L’UOVO

(Carmelo Fucarino)

Per caso, nell’approfondire una ricerca per un mio saggio quasi ultimato, leggendo le Questioni conviviali di Plutarco, alla sua terza questione del secondo libro i convitati si interrogavano su una banale e proverbiale domanda, che noi volgarmente recitiamo in lingua e in dialetto: «È nato prima l’uovo o la gallina». Loro che parlavano da saggi estendevano la domanda a tutti i volatili e il problema verteva «se l’uccello nacque prima dell’uovo» (per qualche saggio che ne ricorda anche la bellezza del ritmo e della sonorità, Πότερον ἡ ὄρνις πρότερον ἢ τὸ ᾠὸν ἐγένετο). Un convitato così spiegava: «Allontanavo da un mio sogno un uovo, poiché ricavavo da questo molto piacere, come in Caria provano a prenderlo, avendo spesso chiaramente una visione. Certo offrivo il sospetto, mentre Sossio Senecione mangiava con noi, che fossi preso dalle opinioni di Orfeo o di Pitagora, e detestavo l’uovo, come alcuni il cuore e il cervello, ritenendolo principio (arché) di generazione.». Vi tralascio le ironie sulle varie astensioni di Pitagora, dalla carne alle fave e riguardo al mangiare l’uovo, e rilancio la questione agli amici veganisti. Mi basta la conclusione a cui giungono questi saggi filosofi e filologi: «Da ciò l’aporia e le molte cose che la domanda offriva agli indagatori tirarono in mezzo la questione riguardo all’uovo e all’uccello, quale dei due fosse nato prima.». Non preoccupatevi non vi coinvolgerò in questa sublime questione esistenziale della stupida caracollante gallina. E neppure dei volatili e di tutti gli ovipari, che non sono solo volatili, ma protetti dall’armatura come le tartarughe. In altro mio saggio in tipografia mi ero imbattuto in altra più moderna questione, più alla buona e avvincente come tutte le superstizioni popolari, perché riguarda una città che in quanto a gioia e fantasia non ha pari al mondo. Basta il cangiante Pulcinella e i suoi sberleffi altro che Arlecchino. Riguarda Castello dell’Ovo (Castrum Ovi), che sorge proprio nell’isoletta davanti al lungomare di Napoli, sulla quale si era rifugiata la ninfa Megaride. Qui si lasciò morire la Sirena Partenope per il rifiuto di Odisseo. Nel luogo sorgeva il Castrum Lucullanum, quello dei famosi banchetti. E qui entrava il mio Virgilio mago, che vi avrebbe deposto l’uovo magico. Non dico altro e vi riservo i particolari nel mio saggio, che sarà in imminente edito. Potrei parlarvi a questo punto di Phanes, ‘ciò che si mostra’, la Luce, e di Protogonos, ‘Primo Nato’ e Erikepaios, il ‘donatore di vita’, erano metafore di divinità primigenie della procreazione e dell’origine della vita nella cosmogonia orfica. Per l’arcana religione mistica (quanto di orfico nella mistica cristiana?) all’alba dell’Universo il primo nato, origine della vita terrestre, fu procreato dall’uovo cosmico deposto da Chronos (il ‘Tempo’) e Ananke (la ‘Necessità’). Da lui tutto nacque, Arché, ‘Origine’, principio, primo ed unico, dal quale tutto si generò e rigenerò. Ma la questione necessiterebbe un libro. Perciò ritengo che questo può bastare. I curiosi hanno strumenti di bit per approfondire. Di tutto quanto accennato a me importava l’uovo, orfico e pitagorico, simbolo dell’origine della vita. Certo allora non sapevano di ovuli femminili e di altre meraviglie della nascita nell’incontro tra l’uovo e il diavoletto fecondatore, ma sempre l’uovo c’entrava. Comunque era certo che in tutte le civiltà antiche, poverette senza atomi, elettroni, cellule, e la grande scienza che anatomizza pure tutti gli enzimi ed altre misteriose infinitesimali diavolerie della nostra volgare carne, in tutte le culture dall’indiana alla persiana all’egiziana, l’UOVO era l’origine della vita. Certo da bambino, oltre che berlo crudo con il buchetto sopra e sotto o a cucinarlo alla coque, a pensare che significa in francese “guscio” e deriva dal latino coccum, “nocciolo, galla”, oppure ad occhio di bue o, saporito a frittella con ricotta e menta, o come lo faceva tra noi in campagna mio padre, sbattuto e fritto con quei profumati pomodori di allora, oltre alla sorpresa del nido dove erano deposti, una cesta di canne con paglia al fondo, oltre al coccodè gaudioso per annunziare a tutto il Creato una nuova vita, rispetto al misero uomo, nato dai gridi di una donna il cui annunzio è un vagito di apnea, oltre a tutto questo, uomini del 2020, oltre a tutto questo mistero… Quello che fino a ieri reggeva le civiltà era la nascita di un Dio da una vergine, ed era detto in forma assoluta Natale. E quel Gesù nella mangiatoia aveva portato la Buona Novella (Eu-anghelion), la promessa della resurrezione e della salvezza con un nuovo precetto, immane, impossibile per questo verme di uomo, “ama il prossimo tuo”, non solo chi ti sta ad un metro di distanza di difesa, ma l’altro uomo, perché Dio non creò il bianco, superiore al nero o al giallo, ma creò l’UOMO, in ebraico ADAMO,”a sua immagine e somiglianza”. Un passo madornale dal Jaweh dell’occhio per occhio, dente per dente, terribile e vendicatore. E quella Pasqua del dio ebraico divenne quella di Cristo, dopo quell’entrata trionfale a Gerusalemme del predicatore taumaturgo, dopo lo spasimo di ascensione di frusta, sputi e derisione verso il Golgota, la via della