COLPISCI IL TUO CUORE

            Romanzo  di Amélie Nothomb- traduzione di Isabella Mattazzi, Voland, 2018

(Luigi Alviggi)

Non è raro che in famiglia si annidino i mali più grandi per uno o più dei suoi componenti che divengono poi ferite nell’animo, raramente rimarginabili e destinate a segnare l’intero corso di vita. Profondo e toccante questo romanzo, decisamente una rassegna di personaggi singolari che, per un verso o per l’altro, esulano dalla normalità pur senza essere fuori da quel che può definirsi l’universo degli individui “non patologici”. Sentimenti comuni sfociano nell’esasperazione che diventa estremamente dolorosa verso coloro che ne divengono bersaglio, ma che non sono affatto percepiti come tali da chi li stravolge abusandone. C’è una freddezza di rapporti familiari che porta alla memoria la gelida distanza esistente tra le protagoniste, una nonna e sua nipote,  de “La visitatrice”, l’unico romanzo della giornalista irlandese Maeve Brennan (1917–1993) pubblicato postumo dopo il casuale ritrovamento in un’università dell’Indiana (USA) nel 1997. Amélie Nothomb (Giappone, 1967), è una scrittrice belga di successo che ha girato molto in Asia e America in gioventù al seguito del padre diplomatico. A 21 anni torna nella “patria” nipponica e lavora un anno in una grande industria con esiti disastrosi che irromperanno direttamente nel libro “Stupore e tremori” (1999), resoconto dell’infausta esperienza: un’impiegata, per suoi errori, scende nella scala gerarchica fino a finire “guardiana dei wc” . Pluripremiata, il suo primo lavoro è però “Igiene dell’assassino” (1992) uscito in Francia ove vive stabilmente: un premio Nobel della letteratura confessa, nella sua ultima intervista, un omicidio compiuto anni prima. Susciterà attenzione nel campo letterario, e questo in esame (del 2017) è il suo 26° romanzo, tutti pubblicati in Italia da Voland. L’approccio narrativo è incisivo, asciutto il registro e serrato il ritmo. I capitoli brevi, di facile lettura,  captano l’interesse del lettore per le vicende drammatiche e la partecipazione alle sofferenze delle giovani protagoniste. La foto in copertina è dell’Autrice oggi. Marie, splendida diciannovenne, primeggia nella sua città non grande, e crede in uno splendido futuro che le concederà tutto quanto può sognare. Un senso di incolmabile infinito la possiede, e l’invidia dolorosa di quante la circondano la fa impazzire di gioia. Semplice la sua filosofia di vita:Alle feste le piaceva che i ragazzi avessero occhi solo per lei, stava sempre attenta a non dare l’idea di preferirne uno agli altri – che se ne stessero pure tutti lì, pallidi per l’angoscia di non essere scelti. Quale piacere immenso nell’essere cento volte respirata, mille volte desiderata, e mai colta! Ma poi cresce. Olivier è il ragazzo più bello e ambito del posto, e i due si innamorano perdutamente. Si mettono insieme nel dispetto di tutti ma, improvviso per lei, ecco il primo inciampo della vita. Rimane incinta e, pur subito sposi, non ha il tempo di preparare il matrimonio da sempre vagheggiato, e nemmeno se la sente di diventare madre così giovane. La fuga nel sonno diviene il rimedio inconscio durante la gravidanza. Con i suoi vent’anni arriva Diane, bella ancor più della madre, che fa impazzire d’orgoglio il padre. Marie inizia a sentirsi in ombra nella considerazione di tutti e questo scatena una gelosia incontrollabile nei confronti della bambina che, senza colpa, ha offuscato le illusioni di gloria. È la nonna a comprendere per prima l’antagonismo assurdo della figlia per la nipote che impedisce verso questa ogni forma di tenerezza. Non è madre, e nemmeno matrigna cattiva. No, per lei è semplicemente come se la figlia non esistesse e infatti lascia ogni compito relativo al marito e alla servitù. Per scuoterla dalla depressione, Olivier le offre di occuparsi della contabilità della farmacia e la vita della moglie muta, ma ancor più cambia quella di Diane che viene affidata durante il giorno alla nonna. Le si schiude davanti per la prima volta il paradiso tra le coccole dei nonni, che concedono tutto l’affetto e la cura che la mamma non ha voluto né saputo dare. La bimba ha un intuito precoce che, con gli anni, la renderanno sempre più