BEFFA O VENDETTA DELLA STORIA?

Carmelo Fucarino

Il 16.17.20.24.28 aprile del 1921, cento anni fa,  andarono in scena nel teatro greco di Siracusa le Coefore di Eschilo, nella realizzazione dei suoi geni fondatori, Ettore Romagnoli, traduttore, Duilio Cambellotti per scene e costumi, Giuseppe Mulè per cori e intermezzi, Compagnia drammatica Tumiati, Direzione artistica Ettore Romagnoli, cast Ettore Berti-Oreste, Teresa Franchini-Elettra, Guido Arezzo – Pilade, Giuseppe Masi – Egisto, Emilia Varini- Clitennestra. Erano trascorsi ben sette anni da quell’augurale inaugurazione del 16 aprile 1914, voluta fermamente dal conte Mario Tommaso Gargallo (presidente dal 1913 al 1929) fra i ruderi dell’antico teatro sul suggestivo colle Temenite. Qui era venuto Eschilo da Atene e in esaltazione della politica di espansione e aggregazione interna degli indigeni non sicelioti da parte del tiranno Ierone aveva rappresentato intorno al 474-472 a. C. le Etnee, delle quali riportiamo il più celebre frammento riferito da Macrobio:

Che nome dunque i
mortali daranno loro?
Zeus ordina che siano
appellati sacri Palici.
E sarà il nome Palici come
se dato con giustezza?
certamente perché essi
vogliono tornare indietro
dalle tenebre alla presente luce

In quel 16 aprile 1914 si era aperta la scena con il principe dei tragediografi greci, Eschilo, e con il primo dramma della più antica ed unica trilogia pervenutaci, l’Agamennone. Sugli immaginari e fantasiosi allestimenti scenici del geniale iniziatore Duilio Cambellotti risuonò la voce di Agamennone, nella traduzione dell’altro geniale iniziatore Ettore Romagnoli che fu anche direttore artistico e compositore delle musiche, su costumi di Bruno Puozzo. E furono le prime interpretazioni di un capolavoro unico della tragedia greca le voci e la gestualità, sicuramente melodrammatica di Teresa Mariani – Clitennestra, Elisa Berti Masi – Cassandra, Gualtiero Tumiati – Agamennone, Giulio Tempesti – Egisto, Giosuè Borsi – Araldo, Luigi Salvini – Scolta.

 

Per l’occasione giunge a Siracusa anche Filippo Tommaso Marinetti  che il 18 e il 19 aprile terrà delle conferenze per ribadire la posizione progressista del Futurismo  di fronte ad una rappresentazione del passato. Per l’occasione viene anche scritto il Manifesto futurista per le rappresentazioni classiche di Siracusa con cui si ribadisce la linea critica dei futuristi.

 