Croce. E poi la disperazione, umana troppo umana, “Padre, perché mi hai abbandonato” e il sepolcro trovato vuoto dalle pie donne. Era la sua e la nostra Resurrezione, spiegata anche al miscredente Tommaso nella sua vera Epifania della Pentecoste. Ma torniamo all’Uovo. Il giorno di Pasqua nei paesi della Sicilia, sommamente tradizionali e mistici come quei progenitori greci ed orfici, impastavano della farina, con la cui pasta avvolgevano un uovo, poi aggiungevano un manico, come un panierino, una borsetta, la spennellavano di tuorlo rosso e la mettevano al forno. Era la “cannatedda” di Pasqua. In altri paesi l’uovo era reso sodo e dipinto, l’uovo era il simbolo della Pasqua, origine di tutto, simbolo di Arché e di ritorno alla vera vita con la Pasqua di Resurrezione. Quello che più mi sconvolge è la lontananza della tradizione cristiana dell’uovo di Pasqua, fra i primi cristiani della Mesopotamia, che li macchiarono di rosso, in ricordo del sangue di Cristo, versato dalla fronte e dal costato. E ci furono poi preziosità, come l’uovo dell’orafo Peter Carl Fabergé, creato nel 1883 per la zarina Maria: l’uovo esterno di platino smaltato bianco che ne conteneva un altro in oro che conteneva due doni, la sorpresa. Certo poi se ne appropriarono le industrie moderne con l’arrivo del cacao dal Messico e da uovo di gallina divenne guscio di cioccolato e lo è ancora con modelli estrosamente di carta colorata e nastri, a seconda della fantasia della casa produttrice, con pulcini altri richiami simbolici e di una gioia radiosa che riempie il cuore. L’UOVO primigenio, umana gente, dal quale siamo nati. Unico simbolo di vita, della vostra nascita da una donna. Noi bambini attendevamo quello vero e poi quello di cioccolata senza nulla sapere di questi misteri, ma con un mistero più umile da risolvere come bambino, la sorpresa dentro, come quell’uovo della zarina, privo di simboli, ma atteso per la piccola sorpresa, spesso inadatta al genere e deludente. Poi qualcun’altra industria inventò la colomba: «e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra.» (CEI, Genesi, 8, 11). Era il nuovo patto tra uomo-Noè e Dio. Ed essa divenne simbolo della pace, ma divenne sugli altari lo Spirito Santo. Altro che panettone dei Natali lombardi laico e consumistico. Questi erano i simboli delle uniche grandi, universali commemorazioni cristiane e questi erano i regali dei bambini: l’uovo primigenio della Nascita del mondo e della colomba della pace. E questo mi sarei aspettato di vedere. Anche una nota onlus vende per la ricerca uova di Pasqua, tutto al più azalee. Ma attesa errata in una società imbarbarita che si diverte con l’immorale mascherata di halloween sassone e l’albero di Natale dei Druidi, invece del francescano Presepe, o addirittura il comico Santa Klaus della Cocacola, detto Babbo Natale, pesante babbo, invece dell’infante nella mangiatoia. Perciò mi aspettavo l’uovo per i nostri diseredati. Povera società! Eppure il Venerdì Santo i cinema restavano chiusi e saltava l‘atteso appuntamento serale di Carosello, la Rai di Stato non proiettava film più o meno profani ed osceni con réclame più sacrilega, perché non rispetta più neppure la religione. Oggi che l’omiciattolo della scienza esatta quello che prometteva panacee di eternità è messo in serio dubbio, queste amarezze mi sono giunte. Da semplice uomo che pensa che altre gioie semplici, ma educative dei bambini. Tutti, senza esclusioni o privilegi. Da parte nostra che abbiamo trasformato il simbolo della Crocifisso a gingillo e gioiello di raffinata oreficeria da appendere al collo, unici al mondo. O lo abbiamo squalificato per altri consumi. Mi sarei aspettato che nell’orrore di questa barbarie si levasse la voce di chi vuol essere il poverello Francesco, e gridasse ai cinici e ai carnefici che l’uomo non ha età. Eppure un misero politico olandese si è potuto permettere, senza pudore, di dichiarare di abbandonare i vecchi, ma per semplici motivi abbietti, la posta non vale la candela, denaro sprecato per esseri che potrebbero vivere qualche altro anno. O il leader inglese e qualche bruto scienziato che ha ventilato la soluzione finale per ringiovanire il mondo, la selezione naturale. Ho visto il papa arrancare nella desolazione della piazza. Lui il più fragile, come tanti poviri cristi, come siamo io e voi tutti, sconvolti e angosciati dai mali infiniti del mondo. E ancor più fragili, perché vecchi. Per fortuna per questi altezzosi Dorian Gray non c’è il Taigeto, ove i sani Spartiati, abbandonavano vecchi e storpi, oggi handicappati. Sono avvenute ricorrenti epidemie e l’uomo è rimasto quello, homo homini lupus. Non credete ai profeti che tutto è cambiato, è un inganno. Neppure l’Unto di Dio c’è riuscito a redimerlo. Anzi, come economia di guerra è l’ora della grande abbuffata per grandissimi ricchi su un mondo di poveri cristi. Me ne scuso e vi chiedo perdono con l’augurio di una vera Pasqua di Resurrezione interiore, della quale fortemente dubito per l’orrore che prolifera nel mondo. Nella pace della famiglia. Almeno il corona non è stato tanto spinoso. Ha ridimensionato il proverbio, «Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi».

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