omettono, per motivi di spazio, i nomi dei più famosi briganti, e di coloro, anche appartenenti a famiglie altolocate italiane e straniere, che per spirito di avventura o per ideali di libertà si arruolavano per combattere contro gli invasori. Il Governo emanò leggi e ordinanze per reprimere le popolazioni dei territori occupati; il Ministro dell’interno Luigi Carlo Farini ordinò di far piazza pulita dei garibaldini e dei borbonici; il Parlamentare Enrico Cialdini ordinò la fucilazione di coloro che si presumevano briganti o fiancheggiatori (8968 persone della popolazione furono trucidate, tra cui 54 preti e 22 frati); i feriti superarono il numero di diecimila, sei i paesi e 918 case distrutti col fuoco, 12 chiese saccheggiate, più di 13.000 i deportati; il Cap. Crema, al comando di una colonna mobile del 45° Rg. Fanteria, a Campobasso e a Casalciprano fa violentare dai suoi uomini le donne del paese, fa torturare i mercanti alla ricerca delle riserve alimentari e commette altre nefandezze per le quali viene sostituito dal Cap. Angelo De Witt, il quale mette a ferro e a fuoco il territorio di Spineto, e personalmente si diletta a prendere a sciabolate i pastori perché – a suo dire – … il loro aspetto è compatibile con il prototipo del delinquente (15). Nel luglio – agosto 1861 gli abitanti dell’Abruzzo, del Molise, della Ciociaria subiscono fucilazioni e massacri, Auletta (prov. SA) viene messa a fuoco e numerosissimi abitanti tra cui alcuni sacerdoti massacrati dalla Legione Ungherese aggregata all’esercito piemontese, comandata dal gen. Istvan Turr; la stessa sorte subiscono gli abitanti del Sannio, Bucciano, Civitella, San Giorgio La Molara, Pietralcina. Nell’estate del 1861, il Col. Pier Eleonoro Negri (da non confondere col Gaetano Negri che fu Sindaco di Milano), al comando del 1° Bersaglieri, fa incendiare Pontelandolfo (in prov. di BN), fa massacrare circa 400 abitanti e poi, a Casalduni fa stuprare dai suoi soldati tutte le donne e le fa uccidere a baionettate. Nel dicembre 1862 la Camera, presieduta da Urbano Rattazzi, istituisce una commissione di inchiesta sul brigantaggio, composta da 9 deputati, i quali, invece di indagare sulle cause politiche, economiche, sociali e culturali che avevano indotto masse di contadini a reagire per difendere le condizioni di vita già difficili, si muovevano, scortati da interi squadroni di cavalleria, per intervistare Prefetti, Autorità civili e militari, politici, proprietari terrieri e “galantuomini” – tutta gente che per ceto e per convenienza stava dalla parte dei piemontesi – e non i contadini e la povera gente, concludendo che “i briganti sono materia di polizia e non di politici” … “quella del brigantaggio è la peggior sorta di guerra che si possa immaginare, è la lotta tra la barbarie e la civiltà”. Si racconta anche, che nella relazione della Commissione si evidenziò che l’origine del brigantaggio non andasse cercato nel meridione della penisola, ma a Roma, che era collusa con i borbonici. Occorrevano, quindi, leggi eccezionali per evitare che la longa manus borbonica entrasse nel cuore del Mezzogiorno. Contro ogni opposizione il governo impose la censura, sequestrò e chiuse la maggior parte delle testate giornalistiche, inviò truppe fresche per reprimere le popolazioni. Il Governo, presieduto da Marco Minghetti, l’1 agosto 1863, diede incarico al