Poi era scoppiata anche in Italia la guerra. Dalla neutralità del 2 agosto 1914 e il patto di Londra  con le potenze dell’Intesa, il 24 maggio 1915, l’Italia dichiarò guerra all’Austria dopo averle inviato il giorno prima l’ultimatum. E fino a quella stagione di rinascita del 16 aprile 1921. Ma non era stata solo la guerra. Anche l’Italia era stata travolta dalla pandemia della cosiddetta spagnola. Innocente questo popolo di una epidemia la cui prima ondata era scoppiata in un campo militare americano nella primavera del 1918. Portata in Europa dalle truppe in arrivo dagli Stati Uniti, si era diffusa velocemente in Francia, Inghilterra, Italia. Questa, come nella situazione odierna del Covid era stata la più colpita di Europa insieme al Portogallo, con 600 mila vittime (675.000 negli Stati Uniti). La guerra produsse 1.240.000 vittime, militari 651 mila, civili 589 mila. Durante la primavera ebbe un carattere mite, non diverso dalla normale influenza stagionale che i medici conoscevano da sempre. Molti l’attribuivano al maligno influsso degli astri e alla loro sfavorevole congiunzione. Così lo storico fiorentino Matteo Villani nel 1358 “costellazioni e aria fredda un’Influenza che aveva colpito poco meno che tutti i corpi umani della città e distretto di Firenze e delle circostanti vicinanze”. E come questa nostra pandemia apparve nella mite primavera come la solita influenza stagionale, almeno secondo i responsi dei medici che la sottovalutarono. Allora. Addirittura il Governo con Decreto ottobre 1917, puniva severamente chi provocava allarme, deprimendo lo spirito pubblico. Perciò durante la recrudescenza del morbo e nelle settimane cruciali dell’epidemia, i giornali tacquero sulla preoccupante escalation di quella strana e dilagante influenza. Come la nostra scorsa estate sembrò che fosse scomparsa. All’inoltrarsi dell’estate, da agosto- a settembre esplose nella sua massima e micidiale virulenza. A partire da un “lieve catarro del naso” si manifestava “da senso di molestia alla gola, da stanchezza, da dolori vaghi a tutto il corpo”. “Preceduta da brividi o accompagnata da forte mal di capo, l’arrossamento degli occhi che male sopportano la luce, la tosse stizzosa, molte volte perdita di sangue dal naso”, seguiva febbre alta. Forse per non allarmare la popolazione, non si parlava delle possibili e frequentissime complicazioni, responsabile dell’alta mortalità: tracheobronchiti, bronchiti acute, catarri soffocanti, polmoniti lobari, che interessavano la fascia tra i 20 e i 40 anni. Restava un mistero la “semenza del morbo”. Era però chiaro che non si trattava dell’Haemophilus influenzae isolato nella pandemia del 1889-90 da un allievo di Koch, Richard Pfeiffer, mentre si ipotizzava ‘un virus ultra-filtrabile’. Le morti erano dovute alle complicazioni pleuropolmonari. Come allo scoppia della nostra non esisteva profilassi: le autorità sanitarie con numerosi ‘avvisi’ pubblicati dai giornali, consigliavano di “evitare il contagio e di praticare grande pulizia delle mani, delle cavità nasali, della bocca” (Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Sanità, Istruzioni popolari per la difesa contro l’influenza, Roma 1918, p. 5). Naturalmente fra una popolazione analfabeta e per i pochi lettori di giornali. (Cf. E.Tognotti, La ‘Spagnola in Italia’, Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo, Milano, 2015, 2 ed.). Nell’inverno 1918-19, le folle in festa per la fine della guerra produsse la ‘terza ondata’ più mite, infine, verso la metà del 1920, a circa due anni dal suo esordio, quel ceppo mortale di influenza sembrò scomparire. Si sarebbe trattato di un A/HIN1 di probabile origine aviaria e completamente nuovo per l’uomo, che non aveva difese immunitarie. Nel 2005 fu ottenuta la mappatura del genoma, Come oggi la serie di proibizioni da sindaci, medici provinciali, prefetti modificò il quotidiano delle persone e il rapporto con i morti abbandonati sui carri, come i memorabili monatti manzoniani: proibito visitare gli ammalati, andare in chiesa, portare le condoglianze alle famiglie dei defunti, seguire i funerali. Eppure le chiese rimasero aperte con ordine ai parroci di disinfettare banchi e confessionali, ma si proibì suonare le campane a morto, quando i morti, a metà ottobre, si contavano a centinaia: era dannoso per ‘lo spirito pubblico’. L’orario di chiusura di bettole, osterie e rivendite di generi alimentari fu fissato alle 21, con sola proroga le farmacie. Sospese le feste patronali, le strade nelle tenebre assolute con forte odore di acido fenico, mascherine di garza per medici e infermieri. Manifesti e giornali traboccavano di consigli: evitare i luoghi affollati e gli ‘agglomeramenti’, osservare la più scrupolosa igiene individuale, lavarsi le mani, non sputare, un’abitudine allora diffusissima in tutti gli strati sociali, con le sputacchiere presenti in tutti i locali pubblici e anche nelle farmacie. Mi ricordo da ragazzo l’avviso fascista in evidenza nei locali pubblici: «l’uomo civile non sputa in terra e non bestemmia» Chi intese curarsi con il fumo, chi con l’alcol. Mentre nelle grandi città degli Stati Uniti si adottarono la quarantena e altre restrizioni, nulla avvenne in Italia, per le esigenze di circolazione di mezzi in stato di guerra. La mortalità ordinaria si alzò del 21 per mille nelle regioni più colpite (Lazio, Sardegna, Basilicata, Calabria).Davide Livermore, torinese, oggi alla guida del Teatro Nazionale di Genova, regista di prosa e d’opera. Sue sono le ultime inaugurazioni della Scala di Milano e la prossima con “Macbeth” di Verdi. Oggi a Siracusa, dove con “Elena” due anni fa ha battuto tutti i record d’incassi, sta provando “Coefore” ed “Eumenidi” di Eschilo, stessi testi di 100 anni fa quando il teatro tornò a vivere dopo la prima guerra mondiale e dopo la Spagnola. Saranno in scena dal 3 luglio. “Alle sciagure umane – afferma all’ANSA Livermore – Eschilo reagisce guardandole bene in faccia, senza timore e senza pietà, questo ci dice, di affrontarle e di viverle fino in fondo, usando il teatro come specchio. Sappiamo bene che il teatro è strategico, sempre, per lo sviluppo di una comunità. E questo vale in tutti i secoli, e oggi più che mai”. Coefore ed Eumenidi sono la seconda e terza parte della trilogia di Eschilo, l’Orestea, l’unica che ci sia pervenuta integra. Una saga truce, sanguinaria, che ci parla della famiglia degli Atridi, e arriva fino al processo che vede come imputato Oreste. “Quel processo è l’atto di nascita di un sistema giuridico – continua il regista – ma non illudiamoci, Eschilo conosceva bene le imperfezioni della Giustizia. Quel che è straordinario che il testo di Eschilo ha la capacità di adattarsi ai tempi, a tutti i tempi e anche ai nostri giorni. Le parole restano uguali, ma il significato cambia con i tempi, si adatta alle disavventure che l’umanità vive”. In questo caso Livermore ha scelto di ambientare lo spettacolo negli anni ’40, anni di guerra che annunciano la rovina di molti Stati. Poi fa una fuga in avanti, parla della fine disgraziata della principessa Mafalda di Savoia, internata e morta nel campo di concentramento di Buchenwald. (ANSA).

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