L’ILLUSIONE DELL’EDEN PERDUTO

(Carmelo Fucarino)

Foto 1 Masaccio (1401-1428). Cacciata di Adamo ed Eva. Chiesa Santa Maria del Carmine -Cappella Brancacci – Firenze – 1424-1425

Così cominciò il mondo che i Greci chiamarono semplicemente “ghe”, e che noi diciamo terra, per dire tante e tante cose assieme: «22 Il Signore Dio disse allora: «Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!». 23 Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. 24 Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita.» (Genesi, CEI). C’è un dipinto  (v. foto 1) che mi ha riempito di angoscia e davanti al quale sfido chiunque a non piangere in questi di infinita umanità. Ma se volete vedere meglio, aggiungo altro scorcio escludendo la miseria della loro nudità che Dio aveva loro risparmiato, dotandoli come le scimmie: «21 Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì». Tutto era cominciato con l’albero e il serpente, ma soprattutto con la scoperta della loro nudità. E la vergogna tanto da nascondersi dietro gli alberi, mentre Dio «passeggiava nel giardino alla brezza del giorno».

Approfitto di un commento più profondo di quanto potrei fare io: «Forse l’Eden, come lo raffigurano i più, è la proiezione mitopoietica dei brevi attimi fetali che sopravvivono nell’inconscio. All’improvviso capisco meglio lo spaventoso gesto dell’Adamo del Masaccio. Si copre il  volto per proteggere la propria visione, ciò che è stato suo, conserva nella minuscola notte delle mani l’estremo paesaggio del suo paradiso. E piange (perché quel gesto è anche quel che accompagna il pianto) quando si accorge che è inutile, che la vera condanna è ciò che inizia: l’oblio dell’Eden, ovvero l’uniformità del gregge, l’allegria sporca e misera del lavoro e del sudore della fronte e delle ferie pagate.» (Julio Cortázar, Il gioco del mondo. Rayuela, CEDI. Roma 2020, p. 570). Ma qui Cortázar nel suo rivoluzionario non romanzo, pensate pubblicato nel 1963, l’anno del Gruppo ‘63, riunitosi a Solanto, stufo della stantia letteratura e che si risolse in una pomposa neoavanguardia, rimasta velleitario proposito e semplice esperimento. Il genio argentino focalizza la sua attenzione su Adamo, in quel gesto di volere non vedere la tragica dolorosa infelice realtà che lo atterriva. Ma ha trascurato l’angoscia senza limiti di Eva, che nel gesto naturale della donna nuda si copre il seno e il pube, se ci fate caso nella stessa angolatura del braccio di Adamo a coprire gli occhi davanti alla visione della realtà. Lei ha il coraggio di offrirsi alla visione, ma non può che guardare nella fissità del nulla e atteggiare le labbra ad un urlo che non esce e si affievolisce in un angosciante lamento, nella percezione dell’eterna condanna divina: «16 Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». È la fine della creazione. E cominceranno le generazioni a cominciare dai primi, Caino ed Abele. Eppure si continua a predicare e a sperare solidarietà ed amore con questi precedenti biblici. Se vogliamo paragonarlo ad un troppo virale Urlo, quello di Edvard Munch è l’esplosione della natura che lo abbaglia nella sua molteplicità di colori. Là erano due creature davanti al nulla. Dal suo Diario: «Esplodeva il rosso sanguinante – lungo il sentiero e il corrimano – mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente – ho avvertito un grande urlo, ho udito, realmente, un grande urlo – i colori della natura – mandavano in pezzi le sue linee – le linee e i colori risuonavano vibrando – queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie – perché io realmente ho udito quell’urlo». Questo ho visto e per questo sono affondato di più nell’abisso dell’essere Adamo che significa Uomo, in questa tregenda odierna in cui l’uomo, vestito da padreterno, non riesce ancora a ritrovare la sua reale dimensione, tra provette e scafandri e pipette e vetrini. L’Uomo-Dio che davanti a questo suo tremendo fallimento si proclama ancora Onnipotente. Poveri noi, fra tanti Satana diventati Dio con la loro scienza esatta. Freschissima. Qualcuno ha pensato all’era dei robot tutto fare, anche negli ospedali, che non prendono virus. Via infermiere ed anche medici. Basterà un cip, un programmino per le flebo, le iniezioni e gli interventi. Già per questi si è precisi al milionesimo con la robotica.

Edvard Munch – L’urlo, 1899, Galleria Nazionale – Oslo

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