triste e isolata, addossandosi la causa del disamore materno. Il secondo figlio, Nicolas, stupisce Diane perché la madre non si mostra gelosa: l’essere maschio gli risparmia la condanna del confronto. La figlia si trasforma, man mano, in una sorta di analista della madre indagando sulle giravolte della mente che la spingono a muoversi in maniera opposta a contatto con maschi o con femmine. Ma questo, che dovrebbe indurla a gelosia nei confronti del fratello, non la influenza. È contenta così, anche perché vede la madre tanto trasformata. Con l’arrivo della terza figlia, Célia, nulla cambia per Nicolas. Però Marie mostra una vera e propria idolatria verso la nuova bimba, e qui tutto il castello mentale di Diane cade in pezzi. Tutto ciò che aveva creduto di costruire si rivela ingannevole, e la crisi provoca nuovo dolore sulla ferita sempre aperta. Si sente costretta a divenire adulta senza esserlo, e si sforza rassegnata ma non regge a lungo la terribile sofferenza di ogni giorno: Mamma, ho accettato tutto, sono sempre stata dalla tua par­ie, ti ho sempre dato ragione perfino quando la tua ingiustizia era evidente, ho sopportato la tua gelosia perché capivo che ti aspettavi di più dalla vita, ho sopportato che me ne volessi per i complimenti degli altri e che me la facessi pagare, ho tollera­to che mostrassi la tua tenerezza a mio fratello mentre a me non hai mai riservato neppure le briciole, ma ora quello che stai facendo davanti a me è atroce. Una volta soltanto mi hai amata, e ho saputo che non esisteva nulla di più bello al mon­do. Ho pensato che a impedirti di manifestare il tuo affetto per me fosse il fatto che io sono una femmina. Ma adesso, l’essere che stai ricoprendo dell’amore più profondo che tu abbia mai manifestato è una bambina. Tutto il sistema su cui si reggeva il mio universo è crollato. E capisco che, semplicemente, tu mi vuoi poco bene…L’infanzia di Diane finì in quell’istante. Peraltro, non di­venne né un’adulta né un’adolescente: aveva cinque anni. Si trasformò in una creatura disincantata la cui principale osses­sione fu di non cadere nell’abisso che quella situazione aveva scavato dentro di lei.  Chiede alla nonna di rifugiarsi da lei, la madre non muove obiezioni e il padre, che non ha compreso il dramma, si adegua. Ritornerà da loro solo nei fine settimana ma lo sconforto, con l’età, continua a crescere. La nonna la capisce a fondo, ma nulla può contro la madre persa in contorti labirinti mentali. Undicenne, Diane non scappa dinanzi un camion che le sta venendo addosso. Quasi indenne, in ospedale ha la fortuna di incontrare un medico che rappresenterà la svolta di vita, smorzandone le ripulse. Al liceo conosce Élisabeth Queen che l’attira, e ne diviene amica confidandole il segreto familiare. I genitori l’accolgono benissimo e prendono a considerarla come una sorella della figlia. Con la morte dei nonni in un incidente stradale resta una settimana in coma. Al risveglio ritrova il medico favoloso che le dice che i Queen sono disposti a ospitarla in casa e profetizza che, con la crescita, le cose miglioreranno. E lì va a vivere stabilmente. Si iscriverà a medicina, l’amica a giurisprudenza. Il suo primo amore svanirà presto, il forte subbuglio interno, implacabile, non concede pace e la rende instabile. Laureatasi, sceglie cardiologia e conosce Olivia, ricercatrice, alla quale fa subito un’ottima impressione. Quasi se ne invaghisce, passano molto tempo insieme e, forse, nella quarantenne si sforza di concretizzare la madre che non ha mai avuto.Questa la rivede solo dopo dieci anni, in occasione della fuga da casa della sorella che le ha lasciato la figlia Suzanne. Ne riceve la visita e parlano per la prima volta senza reticenze. Diane può adesso scoprire che la madre non realizza affatto le gravi colpe di cui si è macchiata con i sentimenti filiali fuori controllo. Le due figlie sono state entrambe vittime del suo narcisismo che ha trovato sbocchi diversi: l’invidia verso Diane, la proiezione all’esterno nei confronti di Célia. La sorella ha compreso il male che avrebbe potuto arrecare alla piccola se avesse percorso un uguale cammino materno e perciò è fuggita. Forse, con la nipote, potrà finalmente essere quello che non è mai stata:

