ACCATTONI, VAGABONDI, CASSARIOTE

(Francesco Paolo Rivera *)

Palermo, nel XVIII° secolo, capitale del Regno di Sicilia, era (dopo Napoli) la città più popolosa del bacino del Mediterraneo, contava circa 150mila abitanti. L’aristocrazia siciliana abitava in città, entro gli storici palazzi, contornata da uno stuolo di servitori, di famigli e di altre persone che vivevano a carico dei nobili. Molti contadini stanchi di coltivare la terra, che rendeva pochissimo e di sfamarsi di verdure, qualche frutto e di legumi, emigravano in città nella speranza di vivere una vita migliore, ma anche in città le cose non andavano molto bene, infatti i mestieri erano tutti saldamente in mano alle corporazioni, le quali si difendevano in tutte le maniere per impedire che i nuovi emigranti si appropriassero dello scarso lavoro. Così questa folla di persone decidevano di darsi all’ozio, all’accattonaggio, vivevano di elemosine e di piccoli espedienti. Molti forestieri, in visita in Sicilia, si sorprendevano nel vedere l’enorme quantità di gente che rigurgitavano in città, con grande indolenza, frequentando assiduamente i mercati in cerca di cibi al solo scopo di scroccare qualcosa da mangiare. Alcuni restavano sconcertati … “basta passeggiare di sera sui piani della Marina, per vedere masse di “allegri pezzenti” … che oziavano … “questa gente è detestabile, chi non ha talenti per gli studi, chi non ha talenti per le arti, faccia il facchino, piuttosto che l’ozioso …”.  Giovanni Meli, commentava: “migliaia di infingardi datisi al comodo mestiere di accattoni, vanno trascinandosi per la città, infingendosi ciechi o storpi e studiando, con comodo artifizio assalir, da tutti i lati, la commiserazione della pia gente, soffocando con lamentevoli strida la fioca voce dei veri poveri, perché inabili alla fatica, sottraendo e per ciò rubando loro le necessarie elemosine.” Molti di questi erano di un ordine relativamente agiato … “col solo merito della poltroneria – come asseriva il Meli – si divorano, alla mattina, due pagnotte calde, ben condite con lardo e salsicce, verso il mezzodì in un parlatorio di monastero mangiavano un piatto di maccheroni ben incaciati e, dopo aver trincato del vino in una taverna, si sdraiavano su una panca a dormire spensierati.” E, ancora, “Noi li abbiamo veduti, fini a quarant’anni fa questi comodi neghittosi, mangiare a due palmenti le pietanze che uscivano dai monasteri.” Codesti lazzaroni gridavano a perdifiato la notte per impietosire e scroccare qualche limosina; Joseph Hager (1), che li sentiva gridare “La Divina Provvidenza! … Puvireddu mortu di fami! … O boni servi di Diu faciti la carità!” commentava che non commuoveva nessuno la loro povertà esteriore. “Il loro aspetto era così orribile, che io non vidi l’eguale in altra città, ed è paragonabile solo a quello dei fakiri dell’India.”Il Governo conosc eva perfettamente questa gente, … sapeva chi fosse vagabondo, cirauolo (2), cantambanco o cerretano (3), chi elemosinando nelle chiese, faceva anche della piccole truffe, … tanto che il 20 giugno 1789 emanò un bando, a firma del Vicerè Francesco d’Acquino p.pe di Caramanico, contro questi parassiti. Ma, secondo l’opinione di Johann Heinrich Bartels (4), tale provvedimento non raggiunse alcuno scopo, tanto che il 27 maggio 1793 il Vicerè, con un nuovo provvedimento, dispose che “saranno condannati con le catene ai piedi” tutti gli oziosi che “accattano la limosina” innanzi e dentro la chiesa, in istrada, nei caffè, affettando piaghe e sconciature nella persona, coloro che conversano nelle taverne e si ubriacano, che vivono frequentando bagordi, compagnie diffamate, i ladri di sacchetta, i giocatori di vantaggio, i camorristi …”.  Intanto altri malavitosi si costituivano in gruppi, i giocatori di carte o di dadi (5), sicari, sgherri, guardaspalle di equivoci personaggi, contrabbandieri e parassiti di ogni tipo. Secondo alcuni, questi vagabondi, nelle loro riunioni, erano soliti cantare canzoni oscene e particolarmente una, che avanzava tutte le altre per scostumatezza, (della quale si limitarono a denominarla con un nome (fra Giunipero) ma non ne trascrissero il testo) contro la quale si scagliarono, inutilmente, bandi vicereali, editti arcivescovili e richiami della chiesa. Nel bando del 2 maggio 1793, il Governo, prese in esame anche il problema delle “cassariote” … le passeggiatrici notturne, … vale la pena leggere, con attenzione, il testo: “Poiché è giunto alla notizia di S.E. di esser troppo avanzato il numero delle donne impudiche, che passeggiano di notte le strade e luoghi pubblici di questa capitale, insidiando con le loro lusinghe troppo scandalose i cittadini di bassa condizione, per indurle a commettere disonestà in mezzo alle strade, donde poi ne deriva notabilissimo pregiudizio a questo pubblico e fino alla salute della gioventù; perciò volendo S.E. assolutamente ovviare simili disordini e pubblici scandali, che recano giornalmente gravissimo nocumento a questa città e suoi abitanti, ordina, provvede e comanda che da oggi innanti, suonata che sarà ora una di notte, le suddette donne impudiche, che pubblicamente e notoriamente costerà di esser tali, non possono andar camminando per le strade di questa città, o sedere sopra gli scalini delle chiese o cemeterj, anco sotto il pretesto di domandar la limosina, né restar sotto le pinnate (6), tanto fuori le porte della città e della Marina e Cala di questa città, quanto nella Bocceria della Foglia, della Carne, Ballarò, Feravecchia, Cassaro o in diverse altre piazze e pari di dentro e fuori di questa città, per quale cosa sogliono accadere i suddetti inconvenienti, sotto pene alla suddette donne di mal affare della frusta con otto azzottate (7), e di rader loro i capelli la prima volta, e con venti se saranno recidive, e di rader loro le ciglia.” Il lettore consenta qualche considerazione sul contenuto “storico” di questo bando: intanto, contrariamente alle abitudini della Segreteria di Giustizia e di Alta Polizia del Regno, il contenuto del bando sembrerebbe avere un “tono più accattivante e persuasivo che minaccioso”, inoltre, ci si chiede “La notizia dell’incremento del numero della donne impudiche …era già conosciuta o era giunta soltanto allora?; le lusinghe scandalose che … inducevano a commettere disonestà in mezzo alle strade; dalle quali ne derivava pregiudizio al pubblico … e alla salute della gioventù … e anche disordini e pubblici scandali … solo dopo l’una di notte (… forse, prima di quell’ora, era consentito?); le donne impudiche che pubblicamente e notoriamente costerà essere tali (… quindi soltanto quelle ritenute “professioniste”) non potevano camminare nelle strade della città …per evitare che accadessero i suddetti inconvenienti …; e infine la pena accessoria minacciata, oltre la fustigazione: per la prima volta la rasatura dei capelli … per le volte successive la rasatura delle ciglia, aveva forse la funzione di farne riconoscere la loro “professionalità”? … e come faceva il boia (abituato a ben altri interventi) ad effettuare la “rasatura delle ciglia”? Segue nel rescritto del decreto sopra citato “le donne di pubblico commercio trovansi indistintamente ad abitare nei luoghi più frequentati della città, e col loro cattivo esempio avvelenano le innocenti e rovinano la gioventù. E talune di esse si vedono in tempo di notte girar per le strade ed ardiscono di penetrare financo dietro le porte delle chiese.” (8)  Pare,(9) però, che il numero delle “cassariote” non fosse molto elevato, infatti nelle cronache di quel tempo si tende a distinguere le donne che esercitavano abitualmente la prostituzione, il cui numero, pare, fosse esiguo, da quelle che “si serbano quali nacquero e non tentennano né all’aura dell’ambiente, né al vento che spira dalla terra ferma”, che, in un certo senso, non venivano annoverate tra le prostitute. Il popolo, legato alle sue tradizioni di rispetto a se stesso, di devozione alla morale, pare che non fosse molto incline ad accedere a questo tipo di prestazione a pagamento, né si lasciasse facilmente corrompere da qualsiasi influenza o abitudine esterna.

*) Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib-4

Note:

  • “Gemalde von Palermo – 1799” Linguista e scrittore austriaco, nato a Milano nel 1757, naturalizzato italiano;
  • Venditore di cose inutili;
  • Ciarlatano;
  • Nato ad Amburgo nel 1761, studioso e uomo politico, scrisse “Briese uber Kalabrien und Sizilien” in tre volumi;
  • Secondo la saggezza popolare “infelice il vincitore di oggi, sarà il perditore di domani”;
  • Tettoie;
  • Frustate;
  • In Storia della prost. In Sicilia di Antonino Cutrera;
  • Secondo Giuseppe Pitrè.

 

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