deputato abruzzese Giuseppe Pica di studiare una legge che mettesse fine al brigantaggio. Con tale legge si dichiarò “in stato di brigantaggio” tutto il territorio continentale del Regno delle due Sicilie (Abruzzo Citeriore e Ulteriore, Basilicata, Benevento, Calabria Citeriore e Ulteriore, Capitanata, Tavoliere e Gargano), Molise, Principato Citeriore (Salerno, Sala Consilina e Bonati) e Ulteriore (Avellino, Ariano e Sant’Angelo dei Lombardi) e Terra di Lavoro (Capua) eccetto Napoli, Bari, Reggio Cal. Teramo e Terre d’Otranto (Lecce, Taranto, Brindisi e Gallipoli). Lo Stato di guerra previsto nella legge mise in discussione l’unità nazionale come volontà collettiva degli italiani. I processi contro i “briganti”, furono assegnati ai Tribunali militari, in unico grado di giudizio, prevedendo come pena di morte l’unica pena erogabile. Si continuò a incendiare paesi e villaggi, a fucilare popolazioni inermi senza giudizio, anche coloro che si arrendevano venivano fucilati. Non si pensò di migliorare la esistenza delle masse di contadini affamati, di mettere in cantiere una riforma agraria, anzi le terre demaniali e quelle tolte al Regno delle Due Sicilie, furono cedute ai “soliti amici degli amici”: … ai “vinti” soltanto la desolazioni e la povertà più nera. Il Regno d’Italia investì somme ingentissime (da dove erano pervenute …?) per opere pubbliche, scuole, acquedotti, strade, caserme, ferrovie … quasi tutte realizzate al Nord, cosi che il debito pubblico nel 1866 presentò un disavanzo di circa il 60%. Per coprire il deficit il Governò applicò la famosa “tassa sul macinato” (farina e pane) che riequilibrò le casse dello Stato … colpendo maggiormente i territori meridionali e insulari, ove l’economia era basata quasi esclusivamente sull’agricoltura, affamando ancora di più la povera gente. In pratica i governanti non riuscirono ad affrontare i problemi del Mezzogiorno: al Nord nascevano le grandi imprese industriali (la Fiat, la Pirelli, la Montecatini …) mentre al Sud si pagavano soltanto le tasse …, dal 1862 al 1897 lo Stato spese 458milioni (provenienti dalle Casse del Sud), di questi 455milioni al Nord e solo 3milioni al Centro Sud. Questa, da allora, viene definita la “questione meridionale” … questione che è sempre rimasta tale e quale. Il brigantaggio che venne trattato come il mito della rivolta sociale a sfondo contadino, fu evocato come un nobile esempio da sindacalisti, contadini e braccianti alle prese con le rivendicazioni, gli scioperi e le battaglie, i briganti furono addirittura apparentati nella lotta, e assunti al rango di difensori della libertà. I piemontesi furono addirittura denominati antesignani dei nazisti …  tutte forzature ideologiche. Cavour, prima di morire, aveva detto “Niente stato di assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti sono buoni di governare con lo stato di assedio; io governerò i meridionali con la libertà e mostrerò loro quello che possono fare di quel paese dieci anni di libertà. In 20 anni saranno le provincie più ricche d’Italia! Niente stato di assediove lo raccomando !” sconfessando, così, quanto aveva sostenuto con i suoi ultimi governi. Ma Cavour rimase inascoltato, infatti anche se sono trascorsi circa centosessanta anni, il Mezzogiorno continua a portarsi dietro i malanni della sua infanzia. E, per finire, un breve personale commento:

* quanto a Garibaldi, anche se qualche grossa pecca è addebitabile anche a lui, lo si può facilmente giustificare: era un soldato di ventura, non del tutto italiano, combatteva, sempre in prima linea, con coraggio a servizio di chi lo pagava e non fu mai un “voltagabbana”. Si è comportato da eroe in battaglia e quando il Re lo invitò ad entrare trionfalmente a Napoli, al suo fianco, ma in realtà lo abbandonò sul luogo dell’appuntamento … con grandissima dignità, sciolse la sua armata e tornò a Caprera … anche se l’armata garibaldina era numericamente  composta da oltre il doppio dei soldati di quella piemontese e, soprattutto, godeva del favore delle popolazioni;

* quanto a Vittorio Emanuele II°, … primo Re d’Italia, ancora oggi presente, sotto forma di statua di bronzo sul suo destriero, in tutte le Città d’Italia, “da vincitore ha scritto la storia” così come è stata riportata sui libri! … la fortuna per i “vinti” … è che il primo Re d’Italia era “Re galantuomo” e “Padre della Patria”, … almeno così ci è stato tramandato, … perché se non fosse stato tale anzicchè centomila civili, avrebbe, forse, fatto trucidare la maggior parte degli abitanti del mezzogiorno d’Italia …!

………

*) Lions Club Milano Galleria 108 Ib-4 – matr. 434120

  • per citare i più noti, Woodhouse, Ingham, Beverley, Bishoff, Carlill, Turner, nella Sicilia occidentale avevano il controllo della produzione e il commercio dei vini, Payne e Hopps, sempre nella parte occidentale si occupavano della produzione e commercio di ceneri di soda, manna e mandorle; nel 1815 dopo il Congresso di Vienna gli inglesi si accaparrarono con un contratto capestro l’intera produzione dello zolfo siciliano senza lasciare utili alla Sicilia; la società Wyeth Lederle, nota in tutto il mondo, aveva stabilimenti farmaceutici nella Sicilia orientale; gli inglesi avevano basi militari in tutta l’Isola:
  • gli inglesi, anche attraverso le logge massoniche siciliane cercavano di mettere il Parlamento siciliano contro la Corte di Napoli e, addirittura, il 18 luglio 1812, fecero approvare dal Parlamento siciliano una nuova costituzione liberale di 15 articoli sul modello di quella inglese che limitava i poteri del Re, aboliva i privilegi feudali e stabiliva la parità dei cittadini avanti alle leggi, la libertà di stampa e la libertà di pensiero;

 (3) alcune delle definizioni date dai più noti e autorevoli politici di allora sugli abitanti del Regno delle Due Sicilie:

  • Antonio Scialoja: “… pecore, diavoli avvezzi alle più incredibili atrocità, mangiavano il cuore e il fegato ai nemici e ne bevevano il sangue nei loro teschi;”
  • Costantino Nigra: “a Napoli prolifera la incapacità, la corruzione, la inerzia di un popolo instabile, ozioso e ignorante”;
  • Luigi Carlo Farini: “Napoli era la capitale dell’ozio e della prostituzione di tutti i sessi, di tutte le classi”;
  • Aurelio Saffi: “ … lascito della barbarie alla civiltà del XIX secolo”;
  • Nino Bixio: “il Mezzogiorno è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Africa a farsi civili”;
  • era figlio di un macellaio di nome Tanaca, che sostituì il figlio primogenito di Carlo Alberto morto, in un incendio assieme alla sua governante, entro la residenza di Poggio Imperiale; non conosceva la lingua italiana, parlava in francese e in dialetto piemontese;
  • la maggior parte, giovanissimi, che non avevano mai visto un’arma da guerra, e che – come asserì mio Nonno – il quale, ragazzino di appena 13/14 anni, scappato da casa, armato di una alabarda (procurata non si sa bene dove) cercò di partecipare alla “battaglia”, – … ma al rumore della prima cannonata borbonica, se la diede a gambe, assieme alla maggioranza dei volontari;
  • la “mazzetta” pare che fosse di 14.000 ducati, ma qualcuno sostiene che il documento contabile fosse falso … chi furono gli autori del falso ? … gli inglesi o i garibaldini … oppure un terzo, designato a versare la somma, che ritenne più opportuno intascarsela, turlupinando, così, sia il corruttore che il corrotto;
  • per quanto riguarda la Battaglia di Calatafimi vale la pena dare una lettura agli scritti di Cesare Abba, di Francesco Grandi, di Ippolito Nievo e di altri cronisti di quell’epoca;
  • si presume che sia Bertolini (autore di una nota incisione raffigurante l’assalto al Ponte dell’Ammiraglio) che Renato Guttuso (anche lui autore di una tela agli Uffizi, con il medesimo soggetto) abbiano “immaginato” i soggetti da loro dipinti … il nostro illustre “Baariotu”, da me interrogato (cordialmente) sull’argomento, (durante l’ultima sua visita a Milano, ospite del compianto mercante d’arte, prof. Pavia), sorridendo si giustificò … non era presente all’avvenimento …! … e, secondo altri, era anche frutto di invenzione la frase attribuita a Garibaldi da G.C.Abba “qui si fa l’Italia o si muore”;
  • Il plotone di esecuzione risparmiò Nunzio Giraldo Fraiunco (lo scemo del villaggio, reo di essersi schierato con i dimostranti, suonando una trombetta di latta), il quale ritenendo di essere stato miracolato, si inginocchiò in preghiera, ai piedi del gen. Bixio, per ringraziare la Madonna … ma ricevette, in quella posizione, una palla di piombo in testa … (sparata da chi …?) … giustizia era stata fatta …!
  • qualche curiosità storica (che nulla ha a che vedere con l’argomento trattato): la Famiglia Reale era composta dal Re delle Due Sicilie, Francesco II° di Borbone, inteso “Francischiello” e dalla consorte Maria Sofia di Baviera, (sorella di Elisabetta d’Austria – Sissi – moglie dell’Imperatore Francesco Giuseppe), con la quale il Re ebbe una figlia Maria Cristina Pia morta a tre mesi. La Regina Maria Sofia mise al mondo altre due figlie con un ufficiale della Guardia Pontificia, Armand de Lawayss. La Regina Maria Sofia era zia della Regina Maria Josè moglie di Umberto II° di Savoia;
  • il Forte (Fenestrelle in italiano, Finistrelas o Fenetrella in occitano) composto di tre complessi fortificati a circa 1500 mt s.l.m., uniti da un tunnel di circa 3 km. servito da una scala di ben 4.000 gradini; dista da Torino circa 70 km. e la distanza da Gaeta a Torino è di circa 650 km. … i poveri soldati borbonici (per quelli che ce la fecero) prigionieri dei piemontesi furono costretti a coprire a piedi circa 750 km. … per andare a morire di stenti, di freddo, di fame e di malattie al forte di Fenestrelle …!;
  • pare che il Governo Piemontese abbia trattato l’acquisto al largo della costa Argentina di un isola ove deportare i prigionieri;
  • nel 1961, in conseguenza di scavi, eseguiti a Gaeta, per la costruzione di edifici scolastici, furono rinvenuti, in fosse comuni, gli scheletri di oltre 2.000 persone che indossavano pelli di pecora, ciocie, cappotti militari mancanti dei bottoni (i cappotti delle truppe borboniche avevano i bottoni in argento con lo stemma del giglio) e il fondo della fossa impregnato di sangue … il sangue dei fucilati. Nel 2008, Antonio Ciani (autore di parecchi saggi su tali argomenti) divenuto Sindaco di Gaeta, fece richiesta ufficiale agli eredi Savoia di un indennizzo di 270milioni di euro … a titolo di risarcimento di danni …!
  • molti meridionali (moltissimi i siciliani), sia contadini, sia sudditi borbonici, sia ex garibaldini, sia soldati papalini fuggirono negli USA, ove per decreto del marzo 1861 del Governatore Thomas Moore venne costituito il 6° reggimento Luisiana “Italian Guard” dell’esercito confederato, che si distinse con onore nella guerra 1861 – 1865. Molti di loro sono sepolti nel Confederate Memorial Hall;
  • faceva parte della campagna contro il brigantaggio, quale ufficiale medico, Cesare Lombroso, il quale, studiando nel volto la delinquenza umana, elaborò le ben note teorie di “antropologia criminale”.

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