Mamma,

sento che sto facendo con Suzanne gli stessi errori che hai fat­to tu con me. La amo troppo, non riesco a impedirmi di te­nerla sempre in braccio, di ricoprirla di baci. Non voglio che mia figlia diventi come me, una fallita senza volontà, buona solo di andare a letto con mezzo mondo.

E poi ho vent’anni e voglio iniziare a vivere. Così ho deciso di partire, senza dirti dove andrò. Ti lascio la bambina. Ho vi­sto che le vuoi bene, senza impazzire per lei come hai sempre fatto con me. Forse per Suzanne sarai quello che non sei mai stata per i tuoi figli: una buona madre.

Célia

L’età pare ora aver attutito le pesanti ossessioni che hanno travagliato la giovinezza di una donna che madre non sarebbe mai dovuta essere. E Diane si conferma nel dedicarsi a Olivia, cresciutale dentro. Lavorerà per farle prendere l’abilitazione a ordinario. Saranno due anni di lavoro matto e disperatissimo che non la faranno respirare, quasi non dormire, ma è l’appiglio che aiuta ad abbandonare meglio l’inferno infantile che ancora la condiziona. Olivia ottiene l’abilitazione con lode, Diane può scaricarsi, ma la vita non ha affatto concluso quanto in serbo per lei. Il passaggio al tu, chiesto dalla prof, non fa che complicare il troppo di inespresso che ormai è divenuto ostacolo insuperabile tra loro. Andando a fondo, si squarcia l’infatuazione per la quale ha vissuto due anni di simbiosi totale, e vede l’idolo nella sua vera veste: invitata a casa da Olivia, ne conosce il marito Stanislas, un grande matematico autistico, e la figlia Mariel, una dodicenne che ne dimostra otto. Mariel è lei stessa, infognata in una situazione analoga se non addirittura peggiore. E un mito che crolla va subito sostituito con qualcosa di equivalente, specie in chi ha un equilibrio mentale precario. Cresce dunque l’interesse verso Mariel per la quale, adulta, vuole esercitare ogni mezzo in suo possesso per capovolgere il dramma infantile che vede ripetersi. Con una madre sempre assente per lavoro e con un padre sempre silenzioso, riesce a immaginare cosa ne sia di lei. La ragazzina non ha amici, soffre di paure immotivate, e va male a scuola ove è in ritardo con gli anni. La dedizione assoluta si sposta dalla madre verso la figlia, e la gelosia di Olivia non tarda a manifestarsi. Diane si decide allora a lasciare l’università, a una nuova vita senza Olivia, gran bene, ma anche senza Mariel, gran dolore. Ma crescere significa anche prendere confidenza con un altro se stesso, e lei si sente pronta per questo come non mai. L’abbandono scopre la vera Olivia, un essere detestabile che all’inizio mai avrebbe immaginato, e fa trovare in lei un’altra affinità con la madre: un disprezzo abissale che la pervade contro chiunque offuschi la sua pretesa sovranità, una sorta di diritto divino come per gli antichi imperatori.A questo punto lo sconsolato urlo munchiano risuona ancora una volta nel profondo del sé e l’eco perforante esplode verso l’esterno con l’intensità di un uragano, minacciando di perderla definitivamente. Ma è l’urto contro il fondo che non può spingere ad altro che a risalire, a riprendere il filo della corrente incessante che trascina innanzi anche senza volerlo. Affiora una Diane nuova, che è spinta a riprendere contatto con la famiglia. Una persona diversa, pronta a vedere in modo nuovo i contrasti che anni prima apparivano insanabili. Ora esercita con successo la professione di cardiologo e vive sola, per scelta, in una bella casa dove si assopiscono le grandi lotte che le hanno tormentato gli anni migliori. Ma la vita non si stanca di scrivere pagine nuove a dispetto di ogni previsione degli interessati.Ancora due grandi avvenimenti, uno molto tragico, l’altro molto piacevole, sconvolgeranno il suo percorso. Sarà quest’ultimo ad aprire a Diane la porta della vera vita nuova che, possiamo giurarci, la lascerà invecchiare felice e soddisfatta per le scelte fatte nel lungo e arduo cammino verso la scoperta di chi veramente lei sia.“La stupidità consiste nel voler concludere” ha scritto Flaubert. Una condizione che non si verifica raramente, dal mo­mento che nelle liti, in genere, un imbecille lo si riconosce su­bito dalla sua ossessione di avere sempre l’ultima parola. E il cuore, per quanto ferito a morte, può sempre scovare la possibilità di risorgere: basta volerlo ed esserne fermamente convinti. Lui, magari tardivamente, non si rifiuterà di eseguire l’ordine imposto…

*Socio del L.C.S. Elmo di Napoli

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy