IL CIOCCOLATO

Carla Amirante

….  S’oggi ti giova

porger dolci allo stomaco fomenti,

sì che con legge il natural calore

v’arda temprato, e al digerir ti vaglia,

scegli il brun cioccolate, onde tributo

ti dà il Guatimalese e il Caribbeo

ch’ha di barbare penne avvolto il crine …

Parini  Il Giorno- Mattino vv.132-138

Questi versi scritti dal Parini testimoniano come, in Europa nel ‘700, il cioccolato si fosse ampiamente diffuso e quanto fosse apprezzato questo alimento prelibato tra la nobiltà, ma come accennato dal poeta la sua storia è lunga e la sua origine va cercata lontano, in Centro America neIl’albero del Theobroma cacao. Questa pianta sempreverde, chiamato dagli indigeni “kakaw, produce fiori bianchi e frutti, chiamate “cabosse”, che sono delle grandi bacche allungate simili a un piccolo pallone da football americano. I frutti, raggruppati in file, sono ricchi di amido, grassi e alcaloidi e contengono dai 25 ai 75 semi, che dopo la fermentazione e la torrefazione vengono utilizzati per la produzione del cacao e del cioccolato. Il cacao è noto anche come cibo degli dei e il suo consumo sembra risalire al 3.300 a.C. perché nel sito archeologico di Santa Ana-La Florida, nel sud-est dell’Ecuador, sono stati recuperati alcuni semi di quest’albero. In seguito i Maya, fra il III e il X sec., iniziarono a coltivare la pianta del cacao nella penisola dello Yucatán, in Chiapas e sulla costa pacifica del Guatemala.  La leggenda narra che la coltura del cacao fu iniziata sotto il terzo re Maya Hunahpu. Invece una leggenda azteca racconta di una principessa lasciata dallo sposo partito per la guerra a guardia di un immenso tesoro; quando arrivarono i nemici la  principessa non volle rivelare il nascondiglio del tesoro e per questo fu uccisa. Dal suo sangue nacque la pianta del cacao, con i semi amari come la sua sofferenza e forti, stimolanti come le sue virtù. Dopo i Maya furono gli Aztechi a coltivare il cacao, associandolo a Xochiquetzal, la dea della fertilità.

  Per il suo significato mistico-religioso il cacao veniva offerto alle divinità nelle cerimonie importanti insieme all’incenso, talora mischiato al sangue degli stessi sacerdoti e consumato solo dall’élite. Oltre all’uso liturgico e cerimoniale, esso veniva consumato come bevanda, lo xocoatl, preparato con acqua calda, l’haa chacau, e spesso aromatizzata con altri componenti come vaniglia, peperoncino, pepe o addensanti e nutrienti, come farine varie, minerali e miele. La caratteristica principale della bevanda era la schiuma, ottenuta travasando il liquido dall’alto da un recipiente a un altro. Lo xocoatl era considerato un articolo di lusso dal sapore squisito che alleviava la fatica per la teobromina in esso contenuta. Inoltre i semi della pianta erano usati come moneta di scambio, di conto e di unità di misura e tale era il loro valore che l’imperatore Motecuhzoma (Montezuma) nel suo tesoro ne aveva quasi un miliardo. Nel 1502, durante il quarto viaggio nelle Americhe, Cristoforo Colombo sbarcò in Honduras, assaggiò la bevanda del cacao e al ritorno portò con sé alcuni semi di cacao per mostrarli a Ferdinando e Isabella, i re cattolici di Spagna; ma egli non diede importanza alla scoperta forse a causa del gusto amaro della bevanda. Più tardi nel 1519 Hernán Cortéz, arrivando nel Nuovo Mondo, fu scambiato dalla popolazione locale per il dio Quetzalcoatl, che secondo una leggenda sarebbe dovuto tornare proprio in quell’anno. L’imperatore Montezuma, allora, accolse il conquistador a braccia aperte e gli offrì un’intera piantagione di cacao con i relativi proventi. Nel 1528 Cortéz portò in Spagna dei semi di cacao in dono a Carlo V, introducendo così il cacao in Europa. Ma il primo vero carico commerciale di cioccolato partì nel 1585 da Veracruz e arrivò a Siviglia, dove c’erano la sede del Reale Consiglio delle Indie per il controllo dei traffici commerciali, l’amministrazione, gli aspetti militari e religiosi delle colonie d’oltreoceano. Furono però gli ordini monastici spagnoli, depositari di una lunga tradizione di miscele e infusi, che tolsero al cioccolatto il pepe e il peperoncino aggiungendo invece la vaniglia e lo zucchero per correggerne l’amarezza; poi nel 1590 pare che il vescovo Francisco Juan de Zumárraga aggiunse alla bevanda lo zucchero. Per tutto il ‘500 il cioccolato rimase un’esclusiva della Spagna e dei territori sotto il suo protettorato e tra questi a lavorarlo ci fu la grande Contea di Modica, che arrivava fino alle porte di Palermo, denominata anche “Il Regno nel Regno”, perché molto ricca economicamente con una magnifica arte barocca e tradizioni dolciarie. Nella Contea continuò la tradizionale lavorazione del cioccolato di origini azteca, triturando i semi di cacao su di una pietra chiamata metate e, contrariamente a quanto avvenne nel Regno d’Italia e in Europa, fu conservata la manifattura artigianale. Tuttora il “Cioccolato di Modica” si presenta di colore nero scuro con riflessi bruni, rustico, quasi grezzo, con granuli di zucchero lasciati grossolani che gli conferiscono, una brillantezza di riflessi quasi come “pietra marmorea”, con un sapore tondo, vellutato e persistente. La sua lavorazione avviene quasi a freddo, massimo a 40 °C, permettendo così di mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche del cacao, differenziandolo da altri tipi di cioccolato e rendendolo unico nel suo genere. Nel ‘600 Caterina,  la figlia di Filippo II di Spagna, arrivando a Firenze alla corte di Cosimo III de Medici, fece conoscere i “semi delle Americhe”; nel 1615  Anna d’Austria, sposa di Luigi XIII, introdusse il cioccolato in Francia; nel 1650 il cioccolato venne commercializzato in Inghilterra e a Oxford si iniziò a servirlo negli stessi locali in cui si beveva il caffè come un bene di lusso. Presto  gli olandesi, abili navigatori, strapparono agli spagnoli il controllo mondiale e il predominio commerciale di questo cibo. Nel ‘700 a Venezia nacquero le prime “botteghe del caffè” o “botteghe della cioccolata”, antesignane degli odierni bar, che facevano a gara proponendo sempre nuove versioni della gustosa bevanda, considerata la panacea di tutti i mali e dalle virtù miracolose. Il grande successo della bevanda indusse le terre del sud America, come Brasile, Venezuela, Martinica e Filippine, ad aumentare in modo spropositato la coltivazione di cacao per rifornire le molte città europee che si contendevano la fama nella lavorazione del cioccolato. Dal 1600 in particolare Torino in Piemonte divenne la capitale italiana e forse europea del cioccolato: infatti fu a Torino che nel 1826 Pierre Paul Caffarel inventò una macchina in grado di produrre più di 300 kg di cioccolato da esportare in Austria, Svizzera, Germania e Francia e nel 1852, sempre a Torino, Michele Prochet, mescolando il cacao con le nocciole tritate e tostate, creò i gianduiotti fatti di pasta Gianduia. Nel 1867 in Svizzera furono prodotti il cioccolato al latte e nel 1879 il “cioccolato fondente” da Rudolph Lindt, inventore del processo chiamato concaggio (conching). Oggi l’industria svizzera del cioccolato, con i marchi famosi di Nestlé, Suchard, Tobler e Lindt, detiene il record di fatturato e di esportazione con il 60,7% della produzione.

Liotard Lady Pouting Chocolat

Molti personaggi storici, re, imperatori, musicisti, scrittori e papi, hanno amato il cioccolato come Papa Pio V che, nel 1569, permise nei periodi di digiuno di bere una tazza di cioccolata al giorno con la motivazione che era un liquido. Amante del cioccolatto furono pure Madame de Maintenon, sposa morganatica del Re Sole Luigi XV, e Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI, che viaggiava sempre col suo cioccolataio personale. Si dice di Voltaire che in tarda età bevesse una dozzina di tazze di cioccolata al giorno per combattere la debolezza e di Giacomo Casanova che ne facesse uso per gli effetti afrodisiaci. Carlo Goldoni elogiò nelle sue commedie la bevanda mentre Wolfgang Amadeus Mozart cantò il suo desiderio di cioccolata nell’opera lirica Così fan tutte. Altri grandi appassionati di questo cibo furono la marchesa de Sèvigné, Čajkovskij, Stendhal, Goethe, Alessandro Manzoni, Gabriele D’Annunzio,  Fidel Castro e Leonardo Sciascia.

Come il cacao così il cioccolato, suo derivato, è un prodotto blandamente psicoattivo per il contenuto di teobromina, di feniletilamina, di piccole quantità di anandamide (un endogeno del cervello), di caffeina e triptofano. Uno studio sostiene che il cioccolato fa bene al cuore, che quello fondente aumenta gli antiossidanti nel sangue a differenza di quello al latte che addirittura farebbe diminuire gli effetti positivi e cardioprotettivi catturando le epicatechine, i flavonoidi del cacao dal potere antiossidante. Il cioccolato fondente può ritardare così l’indurimento delle arterie in coloro che fumano, limitare il rischio di malattie cardiache gravi, ridurre in particolare la pressione sistolica o “massima”, con i suoi polifenoli antiossidanti come il vino rosso e combattere la depressione. Tra le curiosità da ricordare: a Torino, nel 2001, il gianduiotto di 40 quintali e a Bologna, nel 2011, la tavoletta di cioccolato più lunga del mondo di 15,9 metri x 2,3 metri.

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